Alcuni lettori chiedono chiarimenti sul verbo ottemperare e sul derivato ottemperanza per ciò che riguarda sia la semantica sia la reggenza.
Partiamo intanto dalla storia delle parole. Il verbo ottemperare deriva dal latino obtĕmpĕrāre, composto di ŏb- ‘davanti’ e tĕmpĕrāre, che significa ‘moderarsi davanti a qualcuno o a qualcosa; dominarsi, osservare la giusta misura’. Il termine, di uso perlopiù specialistico (burocratico e giuridico) col significato di ‘obbedire, eseguendo quanto è richiesto o prescritto’ (quindi ottemperare alle leggi, a un precetto, a un obbligo, alle disposizioni, a una formalità), secondo il Vocabolario Treccani online è “di una certa solennità, esprime un atteggiamento di cosciente, spontanea e rispettosa adesione della volontà senza l’idea della costrizione o del servilismo”, ed è peraltro contrassegnato nello Zingarelli 2024 con un trifoglio rosso, simbolo che sta a indicare “parola da salvare” (delle circa 3000 che secondo lo Zingarelli starebbero scomparendo dall’uso).
Ottemperare è un verbo raro nell’italiano antico. Con il TLIO possiamo datare il termine a più di un secolo prima rispetto alla data del 1470 diffusa nei principali repertori (dal GDLI al DELI al GRADIT e fino allo Zingarelli 2024 che indica il 1468): la voce del TLIO, marcata come termine del diritto (‘conformarsi a quanto è previsto da una legge o disposto da un’autorità’), fornisce l’attestazione unica di un testo umbro-romagnolo, le Costituzioni Egidiane del 1357 (“et etiamdeo mulctare e punire tutti e ciaschuni li quali non obtemperasseno a llui in quelle cose le quale pertenone al suo officio”); viene inoltre allegata un’attestazione fuori corpus (segnalata anche da ArchiDATA) di un ventennio precedente (av. 1336), proveniente da un volgarizzamento fiorentino (Il volgarizzamento B del secondo libro di Valerio Massimo) della banca dati del DiVo (Dizionario dei Volgarizzamenti), che traduce il latino illis obtemperari non poterat (“e comandato al giustitiere che facesse secondo la legge, allora alla perfine l'aprie quando egli non potea a coloro perdonare, ottemperare, la pena”).
Ma il verbo è raro anche nell’italiano moderno: nell’uso specialistico si diffonde dall’Ottocento (ottemperare dal 1865, Codice per la marina mercantile del Regno d’Italia, stando alle banche dati giuridiche Vocanet e LLI dell’ex istituto ITTIG del CNR), tant’è che Filippo Ugolini, nel suo repertorio di parole e modi dire errati del 1855, osservava: “Vogliono alcuni far vivere questa parola; ma ci sembra che non facciano un gran regalo alla favella nella parte che riguarda la chiarezza e naturalezza”.
Il significato principale, giuridico-amministrativo, non è l’unico nell’italiano antico, come risulta dal GDLI che registra tra gli altri: ‘conformarsi all’esempio di una persona’ (in Leon Battista Alberti), ‘soddisfare un desiderio’ (in Masuccio Salernitano), ‘cedere a un impulso’ (in Sabatino degli Arienti); lo stesso GRADIT segnala di “basso uso” (BU) il significato di ‘cedere, sottomettersi’ (per es. ottemperare a un desiderio). Nel complesso si tratta di significati rari e letterari, non più attuali, e perciò possiamo considerare gli esempi che ci segnalano due lettori (ottemperare alla passeggiata, alla stampa, alla corsa, alla scrittura, alla problematica) come del tutto inappropriati.
Il derivato deverbale ottemperanza è quasi esclusivo del linguaggio burocratico e significa ‘rispettosa osservanza e applicazione pratica di quanto è stabilito da un’autorità o imposto come obbligo’, in particolare nella locuzione in ottemperanza (in o. alle disposizioni, alle leggi, al decreto, e simili). In diritto il giudizio di ottemperanza è quello diretto a ottenere l’adempimento, da parte dell’autorità amministrativa, dell’obbligo di conformarsi, per ciò che riguarda il caso deciso, al giudicato del tribunale. Il termine è marcato come specialistico (TS) nel GRADIT, burocratico nella fattispecie, ed è datato 1640 in quasi tutti i repertori, compreso il DELI (l’anno è quello della stampa del Dictionnaire di Antoine Oudin); con l’ausilio di Google libri il sostantivo si può retrodatare almeno alla fine del secolo precedente, con la traduzione per mano di Oronce Finé e Giovanni Paolo Gallucci della Margarita philosophica dell’enciclopedista tedesco Gregor Reisch (Venezia, Appresso I. A. Somasco, 1599).
Giusto per completezza, il TLIO registra anche l’avverbio ottemperantemente ‘con rispetto e condiscendenza’ con l’attestazione isolata, fuori corpus, di un testo toscano della fine del XIV sec. (Città di Dio di Agostino da Scarperia).
Quanto alla seconda questione, se ottemperare è transitivo o intransitivo, i dizionari dell’uso non hanno dubbi sull’intransitività; per tutti basti consultare il Sabatini-Coletti 2018 (“ubbidire a una legge, a una prescrizione, a una richiesta”). Peraltro il Dizionario Treccani 2022, che inserisce in alcuni lemmi qualche dubbio frequente, alla voce ottemperare riporta una domanda simile a quella di un nostro lettore: “Ottemperare a qualcosa o qualcosa?” La risposta è univoca: “a qualcosa”.
Ciò non toglie che in passato, come per molti altri verbi, si possa registrare un uso transitivo di ottemperare, anche se molto raro (dalla documentazione del GDLI nei versi di un poeta toscano del ’400, Filippo da Massa, e di un poeta abruzzese del ’500, Serafino Aquilano). Ma nell’italiano di oggi, e già da molto tempo, ottemperare ha sempre una costruzione intransitiva; le eccezioni che si possono reperire dalla ricerca su Google, rarissime e isolate, sembrano piuttosto trasandatezze e usi erronei, come per es. in un’ordinanza del comune di Agrigento: “Ordinanza nr. 54/2002 – Ordinanza ad ottemperare le disposizioni contenute nel Regolamento Comunale su aree pubbliche” (consultato in data 31 gennaio 2024).
Quanto al derivato, il sintagma in ottemperanza regge la preposizione a (in ottemperanza a) e non di come nell’esempio che ci segnala una lettrice (in ottemperanza delle prescrizioni).
Per chiudere, è utile ricordare anche l’espressione burocratica, in ottemperamento, già discussa in una risposta della Crusca di qualche anno fa.
Nota bibliografica:
Sergio Lubello
10 luglio 2024
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