Lorenzo C., da Firenze, Giuseppe P., dalla città metropolitana di Venezia, Davide L., dall'aretino, Irene Di V. da Roma, ripropongono alcune delle domande a cui ha risposto Paolo D'Achille sul n. 53 (dicembre, 2016) della nostra rivista La Crusca per voi. Eccone il testo.
Sono arrivate molte domande sul termine signorina; ci si chiede, in generale, come è regolamentato il suo uso [...]; oppure, in particolare, se signorina sia da preferire a signora in rapporto all’assenza di matrimonio o alla giovane età [...]; se possa essere usato nella corrispondenza commerciale, con specifico riferimento a donne che, pur non essendo sposate, hanno dei compagni [...]; se sia giusto usarlo nel caso di una donna non più giovane che non si è mai sposata [...]) o di una madre singola [...]; se sia vero che è stata approvata una legge che prescrive di usare per tutte le donne maggiorenni signora [...] e che quindi l’uso di signorina è stato definitivamente bandito [...]; se comunque non si sia avuta una riduzione nell’uso di signorina (e anche di signore e signora) rispetto agli anni Cinquanta [...]. Infine,M. G. di Monfalcone (Gorizia) correda la domanda sulla liceità dell’uso segnalandoci di aver suscitato l’irritazione di una giovane di 25 anni a cui si era rivolto con signora.
Facendo riferimento a un mio saggio recente sul tema (Per la storia di ‘signorina’, in Identità e discorsi. Studi offerti a Franca Orletti, a cura di Laura Mariottini, Roma, RomaTrE-Press [e-book], 2015, pp. 55-73), posso anzitutto dire che signorina è documentato in italiano a partire dal Cinquecento (il primo esempio finora reperito risale al 1533). La parola potrebbe essere stata formata a partire dal maschile signorino, documentato dal 1501; oppure sul modello dello spagnolo señorita, che pare cronologicamente anteriore; o ancora come diminutivo di signora, attestato già in italiano antico, se pure nel significato di ‘padrona’ e per di più non riferito a donne ma a entità astratte o spirituali. In italiano antico, in effetti, come allocutivi si usavano madonna e messere e non signora e signore, che iniziarono a diffondersi nel Rinascimento, per influsso dello spagnolo. Per molto tempo signorina risulta riferito o indirizzato a giovani nobildonne, a prescindere dal fatto che fossero sposate o meno. Il significato di ‘donna non ancora sposata’ non risulta documentato prima dell’Ottocento e anzi la più antica attestazione, al momento, è quella che si ha in una battuta della commedia I mariti di Achille Torelli, del 1867 («Deve avere quella lettera che gli scrivesti quando eri ancora signorina, e mi par conveniente che la restituisca»).
Ciò premesso, veniamo all’uso attuale. Signore, signora e signorina possono essere usati sia come appellativi, per indicare persone presenti o di cui si sta parlando, sia come allocutivi, per rivolgersi a qualcuno. In entrambi i casi si tratta, come rileva il GRADIT, di forme di riguardo: dire è venuta una signora/è passato un signore a cercarti è certo stilisticamente diverso rispetto a è venuta una donna/è passato un uomo, ed è poi giustissima l’osservazione di Nencioni, che considerava una «spia verbale della scarsa tradizione democratica in Italia» la difficoltà di usare signore (diversamente da signora o signorina) come allocutivo generico «conveniente ad un uomo che per età o per aspetto paresse di rango inferiore» (Giovanni Nencioni, Autodiacronia linguistica: un caso personale, in La lingua italiana in movimento, Firenze, Accademia della Crusca, 1982, pp. 5-33: 15-16).
Come nota una nostra lettrice, negli ultimi decenni l’uso di queste parole si è effettivamente alquanto ridotto e questo, nel caso dell’allocutivo, va certamente messo in rapporto alla progressiva espansione del tu invece del lei. I termini signore e signora sono però tuttora frequenti, sia nello scritto sia nel parlato, specie se premessi a un nome proprio o a un cognome (il signor Rossi, la signora Maria, ecc.). Invece signorina è oggi meno usato: se guardiamo al corpus del PTLLIN, costituito dai romanzi vincitori del premio Strega dal 1947 al 2006 e da altre opere di narrativa uscite nello stesso arco cronologico, notiamo non solo che signorina ha 609 occorrenze in 60 opere mentre signora ne ha 2530, distribuite in 91 opere, ma anche che nei romanzi dal 2000 al 2006 le attestazioni sono solo 22, contro le 84 di signora. Per l’uso di signorina come semplice appellativo negli anni Cinquanta possiamo fare riferimento all’indagine dello svizzero Robert Rüegg, Zur Wortgeographie der italienischen Umgangssprache (Berna, Francke, 1956), di cui sta per essere pubblicata la versione italiana a cura di Sandro Bianconi, al quale devo le seguenti indicazioni: il concetto di “giovane donna nubile” è reso con signorina in 43 delle 54 province considerate; spesso gli informatori aggiungono la precisazione “generalmente più distinta e adulta” rispetto a ragazza, termine che pure ha una buona frequenza; a Firenze prevale invece figliola.
Oggi il problema maggiore nell’uso di signorina è dovuto alla particolarità (che peraltro non è esclusiva dell’italiano, ma propria un po’ di tutte le lingue europee) di avere due forme femminili, distribuite in rapporto al diverso stato civile, in corrispondenza di un’unica forma maschile: come rileva il GRADIT, infatti, il maschile signorino, a meno che non costituisca l’allocutivo di riguardo dato dalle persone di servizio al giovane figlio del padrone di casa (circostanza certo non frequentissima), è di uso solo scherzoso o ironico (ed era divenuto tale, o si avviava a diventarlo, già alla fine dell’Ottocento: nel libretto di Illica e Giacosa della Bohème di Puccini, del 1896, Mimì nel terzo atto si rivolge all’amato Rodolfo, a cui dà normalmente del tu, con uno scherzoso «O mio bel signorino, / posso ben dirlo adesso, / lei la trovò assai presto», alludendo alla chiave della stanza, da lei smarrita nel primo atto e da lui ritrovata e nascosta).
La dissimmetria tra maschile e femminile è stata considerata sessista e, almeno a partire dai primi anni Ottanta, l’uso di signorina per riferirsi a una donna non sposata è stato progressivamente sconsigliato. E di certo la crescita dei rapporti di convivenza e delle maternità al di fuori del matrimonio civile o religioso ha aumentato le ragioni per evitare la parola usando al suo posto signora; conseguentemente, anche nel caso di donne sposate signora ha finito con l’essere premesso al loro cognome familiare e non a quello dei mariti. Contrariamente a quanto si crede, però, non è stata mai approvata in Italia una legge che abbia abolito ufficialmente il termine signorina (c’è stato solo un progetto al riguardo, nel 1982) e l’unico testo ufficiale a cui si può fare riferimento è una disposizione del 2009 del Parlamento Europeo, che contiene linee guida per la neutralità di genere e consiglia di omettere qualsiasi appellativo che faccia riferimento allo stato civile delle donne, ricorrendo al solo nome e cognome. Ma si tratta di un testo che riguarda esclusivamente gli atti legislativi e i documenti interni dello stesso parlamento.
Oggi l’accettazione del termine signorina da parte di coloro che dovrebbero essere le dirette interessate risulta alquanto oscillante. Ci sono ancora (molto meno che in passato, però) donne di una certa età non sposate che, interpellate come signora, correggono l’allocutivo con un no, signorina; signorina, prego o simili, così come ci sono donne giovani che sentendosi dare della signora o comunque sentendo premettere al loro nome quello di signora, si stupiscono (è il caso delle studentesse nel corso delle sedute di laurea, al momento della proclamazione) o, come segnala uno dei nostri lettori, si offendono, come se si dicesse loro “vecchia!”. D’altra parte, ci sono anche giovani donne che percepiscono l’allocutivo signorina quasi come un insulto: ricordo di aver visto in televisione nel corso del 2015 in un paio di occasioni l’onorevole Pina Picierno, del Partito Democratico, reagire vivacemente dopo che il leghista Matteo Salvini l’aveva chiamata signorina (la reazione: «Signorina lo dici a tua sorella!»). Va detto peraltro che sono ancora abbastanza diffuse (ma, probabilmente, solo o soprattutto nell’uso di parlanti o scriventi di sesso maschile) le sequenze la signora o signorina X, per esprimere, con un po’ di ironia, una scarsa conoscenza con la designata prendendone così le distanze (la domanda signora o signorina? si usava infatti in passato, al momento delle presentazioni), e soprattutto signore e signorine, al plurale, per indicare genericamente e complessivamente donne di età diversa.
In definitiva, nella maggior parte dei contesti nell’uso allocutivo è oggi consigliabile rivolgersi a una donna con signora e non con signorina; nel caso di una persona molto giovane (intorno ai 20 anni), in contesi informali la si può interpellare direttamente con il tu mentre in contesti più formali il mio suggerimento è quello di chiederle il nome (con la dovuta cortesia!) e di usare quello, continuando a darle del lei.
Paolo D’Achille
21 marzo 2017
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