Vi invitiamo *IL* brindisi di Capodanno!

Maria C., dalla provincia di Caserta, Antonio C., da Cagliari, Eva U., dalla Germania, ci chiedono se in italiano siano corrette le costruzioni "invitare un caffè, il gelato" o "invitare da bere" nel senso di ‘offrire da bere’. Si tratta forse di un regionalismo? Sono forme tipiche, in particolare, della varietà sarda? 

Risposta

Vi invitiamo *IL* brindisi di Capodanno!

[Antonio Ortiz Echague, La fiesta de la confradia di Atzara, 1908]

Il verbo invitare è classificato in italiano standard come transitivo rispetto alla persona che, in questo caso, si vuole invitare a (fare) qualcosa (o per qualcosa); con una costruzione che richiede due argomenti, un oggetto diretto e uno indiretto, il verbo si costruisce nella forma “invitare qualcuno a (fare) qualcosa o per qualcosa”.

Una ricerca negli strumenti lessicografici non lascia dubbi su questa forma: il DISC, per esempio, riporta il significato di “sollecitare, in forma cortese o affettuosa e mostrando il proprio piacere, qlcu. a partecipare a qlco.” e riporta esempi come “invitare gli amici a cena; invitare i colleghi al concerto”, ecc. Questa, come documentato anche in altri dizionari dell’uso, è la struttura accettata, e rientra nell’uso dell’italiano standard (cfr. GDLI e Vocabolario Treccani).

In italiano regionale di Sardegna, invece, le cose diventano un po’ più complicate.

Il sardo, essendo un codice linguistico e sociolinguistico con strutture e caratteristiche proprie, interferisce negli usi dell’italiano, soprattutto parlato, dando come risultato una varietà geografica che, con diverse gradazioni, presenta elementi locali inseriti nella lingua italiana riconosciuta come lingua comune.

Pertanto, in Sardegna, così come nelle altre aree linguistiche italiane, più o meno tutti i parlanti, soprattutto nelle conversazioni informali e a prescindere dalla competenza del dialetto o della lingua locale e dalla scolarizzazione, usano, coscientemente o meno, non soltanto parole di origine dialettale e legate alla cultura locale, ma anche interiezioni, costrutti sintattici e forme testuali di origine sarda anche quando parlano in italiano. Questi usi regionali sono spesso talmente comuni e così tanto bene camuffati nella lingua standard da risultare irriconoscibili come dialettismi e regionalismi alle orecchie del parlante.

È questo il caso dell’uso di invitare nella forma “invitare qualcosa” e “invitare qualcosa a qualcuno”, come negli esempi riportati nei quesiti rivolti all’Accademia della Crusca: invitare da bere; invitare un caffè, mi inviti il gelato?, ecc.

Questa forma regionale, che convive con la forma invitare dell’italiano standard, e rimanda sicuramente al significato e alla costruzione del verbo offrire, cioè alla costruzione transitiva rispetto all’oggetto che si offre e con la reggenza del dativo rispetto alla persona che riceve l’invito o l’offerta. Infatti, in italiano regionale sardo, il verbo invitare ha il significato e la costruzione di offrire, piuttosto che il significato e la costruzione dell’italiano standard invitare: invito un caffè a tutti vs. invito tutti per un caffè.

La forma regionale “invitare qualcosa a qualcuno” è modellata sul verbo sardo transitivo che nelle varianti locali si presenta nelle forme cumbidare (logudorese), cumbidai (campidanese). Cumbidare ha il significato di ‘offrire, soprattutto da mangiare o da bere’. Come spiega Ines Loi Corvetto (1983), infatti, in italiano regionale sardo si avrebbe un enunciato come “vieni a casa e ti invito un caffè” laddove in italiano standard si ha “ti invito a casa per offrirti [e ti offro] un caffè”.

Per quanto riguarda l’origine della parola, Max Leopold Wagner, nel suo Dizionario Etimologico Sardo (DES), fa derivare cumbidare, cumbidai dal latino convitare, attraverso una probabile influenza dello spagnolo e del catalano convidar, nel significato proprio di offrire qualcosa. La costruzione nelle due lingue iberiche è differente dalla costruzione sarda (p. es. in spagnolo: “la convidaron a un café”, con la persona invitata in accusativo), per cui si può ipotizzare anche una evoluzione autonoma dalla medesima fonte latina.

Questo regionalismo semantico è molto frequente nell’italiano parlato in Sardegna ed è spesso citato come esempio caratteristico di questa varietà negli studi sull’italiano regionale (cfr., oltre ai già citati, Abruzzese 1911: 60; Lavinio 2002: 47; Dettori 2014: 269).

Nel vocabolario dell’italiano sardo è presente anche il deverbale invito, modellato semanticamente sul corrispettivo deverbale cumbidu, nel significato specifico di ‘offerta di cibo o bevande’. Su cumbidu è, infatti, ‘l’invito’, cioè ‘l’offerta di un pranzo o di una bevuta per festeggiare qualche avvenimento’.

 

 

Per approfondimenti:

  • N. De Blasi, Geografia e storia dell’italiano regionale, Bologna, Il Mulino, 2014.
  • A. Dettori, Sulle scelte linguistiche di Salvatore Niffoi. Analisi del romanzo La leggenda di Redenta Tiria, in Ead. (a cura di), Dalla Sardegna all’Europa. Lingue e letterature regionali, Milano, Franco Angeli, 2014, pp. 260-297.
  • M. Gargiulo, La lingua delle Città. Considerazioni sull’italiano regionale di Sardegna, in Nesi A., La lingua delle città, Firenze, Cesati, 2013, pp. 181-193.
  • C. Lavinio, L’italiano regionale in Sardegna, in Jansen H., Polito P. et al. (a cura di), L’infinito e oltre. Omaggio a Gunver Skytte, Odense University Press, 2002, pp. 241-255.
  • C. Lavinio, LinCi e oltre. La Sardegna in diatopia, in Nesi A., La lingua delle città, Firenze, Cesati, 2013, pp. 165-179.
  • I. Loi Corvetto, L’italiano regionale della Sardegna, Bologna, Zanichelli, 1983.
  • A. Mura Porcu, Analisi dei risultati del livello morfosintattico in Sardegna, in Nesi A., La lingua delle città, Firenze, Cesati, 2013, pp. 195-207.
  • T. Poggi Salani, Sulla definizione d'italiano regionale, in La lingua italiana in movimento, Firenze, Accademia della Crusca, 1982, pp. 115-134.
  • M. L. Wagner, Dizionario Etimologico Sardo (I ed. 1960-64), a cura di G. Paulis, Nuoro, Ilisso, 2008.

 

Marco Gargiulo

 

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29 dicembre 2016


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