Sciogliere e scioglimento vanno bene come parole, non sempre come azioni

Ci sono pervenuti vari quesiti sulla legittimità dell’uso di sciogliere e scioglimento anche per indicare processi che in chimica sono definiti invece con i termini fondere e fusione.

Risposta

Lo scioglimento dei ghiacciai porta alla nostra attenzione quotidianamente, nelle notizie purtroppo sempre più allarmanti, l’uso del verbo sciogliere di cui si servono i media per riferire del progressivo ridursi della superficie delle nevi eterne. Il verbo sciogliere in questi usi indica il passaggio dell’acqua dallo stato solido allo stato liquido, e in uso più esteso può riferirsi nel parlato quotidiano a sostanze e cibi ghiacciati: il gelato, che può sciogliersi appunto (ma anche squagliarsi: vedi le risposte su questo verbo e sul suo contrario quagliare) nel parlato estivo di tutti i giorni.

Lo studio scolastico ha messo tutti noi in contatto con il verbo fondere: la scienza infatti preferisce il più tecnico fusione per indicare il passaggio di un elemento dallo stato solido a quello liquido. Il Sabatini-Coletti indica tre significati, a partire dal primo “1. fis. Passaggio di una sostanza dallo stato solido a quello liquido; punto di f., temperatura alla quale una sostanza fonde e che varia per i diversi corpi e a seconda della pressione atmosferica”; interessanti sono i territori estensivi, in campo tecnico (“2. Colata di metallo fuso in uno stampo per ottenere un determinato oggetto: f. di una campana, di una statua in bronzo”) e in territori più ampi, dove la fusione va a indicare l’unione (“3. Unione, aggregazione di elementi diversi; anche in senso fig.: f. di colori, di stati, di due partiti, di elementi eterogenei; f. nucleare, reazione nucleare per la quale due nuclei leggeri si uniscono per formare un nucleo più pesante con l’emissione di un’ingente quantità di energia; se avviene a temperatura ambiente è detta fredda, a freddo; 4. dir. Concentrazione di due o più imprese in una sola per ottenere una maggiore forza produttiva”).

Il verbo sciogliere, dal lat. (ex)solvere (solvere, a sua volta formato da so-, prefisso di separazione, e luere ‘sciogliere’ appunto; DEI, DELI) pare utilizzato per indicare il passaggio di stato (ex potrebbe appunto alludere a una derivazione), più ampio quindi del riferimento a fondere / fusione; non è però errato, ma è presente nell’uso italiano, già a partire dal Cinquecento. Il GDLI individua la prima occorrenza nella prosa di Giovan Battista (Della) Porta, e in particolare nel trattato De’ miracolosi et maravigliosi effetti della natura prodotti Libri quattro (Venezia, appresso Gio. Alberti, 1560), versione volgare del suo trattato latino Magiae naturalis sive De miraculis rerum naturalium libri IV: “In questa maniera divenendo affuocata l’olla e scaldando l’aere, scioglie in vapori le cose che sono nel vaso”; “Poscia l’argento con acqua forte si sciolga, e in cenere calde mandi fuori il vapore, lasciata la terza parte” (p. 97). Il testo latino, che è matrice, usa infatti solvere, che può dirsi quindi del tutto tecnico nella lingua della descrizione scientifico-alchemica: poche righe prima, nella traduzione del Della Porta, figura proprio solvere: “La cosa si solvi in vapori sottili” (p. 104).

Sciogliere indica appunto il passare da uno stato della materia a un altro, cioè liberare dai vincoli della materia, dello stato preciso. Pare molto interessante che il termine venga dai territori dell’alchimia, cioè si riferisca quindi al processo alchemico di distillazione.

Analogo uso in poesia è quello di Bernardino Baldi, che nel cinquecentesco poema L’invenzione del bossolo da navigare ricorre al verbo sciogliere: “Zefiro già da fortunati lidi / dolcemente spirando, il freddo velo / sciogliea ne’ monti”.

Interessante è l’uso che del verbo fa il Vallisneri, fondatore della moderna descrizione scientifica e della terminologia a essa correlata: “Benché esternamente, facendo sciogliere in vapori tutta l’acqua, riuscisse quello [il sale] di colore scuro, sudicio ed imbrattato di varie terrestri fecce” (Antonio Vallisneri, Annotazioni alla Lezione accademica intorno l’origine delle fontane, in Opere fisico-mediche, 3 voll., Venezia, Sebastiano Coleti, 1733 [17151], p. 13).

Dalla scienza l’uso transita in poesia, come dimostrano questi versi di Pietro Chiari: “La sposa poi, che affrettasi / al nuovo sposo in braccio, / cogli occhi suoi vivissimi / può scior le nevi e ’l ghiaccio” [scior è troncamento di sciorre, forma contratta di sciogliere, con caduta della vocale postonica e assimilazione consonantica] (P. Chiari, Canzone per le nozze di Alessandro Buoncompagni Ottoboni, in L’uomo, lettere filosofiche in versi martelliani e saggio di varie poesie, Venezia, 1758, p. 68).

Ma è nelle pagine di Lazzaro Spallanzani, maestro di scienza naturale e fondatore del linguaggio descrittivo in diversi campi scientifici, che trova conferma più recente l’uso del verbo: “L’altro giovane mio scolaro mi accerta di aver trovato che i succhi gastrici sciolgono i calcoli della vescica” (L. Spallanzani, Epistolario, a cura di Benedetto Biagi, 5 voll., Firenze, Sansoni, 1958-1964, vol. III: 1782-1787, p. 93).

GDLI attesta quindi il transito alla letteratura novecentesca, riportando il riferimento a un passo di Italo Calvino: “Il mondo di Vug erano le fessure, le crepe dove la lava sale sciogliendo la roccia e mescolando i minerali in concrezioni imprevedibili” (I. Calvino, Ti con zero, Torino, Einaudi, 1967, p. 43).

Il parallelo affermarsi dell’uso di sciogliere / sciogliersi ha un interessante addentellato all’uso figurato in riferimento a situazioni in cui si è progressivamente più a proprio agio.

Quanto a scioglimento, varranno le definizioni del Nuovo De Mauro (“1. lo sciogliere, lo sciogliersi: lo scioglimento di un nodo, di un groviglio; lo scioglimento della neve”) e del Sabatini-Coletti (“3. Liquefazione: s. delle nevi”).

Non solo si tratta quindi di uso accettabile, ma senz’altro di uso proprio. Ben venga allora lo scioglimento, ma non certo quello dei ghiacciai.

Giuseppe Polimeni

10 settembre 2025


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