A coloro che hanno espresso perplessità sull'uso del termine concittadino in luogo di connazionale da parte del neoeletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, proponiamo la lettura di questo articolo di Salvatore Claudio Sgroi comparso sul Sicilia Journal, Giornale online di notizie, il 4 febbraio scorso.
Concittadino o connazionale?
Il Presidente da quella bocca può dire ciò che vuole
“Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini”; sono state queste le prime parole di Sergio Mattarella da presidente della Repubblica, riprese più volte dai mass media. Dinanzi a questa riflessione del neo-presidente c’è stato chi ha creduto opportuno bacchettare l’eloquio presidenziale con un: “Presidente, si dice connazionali!!!”
Una reazione del genere è invero indizio preoccupante di una concezione del linguaggio paleolitica, e deprimente per il retroterra culturale che lascia intravedere. Per varie ragioni.
In primo luogo, il dire in bocca a un locutore di tal fatta (“il capo dello stato”) è di per sé “esemplare”, nel senso che è immancabilmente un modello per tutti gli altri parlanti. Il ruolo sociale dei parlanti con relativo “prestigio” è alla base del giudizio di “correttezza” e “norma” della lingua. Un uso “neologico”, anche quando è percepito come controcorrente, come infrazione alla tradizione, si configura, in quanto in bocca a parlanti di tale prestigio, di per sé come correttissimo, e da imitare.
In secondo luogo, tale uso (concittadino col significato di “connazionale”) è invero assai corrente (e da secoli) e quindi tutt’altro che neologico. Fa infatti parte della competenza lessicale interiorizzata e quasi inconscia di un parlante con cultura media, quale è un diplomato. “Concittadino” come “abitante della stessa città” in quel contesto è inammissibile. Le “speranze dei nostri concittadini” non sono certamente quelle dei soli “palermitani” (luogo di nascita del capo dello stato).
In terzo luogo, il rilievo di etero-censura e di auto-censura è in realtà il risultato di un atteggiamento logicistico, che contraddice la natura del linguaggio umano. Che funziona solo se, in quanto realizzazione di una lingua viva, risponde agli infiniti bisogni espressivi e comunicativi dei parlanti di una comunità. E per funzionare una lingua non può non cambiare, come effetto, nel caso specifico, di una banale estensione semantica del significato letterale. Il termine concittadino denota infatti: (i) il “cittadino della medesima città” e (ii) il “cittadino del medesimo stato”.
In quarto luogo, un giudizio di censura dell’accezione presidenziale avrebbe dovuto comportare una verifica negli strumenti istituzionali della lingua, quali sono i dizionari, dell’italiano, almeno otto-novecentesco, che registrano approvandoli così implicitamente (o censurandoli implicitamente o esplicitamente) i vari usi lessicali. Ma va anche detto che i dizionari forniscono una foto necessariamente approssimativa della lingua di milioni di parlanti. E una rapida scorsa nella dizionaristica contemporanea dà adito infatti a qualche sorpresa. Il De Mauro (2000) registra i due significati: “[i] cittadino della medesima città o [ii] del medesimo stato”. Lo Zingarelli almeno dal 1970 ad oggi, indica le due accezioni: “[i] cittadino del medesimo Stato o [ii] della medesima città”, dando la priorità all’accezione presidenziale. Così ancora il pur purista Gabrielli 1993 con il Gabrielli-Hoepli 2009 e il Passerini Tosi (1969). Per il Migliorini 1965, che ripeteva il Cappuccini (1911, 1937), concittadino era invece “Assai raro per Connazionale”.
Il che conferma quindi il carattere di “norma” di concittadino “connazionale” (uso riconosciuto e giudicato corretto) del Presidente, che non fa che riprendere e confermare l’uso di milioni di italofoni colti.
La sorpresa è costituita da altri pur noti dizionari, ma lacunosi al riguardo, che registrano solo l’accezione letterale (concittadino “cittadino della stessa città”) ignorando quella più ampia: così il Devoto-Oli (2015) in tutte le sue edizioni fin dal 1967; così il Garzanti 2010 fin dal 1965, così il Sabatini-Coletti 2007 (fin dal 1977), così il Duro-Treccani (1986-1994 e III ed. on line 2008) col Treccani-Simone 1988-2009, così il De Felice-Duro 1974 e 1993, il Palazzi-Folena 1974 e 1992, il Gabrielli illustrato 1989, il DIR 1988, il Dardano 1981-82, il Palazzi 1939 e 1957. Ma nell’800 la vocabolaristica si rivelava più affidabile: così il Petrocchi (1884-1891). E decisamente più sicura la lessicografia storica come il Tommaseo-Bellini [1861] 1865-1879 e il Battaglia (1961-2002, e 2004, 2009). E mentre la Crusca nella IV ed. 1729-38 registrava l’accezione ristretta, la V del 1863-1923 ampliava la documentazione.
Morale della favola: i dizionari del 2000 ancora in ritardo sugli usi colti si affrettino ad aggiornarsi. Quanto ai parlanti pur colti come italofoni, ma avventati nel giudicare gli usi altrui, e digiuni di glottologia e di linguistica generale, consigliamo la lettura di un manuale di base, di quelli facilmente reperibili nei programmi per le lauree triennali. Infine, per i lettori più curiosi e attivi, un esercizio utile è l’auto-analisi e la ricerca nella lessicografia cartacea e on line di voci variamente sinonimiche di concittadino, quali corregionale, compatriota, connazionale, conterraneo, (com)paesano, con relativi etimi, sincronici e diacronici, e date di prima attestazione.
Salvatore Claudio Sgroi
Piazza delle lingue: Lingua e diritto
13 febbraio 2015
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