Da o di: quale preposizione scegliamo?

Diversi lettori ci chiedono chiarimenti riguardo all’alternanza delle preposizioni di e da in alcuni costrutti: si dice servire da o di lezione? Pandemia da o di Covid? Malato da o di Covid?

Risposta

Nei casi su cui ci interrogano lettori anche molto avvertiti, “qualcosa serve da o di lezione a qualcuno?”, il verbo servire, nel senso di fungere, funzionare, ha funzione copulativa e collega a un soggetto un complemento predicativo introdotto da di o da e un complemento indiretto, come fanno altri verbi copulativi, tipo fare: “il versamento fa da anticipo sui pagamenti futuri” o essere: “il fratello ti sia d’esempio”. La concorrenza nella stessa funzione spiega la sovrapposizione delle due preposizioni originando i dubbi dei lettori. In entrambi i costrutti le due preposizioni introducono infatti un complemento predicativo del soggetto, dandogli anche una sfumatura di scopo (soprattutto in passato, ma anche in usi meno formali della lingua moderna, non è rara la costruzione con per, abituale per introdurre completive finali, anche davanti a nome: “serve per lezione, per ornamento…”), che è compresa tra i diversi valori più frequentemente introdotti dalle due preposizioni. Difficile dunque distinguere.

C’è però da osservare, con l’aiuto del GDLI, che i costrutti con di, per questo significato figurato di servire, sono più antichi di quelli con da e cominciano ad essere attestati già dal Seicento. Di è la preposizione che accompagna servire in molti costrutti, specie pronominali e si è affermata anche in questo. Orazio Rucellai scriveva nel XVII secolo: “la bellezza… serva anche di specchio alla ragione”; Melchiorre Cesarotti nel XVIII: “Questo avviso potrà servire d’appendice al nuovo sistema”; Leopardi nel primo Ottocento: “gli errori della mezza filosofia possono servire di medicina” e Verga nel secondo Ottocento: “l’armadio a muro […] che serviva di cappella”. Il costrutto con da appare, nella voce del GDLI, solo con Govoni, cioè nel Novecento: “un vecchio sacco […] aveva servito da ombrello al facchino”.

Qualche caso più antico con da si trova, ma legato a un significato non ancora figurato e al valore predicativo con costrutto transitivo di servire, come quando in Goldoni si legge: “vi servirò da amico”, cioè ‘servirò voi come lo fa un amico’. Da qui poi si deve essere sviluppato l’uso figurato e copulativo di cui ci stiamo occupando (da ‘y serve qualcuno come x’ a ‘y funge da x per qualcuno o qualcosa’ il passo non è lungo), con servire che, da transitivo costruito con complemento diretto, è passato a copulativo con complemento predicativo del soggetto e con un complemento indiretto (y serve di/da x per z). Ma anche in questo nuovo significato e funzione, servire ha a lungo conservato di, tuttora ampiamente usata. Da arriva più tardi, come si diceva. Bisogna aspettare il tardo Ottocento e soprattutto il XX secolo per notarne un uso consistente, come dimostrano i casi riportati nel corpus dei romanzi del Premio Strega (PTLLIN), dove non mancano le reggenze con di, ma quelle con da sembrano ormai prevalere. Se serve da e serve di stanno alla pari, per 21 serviva da c’è solo un serviva di e per 8 servire da ci sono solo 2 servire di.  Nondimeno, a tutt’oggi, nella maggior parte delle espressioni ricercabili su Google (servire di/da guida, esempio, lezione, illustrazione, ornamento, sostegno ecc.), di continua ancora a essere numericamente prevalente.

Se il passaggio al significato figurato e alla funzione copulativa con costrutto indiretto di servire è spiegabile come abbiamo appena supposto, resta non evidente perché la reggenza con da stia crescendo nell’uso a scapito di quella originaria con di. Si può pensare che si tratti di un effetto di trascinamento dei verbi che parafrasano servire in questo significato, come fungere o funzionare, che vogliono sempre da.  In ogni caso, i due costrutti di servire, con di o con da sono entrambi legittimi e l’opzione è in generale indifferente.

Dubbi tra la reggenza con di o con da sono stati sollevati da alcuni lettori anche in dipendenza da tristi parole purtroppo ricorrenti nella recente pandemia. Veniamo alle domande dei lettori. Se con Covid (19) intendiamo, come, a rigore, si dovrebbe, la malattia causata dal Coronavirus, la preposizione richiesta da malato dovrebbe essere di, che introduce un complemento di causa. Come uno è malato di tumore o di gotta, così uno è malato di Covid. Ma di ha anche il consueto valore di specificazione, che precisa l’ambito, l’appartenenza del nome, e quindi come c’è un’epidemia di scarlattina o di tifo, così c’è un’epidemia di Covid. Però, lo si è già detto in altro intervento, nell’italiano comune Covid sta anche e soprattutto per il virus (SARS-coV-2) che la provoca (di qui la prevalenza del pur etimologicamente non corretto maschile, laddove la malattia della sigla vorrebbe il femminile). Per il virus allora, causa efficiente dell’epidemia, è preferibile da, e si ha un’epidemia (o un contagio) da (provocata da: causa efficiente) Covid, come c’è un’epidemia da streptococco o un contagio da HIV.

Anche in questo dominio semantico il territorio di di e quello di da sono molto vicini, come dimostra la reggenza dell’ancor più tragico morto. Ci può essere infatti uno che è morto di paura o dalla paura. Ma col nome di malattie prevale di, di semplice causa (come in “i due fratelli sono morti di malaria”), senza quella sfumatura che con da farebbe pensare a una causa efficiente (“i due fratelli sono stati uccisi dalla malaria”), quindi a un sottinteso costrutto passivo, che con morti, almeno nella lingua comune, non è ammesso: i morti di Covid, lo sono a causa del/ della Covid, come i morti di peste; ed è meglio evitare i morti da Covid, costrutto inopportuno e impreciso come lo sarebbe ‘i morti da vaiolo’. Perché si sia verificato questo esteso slittamento verso da, mentre con nomi di malattia c’è sempre stato solo di, si può forse spiegare con la contiguità di queste due preposizioni nei valori di causa e con la sovrapponibilità di causa e di causa efficiente. Ma, forse, la crescita di da è spiegabile anche con la recente vitalità di questa preposizione, attestata pure dal caso che abbiamo trattato prima.

Vittorio Coletti

22 febbraio 2023


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