Lo scrittore inglese che ha inviato la richiesta di consulenza sta conducendo approfondimenti sul significato della parola vendetta negli anni Trenta e nei primi anni Quaranta del Novecento, e ci chiede se nel periodo in questione il GDLI riportasse già come definizione di vendetta del sangue “quella [vendetta] che colpisce un omicida o un qualsiasi membro del suo gruppo familiare, in genere con esclusione di donne, bambini e anziani; è oggi per lo più sostituita da un risarcimento alla famiglia dell'ucciso”.
Chiariamo subito che tale definizione, accompagnata dalla marca etnol., si trova nel XXI vol. (TOI-Z), che è stato pubblicato nel 2002, e che pertanto non possono esistere definizioni del GDLI precedenti a questa data. Quasi identica alla definizione del GDLI – ma un po’ più sintetica – è quella riportata dal GRADIT, pubblicato quattro anni prima, in cui è utilizzata la marca “TS etnol.”, a conferma dell’appartenenza dell’espressione al linguaggio tecnico-specialistico dell’etnologia: “che colpisce un omicida o un qualsiasi membro del suo gruppo familiare, a esclusione di donne, bambini e vecchi”. Come si sa, il GRADIT, pur essendo un dizionario dell’uso, assegna un ampio spazio al lessico dei settori specialistici, così come alle espressioni polirematiche (vendetta del sangue appartiene anche a quest’ultima categoria, trattandosi di un’unità lessicale formata da più parole). La definizione del GRADIT compare anche nel Nuovo De Mauro.
Riteniamo che la fonte comune a cui hanno attinto GRADIT e GDLI sia il VOLIT di Aldo Duro, risalente al 1986-1994 e caratterizzato, come il GRADIT, da un lemmario più ampio rispetto a quello di altri dizionari dell’uso, nonché dall’intento programmatico di aprirsi ai lessici scientifici e professionali. Alla voce vendetta, vendetta del sangue è presente come accezione distinta:
In etnologia, v. del sangue, forma di vendetta che può colpire sia l’uccisore sia qualsiasi membro del suo gruppo familiare, secondo leggi e usi particolari, generalmente con l’esclusione delle donne, dei bambini, dei vecchi. In molti casi è sostituita oggi da un risarcimento alla famiglia dell’ucciso, talora accompagnato da un sacrificio animale, o da un matrimonio tra un uomo del gruppo dell’uccisore e una donna di quello dell’ucciso.
La definizione (presente ora anche nel Vocabolario Treccani online) è più estesa di quella riportata da GRADIT e GDLI, e il suo assetto risulta maggiormente sbilanciato verso quello di una voce di enciclopedia. La definizione del VOLIT trae in effetti origine dalla voce vendetta dell’Enciclopedia Italiana Treccani (Appendice V, 1993), oggi consultabile online:
[…] in caso di omicidio, la famiglia dell’ucciso può, e in certi casi deve, vendicarsi direttamente sulla famiglia dell’uccisore, seguendo determinate prescrizioni per placare lo spirito del morto e ristabilire l’equilibrio del proprio gruppo. Questa forma di v., detta v. del sangue, può colpire sia l’uccisore, sia un qualsiasi membro del suo gruppo familiare, secondo leggi di precedenza che variano da società a società, ma che quasi sempre risparmiano donne e bambini, sovente anche gli anziani. Gli schiavi e gli appartenenti a una bassa casta sono esclusi dalla v. del sangue per un individuo di classe elevata. In certi casi che, dopo l’acculturazione europea, costituiscono la maggioranza, si preferisce evitare un nuovo spargimento di sangue umano, risarcendo la famiglia della vittima con beni di consumo, accompagnati o no da un sacrificio animale, oppure unendo in matrimonio un uomo del gruppo dell’uccisore con una donna della famiglia dell’ucciso.
Nella voce dell’Enciclopedia Treccani redatta precedentemente dall’etnografo Raffaele Corso (Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1929-1937, vol. XXXV), pubblicata nel 1937 (anch’essa consultabile online) è presente un’ampia trattazione della vendetta del sangue e delle forme che ha assunto nelle diverse società, a partire da quelle primitive. Dal momento che l’interesse del nostro destinatario è rivolto proprio alle definizioni di vendetta del sangue diffuse negli anni Trenta-Quaranta del Novecento, riporteremo almeno la definizione che si trova nella parte iniziale della voce:
un debito sacro che incombe ai confratelli della genealogia dell'ucciso contro quelli della genealogia dell’uccisore. Da qui il nome di “vendetta del sangue” e la norma che rende solidale da una parte la gente del primo, e dall’altra la gente del secondo; quella a vendicare il proprio morto (solidarietà attiva) e questa a condividere la responsabilità del colpevole (solidarietà passiva).
Tornando ai dizionari storici e dell’uso, si può concludere che la definizione riportata dal VOLIT – e poi ripresa, più o meno letteralmente, dal GRADIT e dal GDLI – sia l’unica che abbia mai circolato in questo tipo di opere lessicografiche; in precedenza, nessun altro vocabolario ha registrato vendetta del sangue, limitandosi ad accogliere espressioni con vendetta attestate in Dante (vendetta allegra e vendetta giusta) o in Boccaccio (vendetta intera). Vendetta del sangue ha dunque fatto il suo ingresso nei dizionari a partire dal 1994 (data di pubblicazione del volume S-Z del VOLIT), con esclusivo riferimento all’ambito etnologico.
Quanto alla storia della locuzione, da un sondaggio in Google libri (condotto il 24 giugno 2024) si ricava che vendetta del sangue comincia a circolare in italiano nel primo Ottocento in testi come i seguenti: la Dottrina dell’umanità del giurista Giandomenico Romagnosi (1836); un articolo di Tommaso Locatelli pubblicato nel “Vaglio. Antologia della letteratura periodica”, in cui, a proposito della “guerra, che al presente la Russia sostiene con le popolazioni del Caucaso”, ci si sofferma sui costumi dei Circassi (1837); la “Gazzetta Piemontese” del 1839, sempre con riferimento ai Circassi; le traduzioni di opere dello storico Heinrich Leo pubblicate nei primi anni Quaranta. Nei decenni successivi la locuzione appare ben attestata negli àmbiti della giurisprudenza etnologica e del diritto comparato; a titolo di esempio, riporteremo un passo tratto dal saggio Le pene contro i defunti e i famigliari del reo di Mario Morasso, pubblicato in “Antologia giuridica”, VII, 1893 (f. 2 [luglio], pp. 73-96; f. 4 [settembre], pp. 219-255), nel quale si parla della vendetta del sangue presso diverse popolazioni:
Presso i Drusi la vendetta del sangue corrisponde allo stadio della associazione famigliare, con i suoi principj fondamentali vale a dire senza alcuna preoccupazione né del caso, né della colpa, né del dolo, né della personalità del colpevole; quivi le famiglie singole, e gli interi villaggi vivono in perpetua lotta.
Con riferimento al primo Novecento, e in particolare alla fase temporale oggetto della consulenza, citeremo due passi tratti dal numero della rivista “La giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e legislazione” del 1937: “Di regola il dovere della vendetta del sangue incombe sul parente più vicino di sesso maschile della vittima”; “Evidentemente, seguendo tali criteri, quasi tutti gli omicidi che noi moderni consideriamo colposi sarebbero stati considerati secondo la legge mosaica come dolosi e avrebbero, quindi, dato luogo alla vendetta del sangue”. Segnaliamo anche che, per quanto non si evinca dagli esempi citati, fin dall’Ottocento vendetta del sangue è ben attestata anche nella variante con preposizione semplice (vendetta di sangue).
Oggi l’espressione vendetta del sangue / vendetta di sangue è tipica del lessico di thriller e romanzi gialli, nei quali si riferisce all’uccisione di chi ha assassinato membri della propria famiglia: nel 2013 Vendetta del sangue è stato il titolo scelto per tradurre in italiano Vicious Circle di Wilbur Smith; l’espressione è poi comparsa nei titoli di vari altri romanzi, come Vendetta di sangue di Andrea Mingardi del 2016 (Milano, Centauria) e Spietati. La vendetta del sangue di Ambrogio Andreotti del 2021 ([s.l.], ARPOD). E non a caso la richiesta di consulenza ci è stata inviata da uno scrittore.
Maria Silvia Rati
9 settembre 2024
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