Alcuni lettori ci chiedono se il termine advocacy abbia un corrispondente in italiano.
Il termine advocacy in inglese ha due principali significati: (1) ‘azione di una persona o più spesso di un gruppo di persone che cercano di dare appoggio a una politica sociale’; (2) ‘il modo in cui gli avvocati trattano le cause in tribunale’. È arrivato all’inglese, attraverso il francese antico, dal latino medievale advocatia, derivato da advocare. Come spiega il Vocabolario Treccani online advocare letteralmente “chiamare presso”, nel latino imperiale significava ‘chiamare a propria difesa’, e quindi ‘assumere un avvocato’.
A partire dall’etimo latino, anche in italiano si è formata la parola avvocazione, che in passato, come ci mostrano gli esempi del GDLI Grande Dizionario della lingua italiana, aveva sia il significato “relativo all’esercizio nella professione di avvocato”, sia quello di “perorazione (presso Dio) per protezione, tutela”. Un significato legato alla funzione della Madonna – “avvocata nostra” come recita appunto la preghiera Salve Regina – o al ruolo dei santi e degli angeli nei confronti di un singolo o di una comunità. Tale accezione religiosa è ben illustrata nell’esempio di Girolamo Savonarola: “abbiamo... fatto [la vergine] buona avvocata e assai dobbiamo sperare nella sua avvocazione e suo patrocinio” (Prediche sopra Giobbe, a cura di Roberto Ridolfi, 2 voll., Roma, Belardetti, 1957, vol. I, p. 420; GDLI, s.v. patrocinio 7).
Ringrazio Federigo Bambi per aver richiamato la mia attenzione su avvocazione: sarebbe un ottimo corrispondente di advocacy, se non fosse parola disusata, che dovremmo risuscitare, attribuendole il primo dei significati dell’inglese advocacy riportati in apertura. L’operazione potrebbe riuscire, ma, nel frattempo, fra le associazioni di volontariato e fra gli operatori del sociale si è guardato ad ambienti angloamericani. Advocacy si è quindi affermato come prestito integrale, ovviamente nel solo significato di ‘difesa, tutela, supporto, attivismo in favore di gruppi socialmente svantaggiati’.
Si tratta di un prestito di nicchia, tanto è vero che non è registrato nella nuova edizione 2024 del Sabatini-Coletti. Lo registrano invece il Vocabolario Treccani online, il Devoto Oli 2025, lo Zingarelli 2025. Questi danno come prima datazione 1997 e segnalano sia la pronuncia adattata sia quella inglese: cambia la resa delle vocali e la sede dell’accento, spostata dagli italiani sulla seconda sillaba: advòcacy / ad'vɔkasi /, ingl. / 'ædvəkəsɪ /.
L’etimologia dello Zingarelli è “vc. ingl., propr. ‘patrocinio’, da advocate ‘sostenitore’ [prima attestazione] 1997”. La definizione è “azione di sostegno, appoggio o sensibilizzazione nei confronti di un’idea, una causa, un’iniziativa altrui”. Specifica anche, lo Zingarelli, che come prestito in italiano è femminile invariabile, mentre in inglese fa al plurale advocacies.
Una ricerca in Google libri (agosto 2024) ci mostra che nei testi scritti in italiano ci sono in tutto circa 15.700 risultati rispetto ai circa 21.900.000 in testi scritti in inglese. Vero è che al numero dei testi inglesi contribuisce significativamente l’insieme dei contesti in cui ci si riferisce al lavoro dell’avvocato.
Nei testi italiani advocacy è prestito penetrato gradualmente: circa 2.550 i risultati dal 1990 al 2000, 4.220 risultati dal 2000 al 2010 e circa 9.420 risultati dal 2010 a oggi.
Spesso advocacy è presente in contesti che menzionano anche empowerment (datato 1994 nello Zingarelli) e lobby (datato 1929). L’advocacy è un modo più disinteressato di fare lobby. In un articolo della Guida all’europrogettazione del 13 ottobre 2022 appaiono insieme lobbying e advocacy considerate “nobili”: “Advocacy a Bruxelles: chi sono le organizzazioni-ombrello? Lobbying e advocacy sono una parte importante (e nobile) dell’europrogettazione”.
La vicinanza delle azioni di lobbying e advocacy si evince anche dal modo in cui i dizionari inglese-italiano traducono advocacy group, cioè ‘gruppo di pressione’. Ribadisce la vicinanza anche il titolo di un corso dell’Università di Urbino: “Teorie e tecniche di Advocacy, Lobbying e Fundraising”.
Nelle riviste giuridiche e nella stampa specializzata, ad esempio “Foro” – ringrazio Giovanni Rovere per la ricerca e le segnalazioni di passaggi in queste fonti – nel periodo 2008-2014 advocacy non compare se non in testi inglesi e sempre con il significato di ‘sensibilizzazione, tutela’.
Nel “Sole 24 Ore”, tendenzialmente, fino al 2005 si trovano ancora brevi parafrasi:
Sulla stessa linea dell’Antitrust, il commissario Ue alla Concorrenza, Mario Monti, […] difende la sua politica di advocacy, cioè di promozione e di stimolo a un cambiamento che deve essere messo in atto nei singoli Paesi (2004);
Il Comitato italiano per l’Unicef Italia onlus, Ong riconosciuta e fondata nel 1974, si occupa dunque della raccolta fondi per conto dell’Agenzia e dell’attività di advocacy (tutela e promozione dei diritti), educazione e sensibilizzazione sulle problematiche dei bambini e degli adolescenti in tutto il mondo (2005).
“Azienditalia”, mensile di amministrazione, gestione, controllo e organizzazione degli enti locali, nel 2021 chiariva:
Advocacy e Lobbismo sono fenomeni tra loro imparentati: Advocacy è qualsiasi attività finalizzata a influenzare i decisori pubblici, attraverso attività volte a aumentare l’attenzione su un determinato tema. Il Lobbismo è una particolare forma di Advocacy, che orienta le posizioni dei decisori pubblici in merito a determinati provvedimenti legislativi.
La rivista “Il diritto industriale” – bimestrale di dottrina e giurisprudenza sulle creazioni intellettuali e sulla concorrenza – nel 2018 illustra un àmbito ulteriore in cui si parla di advocacy:
quanto all’art. 21 bis (rubricato “Poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza” […]), costituisce il riferimento normativo per la c. d. ‘competition advocacy’, ossia l'insieme delle funzioni consultiva e di segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Dai siti in rete ricaviamo interessanti testimonianze dell’uso all’inizio del secolo. Nel libro di Francesca Romana Puggelli sulla psicologia della pubblicità (L’occulto del linguaggio: psicologia della pubblicità, Milano, FrancoAngeli, 2000, p. 75) si legge che advocacy advertising mantiene “un’accezione più positiva rispetto alla pubblicità commerciale vera e propria, in quanto l’advocacy richiama il concetto di utilità sociale” e suggerisce meno strategie di guadagno.
In un articolo di Patricia Glass Schuman intitolato Advocacy e strategie di comunicazione, pubblicato nel maggio 2001 sulla rivista online “Biblioteche oggi”, si legge di bibliotecari statunitensi che fanno con successo advocacy bibliotecaria nelle loro comunità da dieci anni; l’articolo mostra un uso ormai esteso ad attivismo di promozione culturale. Si noti che la rivista usa advocacy nel titolo, ma nel testo la prima volta che la parola è usata viene introdotta una nota esplicativa – “azione a sostegno di una causa, difesa, promozione, militanza a favore” – di cui il lettore statunitense non avrebbe certo avuto bisogno.
La SIMM Società Italiana di Medicina delle Migrazioni ha messo in rete un documento di lavoro del 2017 in cui cita una definizione di advocacy del 2016 di FONDACA Fondazione cittadinanza attiva, ritenuta applicabile in termini generali alla realtà italiana: “la realizzazione di programmi e azioni che consistono nel porre una questione di rilevanza generale all’attenzione della opinione pubblica e dei soggetti in essa coinvolti, con il fine di modificare priorità pubbliche, norme, pratiche, modelli organizzativi o consuetudini”.
Dal testo della SIMM ricaviamo attraverso quali documenti internazionali ci sia arrivato il termine. Il Report of the Inter-Agency Meeting on Advocacy Strategies for Health and Development: Development Communication in Action. WHO, Geneva (1995), l’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS parla di advocacy per la salute come
combinazione di azioni individuali e sociali volte ad ottenere impegno politico, sostegno alle politiche, consenso sociale e sostegno dei sistemi sociali per un particolare obiettivo o programma di salute. Questo tipo di azione dovrebbe essere intrapresa da e/o per conto di individui o gruppi, al fine di creare condizioni di vita favorevoli alla salute e di promuovere stili di vita salutari [cito dal documento della SIMM].
Osservano gli estensori del documento SIMM (Chiara Bodini, Marco Bonetti, Marisa Calacoci, Emilio Di Maria, Nora Gattiglia, Antonella Lanotte, Alessandro Rinaldi) che la definizione dell’OMS tende a sovrapporsi con il campo dell’educazione alla salute e dell’empowerment, mentre la Carta di Ottawa (Ottawa charter for health promotion, 1986) distingue tra advocacy, enabling, mediating, lodevolmente spiegate in un Glossario finale del documento SIMM:
Empowerment: Letteralmente, “potenziamento”, “sollecitazione di capacità”, “messa in capacità”. L’empowerment è un processo i cui protagonisti, fragilizzati da una condizione sociale (qui intesa anche come condizione personale, quale una disabilità), apprendono e coltivano competenze utili a superare l’ostacolo che li mantiene nella posizione vulnerabili e minoritaria.
Enabling: letteralmente, “mettere in grado”, cioè fornire agli individui e alle comunità i mezzi materiali, le conoscenze e le capacità, per controllare e migliorare la propria salute.
Mediating: significa mediare, tra i diversi interessi della società, al fine di raggiungere più elevati livelli di salute. Promuovere salute richiede quindi un’azione coordinata tra i vari soggetti coinvolti: governi, settore sanitario e altri settori sociali ed economici, organizzazioni non governative e di volontariato, autorità locali, industria e mezzi di comunicazione di massa. (pp. 12 sg.)
Tra i soggetti che fanno advocacy per mestiere (forse senza chiamarla così anche per farsi capire dai “fragili” per cui lavorano) c’è l’assistente sociale. In rete c’è chi chiede nel 2020: “In quale parte del codice deontologico è indicato che l’assistente sociale può deve agire anche attraverso l’advocacy per tutelare persone e comunità?” Si risponde che il Codice Deontologico precisa, all’art. 7, che “L’assistente sociale riconosce il ruolo politico e sociale della professione e lo esercita agendo con o per conto della persona e delle comunità, entro i limiti dei principi etici della professione”. Tra le strategie di advocacy vengono indicate l’uso dei mass media e degli strumenti multimediali (social network/social media), le iniziative volte a esercitare una pressione politica diretta e la mobilitazione della comunità (per esempio attraverso coalizioni di interesse attorno a problemi definiti). Si può poi arrivare ad azioni di advocacy dirette (per es. cause legali, interpellanze, accompagnamenti individuali) dove notiamo che l’altro significato di advocacy in inglese e di avvocazione nell’italiano di qualche secolo fa, si riuniscono.
Carla Marello
6 dicembre 2024
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