Alcuni lettori si domandano se la variante liquerizia (ma anche liquierizia) sia una forma corretta da utilizzare, sia nel parlato che in testi scritti.
La Glycyrrhiza glabra è una pianta erbacea perenne. L’estratto vegetale ottenuto dalla bollitura del suo fusto sotterraneo è utilizzato in erboristeria e in cucina, per la preparazione di dolci e caramelle. La denominazione data sia alla pianta sia al prodotto che se ne ricava è ciò che ha destato in questa occasione la curiosità dei lettori, che si domandano quale possa essere la variante corretta tra liquirizia e liquerizia. Numerose sono infatti quelle possibili; ad esempio, oltre alla forma liquirizia (a lemma) il GDLI riporta un lungo elenco di varianti, indicate come regionali (legorìzia, licorìzia, ligorìzia, liguorìzia, ligurìzia, liquerìzia, liquirìzzia, liquorìzia, logorìzia) e anche nel GRADIT si trovano liquerizia e liquorizia, indicate come popolari. La quantità di forme esistenti è dovuta al fatto che il sostantivo liquirizia è uno dei casi più noti e travagliati di etimologia popolare, processo in cui il parlante tende ad inserire, all’interno di una serie di parole note e trasparenti, un termine difficile dal punto di vista della pronuncia e/o opaco dal punto di vista del significato, deformandolo in vario modo (cfr. Paolo Zolli, Come nascono le parole, Milano, Rizzoli, 1989, p. 145).
Le origini del sostantivo risalgono al greco glykýrrhiza (letteralmente ‘radice dolce’), composto appunto di glykýs ‘dolce’ e rhìza ‘radice’. Il latino classico conosceva la forma etimologicamente corretta glycyrrhiza, utilizzata anche da Plinio (e tuttora impiegata nel nome scientifico, come si è visto all’inizio), ma nel latino tardo il termine inizia già a modificarsi e se ne diffonde una prima variante: liquiritia(m). Il prestito greco, evidentemente, risultava troppo ostico e difficile da pronunciare per i parlanti latini, che avvicinarono la parola alla serie di liquidus ‘liquido’ e liquor ‘sostanza liquida’. Sebbene la liquirizia fosse utilizzata soprattutto in forma solida, l’accostamento con il concetto di ‘liquido’ può essere giustificato dal fatto che essa era destinata a sciogliersi in bocca e spesso era utilizzata anche in preparazioni liquide. Dalla sovrapposizione di glycyrrhiza e liquor nasce, dunque, liquiritia(m) (cfr. Zolli, cit., p. 146).
In questa forma il sostantivo entra in italiano: questo ulteriore passaggio crea però nuove varianti, a causa dei vari mutamenti fonetici che la parola poteva subire, dopo il suo ingresso nel parlato, nelle diverse aree della penisola. Parlando nello specifico delle due varianti portate alla nostra attenzione dai lettori, si può osservare che liquirizia è la forma etimologicamente corretta, che segue cioè il vocalismo latino. Questa variante è infatti una voce dotta (cfr. DELI, l’Etimologico), una parola cioè che, non essendo soggetta alle modificazioni causate dall’uso vivo, ha mantenuto una forma molto vicina all’antecedente latino.
La variante liquerizia è invece indicata come popolare e regionale dal GRADIT e dal GDLI. Essa presenta un vocalismo più vicino a quello italiano, con mancata chiusura della -e- protonica in -i-. Dalla ĭ di lĭquĭrītĭa(m) dovrebbe infatti derivare, secondo la normale evoluzione delle vocali dal latino alla nostra lingua, la -e- che, trovandosi in posizione protonica (cioè prima dell’accento tonico), potrebbe andare poi a chiudersi in i. In alcuni casi però questo tipo di chiusura vocalica poteva venire a mancare ed è proprio questo il caso della nostra liquerizia.
Della variante liqueirizia, segnalata da un solo lettore, non si ha invece testimonianza nelle fonti lessicografiche, né se ne riscontrano occorrenze in Google libri. Essa potrebbe semplicemente essere una sovrapposizione delle due forme appena esaminate ed è da considerarsi errata.
Anche se non menzionata dai lettori, facciamo un cenno anche alla variante liquorizia (presente in GRADIT e GDLI), che presenta la labializzazione della e in o dovuta al precedente qu- e che è stata forse influenzata da liquore, derivato dal sostantivo latino liquor (che, come detto, si era sovrapposto in latino alla forma etimologicamente corretta glycyrrhiza, derivata dal greco).
Per rispondere dunque alla domanda dei lettori: la forma corretta in italiano è certamente liquirizia, voce dotta, che rispetta il vocalismo latino: essa è infatti quella posta a lemma in tutti i dizionari consultati (cfr. GRADIT, Zingarelli 2021, GDLI, DELI, l’Etimologico). Tutte le altre varianti, che hanno subito modificazioni dopo il loro ingresso nell’uso parlato, tra cui quelle esaminate, sono da considerarsi forme regionali o popolari (cfr. GRADIT e GDLI). Pertanto, sebbene il loro uso non sia da condannare in contesti parlati, all’interno di un registro medio o tra amici e in famiglia (situazioni in cui spesso emergono il dialetto e l’italiano regionale), è preferibile evitarle in contesti formali o in testi scritti di registro elevato.
Occasionalmente, però, le forme liquerizia e liquorizia si trovano anche in testi letterari. Ad esempio, nel corpus PTLLIN, accanto agli undici esempi di liquirizia, si riscontrano per la prima variante quattro occorrenze (in Pasolini, Volponi, Ferrero), mentre ben quattordici per la seconda, tutte, però, nello stesso romanzo (Buio, di Dacia Maraini). Si riportano alcuni esempi:
I tre maschietti gli venivano dietro, Genesio, con la pelle di liquerizia e gli occhi di carbone. (Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Milano, Garzanti, 1995, p. 186)
Si mette spesso in bocca pezzetti di liquerizia, pastiglie, specie nelle giornate umide, per la tosse che lo infastidisce (Ernesto Ferrero, N., Torino, Einaudi, 2000, p. 179)
Veniamo alla commissaria: una donna sbrigativa e rapida di pensiero, con l’ironia qualche volta un poco tagliente dei toscani, l’abitudine di tenere in bocca un pezzo di liquorizia. Ne aveva sempre un pacchetto in tasca: treccioline profumate, cerchietti neri, chiocciole gommose, pesciolini viola che si cacciava in bocca ogni momento con la scusa di avere la gola secca. (Dacia Maraini, Buio, Milano, Rizzoli, 1999, p. 176)
La storia articolata del viaggio di glykýrrhiza dal greco all’italiano non si conclude qui. Finora abbiamo osservato le vicissitudini e le varianti della voce dotta liquirizia, ma il sostantivo latino liquiritia(m) ha avuto anche una trafila popolare, che ha portato alla forma tipicamente toscana e settentrionale (cfr. GDLI) regolizia. Forme molto simili si trovano anche in altre lingue romanze: nel francese réglisse; nel francese antico recolice; nello spagnolo regaliz; nel portoghese regalice (cfr. l’Etimologico). L’etimologia è dunque la stessa, ma sono avvenuti mutamenti fonetici diversi, dovuti all’uso dei parlanti. Alcune fonti lessicografiche ritengono che regolizia sia il risultato di una doppia metatesi unita all’influsso del latino regŭla ‘asticciola’, in quanto la liquirizia era venduta sotto forma di bastoncini (cfr. ad es. GDLI). Zolli (op. cit., p. 147) ritiene invece che tale spiegazione possa non essere necessaria: è attestata infatti nel Quattrocento la variante legorizia, passata poi a regolizia, a causa del frequente scambio tra -r- e -l-. In ogni caso, questa forma è ritenuta dal GDLI dialettale e dal GRADIT popolare e di basso uso. Anche in questo caso, dunque, è possibile utilizzarla in contesti di parlato informale, ma sarebbe consigliabile evitarla in testi scritti. Ancora una volta però, troviamo una occorrenza del termine nel corpus PTLLIN:
Un bimbo, proprio davanti al Maestro, assaporò il sapore della regolizia che gli aveva regalato il parroco, dopo la Comunione. (Ugo Riccarelli, Il dolore perfetto, Milano, Mondadori, 2004, p. 102)
Segnaliamo, infine, che il sostantivo già corrotto liquiritia(m), non è stato l’unico a fare il suo ingresso nella lingua italiana. La forma etimologicamente corretta glycyrrhiza è infatti l’antecedente del sostantivo italiano glicirrizza, che non appartiene, diversamente dalle altre forme esaminate, all’uso parlato. Esso è infatti un termine tecnico specialistico, utilizzato in ambito botanico per indicare esclusivamente l’arbusto da cui si ricava la liquirizia per uso alimentare (cfr. GRADIT).
Elisa Altissimi
28 marzo 2022
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