Niente di trascendentale

Sergio M. da Villongo (BG) e Stefano F. da Bergamo ci chiedono se l’espressione niente di trascendente non sia più corretta della più comune niente di trascendentale. Inoltre Andrea E. da Palermo ci chiede il contrario del termine trascendentale.

Risposta

Niente di trascendentale

Niente di trascendentale è un’espressione che compare con una discreta frequenza nella comunicazione informale senza rappresentare un problema per la maggior parte dei parlanti. Chi ha una qualche familiarità con il linguaggio tecnico filosofico, tuttavia, può viverla con imbarazzo. Si ipotizza, per esempio, che sarebbe consigliabile sostituirla con niente di trascendente, essendo quest’ultimo legato in modo più pacifico e meno difficile al significato di trascendere ‘oltrepassare, andare al di là, andare oltre i limiti’. D’altra parte, il legame di trascendentale con alcune specifiche filosofie della conoscenza sembra indissolubile, e l’espressione niente di trascendentale una scelta lessicale infelice, perché avulsa dal contesto tecnico in cui trascendentale sembra “più propriamente” significativo.

Si pretende, quindi, di preservare nella lingua corrente la distinzione semantica istituita tra i due aggettivi in filosofia: nella comunicazione informale, tuttavia, questa sottigliezza non sembra fare differenza. Niente di trascendentale, anzi, veicola una legittima estensione semantica dell’aggettivo in questione, nato come tecnicismo.

Le perplessità sull’opportunità di impiego di una locuzione che viene percepita come impropria, o addirittura “sbagliata”, forse in parte si dissiperanno grazie alla semplice constatazione del fatto che niente di trascendentale, oltre a spopolare in rete (su Google Italia circa 803.000 risultati contro i 108.000 di niente di trascendente, quest’ultima accompagnata dal suggerimento di Google “forse cercavi niente di trascendentale”), è registrato in alcuni dei principali dizionari della lingua italiana (Sabatini-Coletti 2008Vocabolario Treccani, GRADIT).

L’aggettivo trascendentale costituisce uno degli innumerevoli prodotti dell’apposizione del suffisso di origine latina -ale (-ALIS): accanto ai meno tecnici MORTĀLIS, NAVĀLIS, LEGĀLIS ecc., TRANSCENDENTĀLIS era già presente in epoca medievale. Derivato di TRANSCĔNDĔRE (che è letteralmente ‘oltrepassare’, ‘superare i limiti’, ‘salire al di sopra’, composto di TRANS- e SCĂNDĔRE ‘salire’), trascendentale ne eredita il nucleo semantico, come testimonia anche il fatto che trascendentale è prima di tutto e in senso generico, secondo la definizione del , ciò ‘che va oltre qualcosa’, ‘che supera certi limiti’.

Il nostro trascendentale nasce nell’ambito della filosofia scolastica, e si impone subito come termine tecnico; da allora la sua fortuna si registra principalmente in ambito filosofico, tanto che attualmente i primi sensi ad esso associati nei vocabolari di lingua italiana sono quello, appunto, scolastico e precedente a Kant (per cui trascendentale qualifica le proprietà ‘comuni a tutte le cose e che trascendono i generi particolari’ entro cui gli individui sono variamente raggruppati, quindi qualcosa che ‘va oltre la singolarità dell’ente’) e kantiano (nel senso di ‘indipendente dall’esperienza e riguardante le forme a priori della conoscenza umana’: trascendentale, in questo caso, resta ancora comprensibilmente legato al nucleo semantico iniziale in quanto esprime il risalire dall’esperienza alle sue condizioni conoscitive a priori, dove risalire è un movimento che ‘va oltre’, ‘oltrepassa l’oggetto in vista di altro’).

Seguono, a volte, riferimenti all’idealismo e alla fenomenologia (nell’accezione, derivata da quella kantiana, di ‘che determina, all’interno della soggettività o dell’idealità, le condizioni di ogni possibile esistenza oggettiva’: questo stesso nucleo concettuale è diversamente declinato in Fichte, Hegel, Schelling, Gentile e Husserl).

Già nel lessico tecnico della filosofia il significato di trascendentale, com’è facile constatare, subisce ampie oscillazioni, fino ad assumere, all’interno dello stesso nucleo semantico, sfumature contrapposte. Lo spettro semantico descritto si amplia ulteriormente al di fuori di questo contesto specialistico, cosicché in tutti gli altri contesti il termine è inteso “per estensione”: tra i risultati di questo fenomeno i vocabolari riportano il termine nella specifica accezione che acquista in musica (‘che richiede, per l’esecuzione, un virtuosismo eccezionale, superiore al normale’: pezzi trascendentalitecnica trascendentaleStudi trascendentali) e in geometria (‘che non impiega il calcolo differenziale integrale’). Sarà interessante notare che per questi contesti “alti” l’impiego del termine in questione, pur traslato su un dominio concettuale diverso dall’originale, non è sentito come inappropriato.

I problemi sembrano invece sorgere nella percezione di alcuni in relazione al linguaggio corrente, in cui trascendentale assume il senso specifico, comunque registrato nei vocabolari, di ‘non comune’, ‘eccezionale’: ma anche questo senso si forma, come gli altri, per estensione dal nucleo del ‘che supera qualcosa’, ‘che va al di là di qualcosa’ (in questo caso, si potrebbe ipotizzare, ‘che supera la familiarità abituale dell’esperienza quotidiana’).

Usato in questo senso, e anche all’interno dell’espressione niente di trascendentale, il termine è molto comune nel linguaggio giornalistico riferito ai campi più disparati: musica leggera (si suona un “jazz trascendentale” in occasione di un “bio-concert” alla convention del partito democratico di San Francisco, “La Repubblica”, 17 luglio 1984), politica («“Questo è il paese più trascendentale verso la pace”, diceva ieri il presidente, “e tutto il popolo del Salvador verrà con me”», “La Repubblica”, 14 ottobre 1984), cronaca sportiva, soprattutto calcistica, per cui sono trascendentali i tiri in porta e le azioni di gioco, o non lo sono le partite, gli avversari, le strategie di attacco: un uso disinvolto, e a volte divertito, che ben si accorda allo stile iperbolico della cronaca sportiva (Gian Luigi Beccaria, Lo sport parlato, in La Lingua in gioco: linguistica italiana e sport (1939-1992), Roma, Pellicani, s.d. ma 1993).

Da una ricerca sugli archivi storici de “La Stampa” (ora consultabili in rete su una banca dati che raccoglie materiale dal 1867 a oggi), inoltre, emerge con chiarezza quanto queste scelte lessicali non siano legate esclusivamente all’estro giornalistico contemporaneo: niente di trascendentale compare dal 1936 nella cronaca sportiva, d’arte, politica, per mantenere una presenza in costante crescita capace di estendersi ai contesti più svariati (con un picco nel decennio 1970-1980, in cui se ne registrano 102 occorrenze).

Sarà più facile adesso accettare il fatto che i germi di questa accezione estesa di trascendentale, poi confluita nella locuzione deprecata, siano già presenti al momento della sua comparsa nella lingua letteraria italiana. Il termine compare nella quarta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1729-1738): la prova citata a testimoniarne la diffusione è un testo di Anton Maria Salvini (1653-1729), non a caso uno dei compilatori della Quarta Crusca, che usa trascendentale in una delle sue accezioni tecniche (‘detto di ciò per cui nella conoscenza soggettiva esistono le condizioni di ogni realtà’) ma anche in una già estesa (‘che è superiore alla norma e alla ragione umana’ (Anton Maria Salvini, Discorsi Accademici, Napoli, 1786).

Gli usi del termine nell’accezione generica si susseguono nella letteratura (Camillo Boito, D’Annunzio, Gobetti, Cicognani), testimoniando la diffusa abitudine a intendere trascendentale nel senso non tecnico di ‘non comune’ (Cesare Brandi in “L’illustrazione italiana” del 1945 descrive un lavoro “che non richiede abilità trascendentale”; Carlo Bascetta, in Il linguaggio sportivo contemporaneo, Firenze, 1962, “un tiro trascendentale”) e man mano entrano nella lingua corrente, fissandosi nella sospetta locuzione niente di trascendentale.

L’espressione non costituisce, a ben vedere, che una litote, una delle molte configurazioni del modulo comune niente di X (dove X sta per qualsiasi termine o espressione che si voglia negare), accanto a niente di eccezionale (che con il nostro caso condivide la terminazione nel suffisso -ale), niente di straordinario, niente di bello, niente di male, niente di che meravigliarsi (o niente di che stupirsi e simili, frequenti anche nella forma ellittica niente di che), ecc. Altre locuzioni derivate dal termine niente, sarà utile ricordare, sono generosamente presenti nella lingua parlata (niente di fatto, niente di niente, niente di meno, quest’ultimo attestato fin dal XIII secolo nella variante univerbata nientedimeno).

Alla luce di questa evoluzione e dell’ampiezza dello spettro semantico del termine in questione, ha davvero senso chiedersi se, in associazione con “niente di”, sarebbe più appropriato trascendente rispetto a trascendentale? Forse no. Più probabilmente ci troviamo di fronte allo stesso turbamento, dovuto a scrupoli concettuali di certo legittimi, ma non a ragioni di inaccettabilità grammaticale, che ci coglie di fronte ad analoghe, a volte imbarazzanti generalizzazioni e risemantizzazioni di termini filosofici (ben visibili in espressioni note come prenderla con filosofia, essere un idealista, credersi un superuomo, vivere nell’iperuranio).

Niente di trascendentale è un’espressione di registro medio, attestata nell’italiano ormai da quasi un secolo, e facente leva sulla precisa accezione popolare di trascendentale, viva nella lingua almeno dal XVIII secolo.

Per concludere rispondiamo a chi ci chiedeva se trascendentale abbia un contrario: nel contesto filosofico la parola designa proprietà specifiche che non necessariamente possiedono un contrario lessicalizzabile; nell’uso comune, non tecnico, il termine ha un opposto facilmente identificabile: ordinario


A cura di Simona Cresti
Redazione Consulenza Linguistica
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19 aprile 2013


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