Ci scrive M.C., da Velletri: “mi ha sempre incuriosito l’uso a Roma [...] dell’espressione ammazza! o ammazzate! per indicare meraviglia, stupore, sia riferito a una situazione sia a qualcosa relativo all’interlocutore. L’origine? Mi è sconosciuta. Ma mi sto convincendo che potrebbe esser entrata nell’uso [da quando i] soldati americani [...] circolavano per Roma nel periodo della liberazione. Potrebbe essere il caso che una generazione di bambini e ragazzi romani, accompagnandosi ai militari, ne abbia acquisito il gergo, e in particolare l’uso dell’espressione amazing!, romanizzandola. Immagino che dei soldati americani, ventenni, per la prima volta all’estero, catapultati a Roma, ne dicessero un bel po’ di amazing! Secondo voi?”
L’ipotesi etimologica avanzata dal nostro lettore è suggestiva ma infondata. L’esclamazione ammàzzate!, come pure ammazzalo!, ammazzala!, ammazzali! e ammazzale! (che nel romanesco si usano più spesso nella forma con e invece che a nella sillaba dopo l’accento: ammàzzete, ammàzzelo, ecc.), deriva dall’imperativo del verbo ammazzà(re), verbo che si trova anche in altre espressioni esclamative dialettali come te possin’ammazzatte!, va a morì ammazzato!, usate a volte anche scherzosamente, oppure in funzione apotropaica (cioè per augurare del male in modo da ottenere del bene).
La nostra espressione (sulla quale si veda ora D’Achille-Thornton 2020), negli esempi più antichi, che risalgono a fine Ottocento, è accompagnata dai pronomi atoni di terza persona singolare e plurale (lo, la, li, le) ed è riferita a persone di cui si disapprova il comportamento, tanto che può essere letta come sviluppo di un’esortazione (ovviamente iperbolica) ad ammazzarle sul serio. Ecco un esempio del genere (che è anche il primo finora reperito), che si riferisce a una donna sposata che ha due amanti:
Lui paga, lei li pîa cor una mano, / E cco’ cquell’antra poi li dà ar zordato. / – Ammazzela! E ’l marito? – È contentone. (Filippo Chiappini, Tra ddu’ serve, 1879)
Ma ben presto, accanto ai pronomi di terza persona – che vengono riferiti anche a cose – si trova pure quello di seconda singolare (ammazzate!) e l’espressione, che quindi non può essere più intesa in senso proprio, passa a esprimere meraviglia e anche ammirazione. La perdita del valore verbale è evidente nella forma col pronome di seconda plurale, che è ammazzeve! e non ammazzateve! (di rarissimo uso). Ecco alcuni esempi:
– Che pesa assai? – Ammazzelo si pesa! (Giggi Zanazzo, Un mortorio a Roma, 1884; il parlante si riferisce a un cadavere, che quindi non può essere ammazzato)– Ammazzete! Tre pacchi n’ha’ sbafati? / E com’ha’ fatto? (Toto Valeri, La Cannelora, 1888)
– Cinquina! – Chi l’ha fatta? – Er sor Furgenzio. – / – Ammàzzeve che bucio! – E mò che resta? – / – Mò ciaresta la tommola, silenzio! – (Armando Laffranco, ’Na tommolata, 1895)
Negli anni Venti del ventesimo secolo le nostre espressioni dal romanesco passano anche all’italiano:
– Eccola lì la torre girante! Ammazzala, com’è alta! (Grazia Deledda, Il sigillo d’amore, 1926)
Ammazzale che carte schifose! (Ettore Petrolini, Benedetto tra le donne, 1927)
Agli anni Cinquanta risalgono i primi esempi del semplice ammazza!, privo di pronomi e con valore decisamente ammirativo, reperibili nei romanzi romani di Pasolini, che documentano pure la forma con il pronome di prima persona singolare ammazzeme!, molto rara ma effettivamente possibile, al pari di quella col pronome di prima persona plurale, ammazzece, attestata nel poeta romanesco Elia Marcelli, in un poema in ottave scritto negli anni Settanta, in cui rievoca la drammatica Campagna in Russia durante l’ultimo conflitto mondiale:
Gli altri giovanotti che indugiavano chi nudo, chi con gli slip penzoloni, chi pettinandosi davanti allo specchietto, chi cantando, se li guardavano con la coda dell’occhio come per dire: “Ammazza quanto so’ gajardi”. (Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, 1955)Agnolo allora prese la rincorsa e si tuffò. “Li mortacci tua!” gridò Marcello vedendolo cadere tutto di sguincio con la pancia. “Ammazzeme”, gridò Agnolo risortendo col capo in mezzo al fiume, “che panzata!”. (ivi)
“Ammàzzece – fo io – che criminali! / Quanti carci stanotte j’âmo dato!”. (Elia Marcelli, Li Romani in Russia, 1988)
Con questo significato puramente “mirativo”, ammazza! è passato dal romanesco all’italiano, tanto che è da tempo registrato anche dai vocabolari di lingua. Nello Zingarelli 2020 viene datato 1870 (anteriormente dunque alle forme, pure registrate, ammazzalo e ammazzete, datate rispettivamente 1923 e 1955), ma si tratta di una datazione basata su una falsa attestazione (cfr. D’Achille 2019).
Accanto a queste forme, che a Roma nel parlato attuale tendono a ridursi a mazza!, mazzete!, mazzelo!, ecc., nel romanesco si usano, con lo stesso significato, ammappelo!, ammappete!, ammappa!, mappa!, ecc., che sono nate quasi contemporaneamente, hanno seguito il medesimo sviluppo e si possono considerare “eufemistiche”. Molto probabilmente sono state influenzate dalla voce giudeo-romanesca mappalah ‘caduta, incidente’, documentata in romanesco fin dal Seicento come mappalà ‘accidente’ (nei Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli troviamo esempi dell’espressione (mannà) li mappalà ‘mandare un accidenti’, ‘augurare del male a qualcuno’). Anche queste forme sono state da tempo accolte nella lessicografia italiana, pur essendo più caratterizzate sul piano dialettale-regionale.
In definitiva, l’amazing! angloamericano ricordato dal nostro lettore non ha nulla a che vedere con il romanesco ammazza! Non si può escludere, tuttavia, che nel doppiaggio, in cui è importante anche il sincronismo labiale, cioè la corrispondenza tra le parole pronunciate dal doppiatore e il movimento delle labbra degli attori, alcuni amazing! dei film originali siano stati resi con ammazza!, tanto più perché le principali cooperative di doppiaggio hanno sede a Roma.
Nota bibliografica:
Paolo D'Achille
Anna M. Thornton
7 agosto 2020
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