Balordo

Alcuni lettori ci chiedono chiarimenti sulle possibili accezioni di balordo: può riferirsi solo a persone oppure in alcuni contesti anche ad altro? Può, come accade nel linguaggio giornalistico, riferirsi anche a un assassinno? Se usato al femminile può indicare anche una prostituta?

Risposta

Come suggeriscono i quesiti, il valore semantico di balordo risulta piuttosto aggrovigliato, specificandosi in base al contesto. Dalla consultazione dei principali dizionari dell’uso si evince che due sono i significati fondamentali: quello di ‘sciocco, insensato’ e quello di ‘sbandato, poco raccomandabile, malvivente’. Nell’uso attuale, a questi due significati se ne può aggiungere almeno un terzo, connesso al primo: è quello di ‘stordito, intontito, per stanchezza, sonno, stupore e sim[ili]: mezzo balordo dal vino’ (così Zingarelli 2022, che però lo considera di uso raro o letterario), significato cui peraltro si riferisce l’esempio probabilmente più noto di balordo, che si incontra nel II capitolo dei Promessi Sposi (cfr. GDLI, s.v.)

La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l’ansietà dell’avvenire, fecero l’effetto. Affannato e balordo, [don Abbondio] si ripose sul suo seggiolone, cominciò a sentirsi qualche brivido nell’ossa, si guardava le unghie sospirando, e chiamava di tempo in tempo, con voce tremolante e stizzosa: “Perpetua!”.

Un’ulteriore accezione, riferita ad animali, è quella di ‘bizzoso’ (Nuovo De Mauro, GRADIT) o ‘che vale poco’ (Vocabolario Treccani online; Sabatini-Coletti; Devoto-Oli; per es. cavallo balordo). Nuovo De Mauro, GRADIT e Sabatini-Coletti riferiscono inoltre i significati di ‘strampalato’ (per es. idea balorda) e, in relazione a fattori climatici, ‘incerto’ (per es. tempo balordo), mentre il Nuovo De Mauro e il GRADIT sceverano ulteriormente il significato del termine segnalando anche le accezioni di ‘difficile, problematico’ (per es. situazione balorda) e di ‘malfatto’ (per es. lavoro balordo).

I due significati principali di balordo, cioè quello di ‘sciocco’ e quello di ‘sbandato’, si ritrovano tanto nella funzione aggettivale quanto in quella nominale. Almeno dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, come vedremo, nella funzione nominale sembrerebbe aver preso sempre più piede il significato di ‘sbandato’: ciò equivale a dire che se oggi ci si riferisce a un balordo, senza ulteriori specificazioni, si intende una persona sbandata o emarginata, oppure un malvivente o malfattore, e non, o solo secondariamente, una persona sciocca o fuori di senno.

Soffermandoci sull’uso attuale, a suggerire tale specializzazione semantica non sono tanto le fonti lessicografiche, ma uno sguardo agli archivi digitali di testi giornalistici. Sul fronte lessicografico non si forniscono infatti particolari indicazioni in merito, con l’eccezione, forse, di Sabatini-Coletti, se si può interpretare in tal senso l’anteposizione del significato di malvivente, malavitoso di secondo piano; sbandato, emarginato: un b. di periferia’ a quello di ‘persona sciocca, spec. in senso scherz[oso]: sei proprio un b.’; dal canto opposto Zingarelli 2022, per esempio, pospone l’uso sostantivale di balordo come ‘piccolo delinquente, sbandato, emarginato’ (che marca come gergale) a quello di ‘persona sciocca, stolida’.

Sul fronte dell’usus, la ricerca di balordo/-a/-i/-e nella banca dati del Vocabolario Dinamico dell’Italiano Moderno (VoDIM), che riunisce oltre 45.000 testi di varia tipologia compresi in un arco cronologico che va dal 1775 al 2000, permette di fare diversi ordini di osservazioni: che lo statuto aggettivale appare di gran lunga prevalente su quello nominale; che balordo viene impiegato pressoché sistematicamente nel significato di ‘sciocco’ e in seconda battuta di ‘cattivo, malfatto’, ma anche, più recentemente, di ‘delinquente’; infine, che la voce ricopre uno spettro semantico ampio, benché sempre di segno negativo, sfaccettandosi in base al contesto e talvolta variando anche all’interno di uno stesso testo, come dimostrano le dodici occorrenze di balordo/-a/-i/-e rintracciabili nella Chiave a stella (1978) di Primo Levi (‘strambo’, ‘malfatto’, ‘fantasioso’, ‘cattivo’, ‘rovinato’):

Così lui mi ha spiegato che si trattava di una questione balorda: gli operai, da un pezzo, chiedevano che la cucina del cantiere facesse da mangiare secondo la loro religione;
Io non saprei dirle perché tutti i lavori che ci tocca fare a noi siano sempre in dei posti balordi: o caldi, o gelati, o troppo asciutti, o che ci piove sempre;
Se vuol sentire la storia di un montaggio balordo, e io lo so che c’ è gente che gode a sentire le disgrazie degli altri, allora senta questa;
le assicuro che è stato un lavoro balordo. Intanto, mica per dire, ma le maestranze del posto erano tutte cefole;
Ma io l’anima ce la metto in tutti i lavori, lei lo sa, anche nei più balordi, anzi, con più che sono balordi, tanto più ce la metto;
supponendo che mi fosse lecito parlare a nome degli scrittori propriamente detti, le giornate balorde capitano anche a noi;
mi ha fatto venire in mente un monumento balordo che una volta aveva fatto mio padre con dei suoi amici, un pezzo per volta, di domenica dopo le bocce, tutti vecchiotti, e tutti un po’ strambi e un po’ bevuti;
siccome il mondo è grande, e è tutto fatto di paesi, e praticamente uno non lo può girare tutto, finisce che uno si riempie di idee balorde su tutti i paesi, magari anche sul suo; era stato un lavoro balordo, perché quel fiume trascina molta sabbia;
ci siamo arrangiati con un po’ di inglese, ma lei capisce che fra la cabina che continuava a ballare, lo sbordimento, e l’affare della lingua, ne è venuta fuori una discussione balorda;
le vernici assomigliano più a noi altri che ai mattoni. Nascono, diventano vecchie e muoiono come noi, e quando sono vecchie diventano balorde; e anche da giovani sono piene di inganni.

Scorrendo le occorrenze complessive di balordo/-a/-i/-e riportate dallo stesso VoDIM si può evincere come nelle prime sia indubitabile il significato di ‘sciocco’ mentre via via, nel tempo, questo significato appaia sempre più alternato o contaminato con quello di ‘brutto, cattivo’. Di seguito si ricordano per esempio le prime occorrenze riportate da VoDIM, che risalgono ai Racconti, leggende e ricordi della vita italiana (1856-1857) di Massimo D’Azeglio:

ho sempre avuto per massima che, da ogni compagnia come da qualunque individuo, v’è sempre qualche frutto da raccogliere, qualche cognizione da acquistare. V’è sempre (sia pur persona volgare) una cosa qualunque ch’essa sa, e che voi non sapete; tutto sta a farla scaturire. L’individuo, alla peggio fosse pure un balordo, è bene di sapere come son fatti anche i balordi, e come si prendono. Quante volte s’ha bisogno di una persona e si immagina sia qualche cosa, ed invece si trova un balordo! […] poi non bisogna mica immaginarsi che il civis romanus, [n]on quello di lord Palmerston, ma quello che sta a cassetta per le piazze e per le vie della santa città, sia un balordo che non capisce niente.

Le ultime attestazioni della voce, sempre stando al VoDIM, risalgono invece al 1996 e si rintracciano nel fumetto “Tex Willer”: “Guarda! Uno di quei balordi ha perso il ber[r]etto”. Qui il significato sembrerebbe ancora quello di ‘sciocco’, mentre volgendo alle occorrenze sui giornali, che come è noto meglio consentono di tastare il polso della lingua viva, si incontra un’occorrenza sulla “Stampa” (1987) in cui il significato è quello di ‘malvivente, sbandato’: “Giuseppina era una brava ragazza. Impensabile una doppia vita, un legame con personaggi balordi, con un mondo non suo”; anche in questo caso va però notato come alla stessa altezza cronologica, e sempre sulla “Stampa”, si incontrino due esempi in cui balordo potrebbe significare sia ‘dissennato’ sia ‘delinquente’:

Un’ipotesi credibile che tuttavia non ha distolto gli investigatori dalle altre piste: il delitto di un pazzo, di un drogato, di un balordo;
L’omicidio a scopo di rapina, (un drogato in crisi di astinenza, un balordo, un pazzo?) proprio per l’assenza della borsetta, appare il più credibile anche se non convince nessuno.

Nella stretta sincronia è sempre l’ambito giornalistico a confermare questo significato predominante. Una campionatura limitata agli articoli del 2020 e del 2021 del “Corriere della Sera” conferma l’odierna accezione prevalente di ‘delinquente’, spiccata soprattutto nell’uso nominale (per es. “Spintonata e derubata dell’incasso da un balordo”: 4/1/2020; “il primo balordo ha estratto il coltello e ha colpito quell’altro”: 16/2/2020); in quello aggettivale si conferma l’alternanza semantica di cui s’è ampiamente detto (per es. “è già un successo nell’anno balordo del coronavirus”: 20/8/2020; “Confessando che erano entrati in una sorta di serialità, e che avrebbero continuato a rapinare tassisti con la tecnica balorda ripresa nei video”: 17/8/2020). In ogni caso non appaiono il significato di balordo come ‘assassino’ e di balorda come ‘prostituta’, su cui si interrogavano i lettori e che possono essere considerati, stante l’ampia semantica negativa ricoperta dalla voce, usi eufemistici estemporanei.

Portato qualche lume sul significato del termine nell’uso attuale, si può ora accennare alla sua evoluzione storica. L’attestazione più antica di balordo si trova nelle Vite dei Santi Padri, un volgarizzamento, ascrivibile all’area del toscano occidentale, ad opera di Francesco Cavalca; nel contesto in oggetto, cioè “mandavalo marvestito e sì balordo ch’era un fastidio a vederlo”, la voce assume il significato di ‘Disordinato nei costumi e negli atti, poco raccomandabile’ (TLIO). L’attestazione della voce può essere fissata a prima del 1342, anno di morte del Cavalca (ibidem). è sempre il TLIO a ricordare come la voce fosse anticamente attestata, con uso sostantivale, anche nella variante valordo [la v si spiega con il betacismo, tipico del romanesco antico], sia nel significato che abbiamo appena visto (“Missore Alberto avea con seco una compagnia desordinata, iente valorda e sboccata”: Anonimo romano, Cronica, ante 1360) sia, con esempio tratto dalla stessa fonte, nel significato sostantivale di ‘chi fa parte della plebaglia’ (“Pento che fu, li valordi de Roma li iettaro sopra lo loto per destrazio”).

Per quanto riguarda l’etimologia della voce, essa è discussa, ma parrebbe derivare dall’antico francese beslourd, formato dall’unione dell’intensificatore latino bis- ’doppio, doppiamente’, qui impiegato con valore peggiorativo, e del latino parlato *lŭrdu(m) per lūridu(m) ’pallido’, da cui ‘sbalordito’. Il francese balourd, “data la sua tarda apparizione – sec. XVI – può essere un italianismo” (DELI) e in effetti come tale è registrato in DIFIT, che lo attesta in varie accezioni nel francese e nel tedesco; in particolare, balordo è entrato in tedesco sia come prestito indiretto (balourd, attraverso il francese) sia come prestito diretto (Balordo, “1860-65: Personaggio della Commedia dell’arte […]”).

Dopo le sue prime apparizioni alla metà del Trecento, la voce risulta attestata nella nostra lingua con continuità, specialmente in prosa e in funzione aggettivale (GDLI). Stando al DELI, la prima attestazione di balordo come sostantivo si ritroverebbe in Benvenuto Cellini, che impiega il termine nell’accezione di ‘persona balorda’ (la datazione fornita risale a prima del 1571, anno della morte di Cellini).

Come testimoniano GDLI, ma anche la BIZ, in decorso di tempo appare prevalente il significato di ‘sciocco, intontito’, testimoniato lungo tutta la nostra storia letteraria – da Sacchetti a Goldoni (“Voglio esser buona, ma non balorda”: La bottega del caffè) a Pasolini e Gadda –, mentre quello di ‘malfatto, inaffidabile’ appare più consistente a partire dal Settecento (il primo esempio riportato da GDLI risale al Baretti: “Non mi s’è mai potuta appiccare la smania di fare il balordo e facchinesco mestiere dell’antiquario”: “La Frusta Letteraria”). Il significato di ‘malvivente’, come s’è detto, apparirebbe invece di più recente diffusione. Assente dai nostri più importanti dizionari storici (cioè nelle cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca, nel Dizionario della lingua italiana di Tommaseo e Bellini e nello stesso GDLI, esso viene datato al 1955 dal GRADIT:

2a. agg., s.m., che, chi non dà alcun affidamento: è una ragazza balorda, sta lontano da quel b.! | s.m. [1955] malvivente, delinquente: frequenta una compagnia di balordi | agg. caratterizzato dal rifiuto delle regole civili o da delinquenza: vita, esistenza balorda

Seguendo l’evoluzione della voce in un dizionario dell’uso come lo Zingarelli si può constatare come il significato di ‘delinquente’ manchi fino alla IX edizione (1967), per comparire a partire dalla X (1970). Qui balordo viene contemplato come sostantivo e chiosato come voce “sett[entrionale] gerg[ale] Appartenente alla malavita” (nelle edizioni successive cadrà la marca geografica, mentre rimarrà fino a oggi, come s’è visto, quella di gergalità). In ogni caso, seppur questo significato stesse facendosi strada fra gli anni Cinquanta e Sessanta, ancora alla fine degli anni Sessanta il significato di ‘sciocco’ o ‘strambo’ doveva comunque essere prevalente: lo provano, fra i molti esempi che si potrebbero produrre, il fatto che il protagonista del romanzo Il Balordo (1967) di Piero Chiara sia un omone bonario e taciturno, e non certo un delinquente, e che nella serie di episodi intitolati Le donne balorde (in onda dal 1970) Franca Valeri impersoni una galleria di stravaganti figurine. A ulteriore riprova si può ricordare come nel repertorio di Giovanni Casalegno e Giordano Bruno Guerri, Brutti, fessi e cattivi. Lessico della maldicenza italiana (Torino, UTET, 2005, s.v.) l’accezione di ‘Persona rozza e violenta che si rende responsabile di aggressioni, pestaggi, stupri ecc.’ porta solo un paio di esempi ricavati dal web, mentre per l’accezione di ‘Che parla o opera sconsideratamente; che ha poco cervello’ si portano esempi dal Trecentonovelle (fine XIV sec.) di Franco Sacchetti a Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994) di Enrico Brizzi.

Si può infine ricordare come una rassegna sui principali dizionari dialettali mostri la diffusione della voce, con le ovvie specificità fonetiche, nei dialetti della penisola (cfr. friulano balord/balort, milanese balórd, bolognese balôurd, siciliano e sardo balòrdu ecc.), con una particolare diffusione, sembrerebbe, nel nord Italia, come potrebbero dimostrare i derivati balordaggin o balordisia (Arrighi, milanese) o balordón ‘capogiro’ (Cherubini e Arrighi; idem nel parmigiano: balordòn, mentre nel veneziano questa voce significa ‘balordaccio, stolidaccio’). Dalle parlate del nord balordone si sarebbe peraltro diffuso anche nei linguaggi giovanili italiani: la voce risulta infatti attestata da Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno in Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili (Torino, UTET, 2004, s.v.), chiosato come “Stato confusionale, confusione mentale; voce di provenienza dial. (piemontese balurdùn e lombardo balordòn ‘capogiro’)” e attestato sull’ “Espresso”. Potrebbe essere dovuta a un’influenza regionale anche la progressiva acquisizione del significato di ‘malvivente’, considerando l’attiguità formale di balordo con baloss ‘briccone’, voce di area piemontese e lombarda (ma si tratta di una congettura che richiederebbe ulteriori indagini, per cui viene qui proposta come possibile ipotesi di studio).

Nota bibliografica:

  • Arrighi: Cletto Arrighi, Dizionario milanese-italiano, Milano, Hoepli, 1896.
  • Cherubini: Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Stamperia reale, 18141, Milano, Imp. regia stamperia-Società tipografica de’ classici italiani, 1839-18562.

Giuseppe Sergio

30 novembre 2022


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