Alcuni lettori ci chiedono se siano corrette espressioni come “violazione al codice della strada”, “violazione alle norme...”, piuttosto che “violazione del codice della strada”, “delle norme”
Alle domande dei lettori sulla reggenza del sostantivo violazione (‘trasgressione, profanazione di qualcosa, irruzione di forza in luogo vietato, violenza sessuale fatta a qualcuno o qualcuna ecc.’) ci si può limitare a rispondere che la preposizione corretta per introdurre la cosa o la persona violata è di e non a, come già nel latino da cui la parola deriva (violationem templi: violazione del tempio). Questo, in italiano, è attestato (come mostra il corpus OVI) già dai pochi casi trecenteschi di occorrenza della parola. Nel Volgarizzamento della Deca terza di Tito Livio si legge infatti: “violazione del tempio” e nelle Chiose all’Inferno dantesco di Guido da Pisa: “violazione di Lucrezia”. Di è la preposizione che introduce l’oggetto della violazione anche negli esempi della parola nel Vocabolario della Crusca. Nelle oltre 300 occorrenze di violazione nel GDLI (violazione delle leggi, di un articolo del codice, del pudore, delle norme, degli obblighi, di un patto, di domicilio…), la reggenza è sempre di, salvo in un caso, ma, singolarmente, nella metalingua del Dizionario, che definisce la parte lesa (sotto leso) come quella che “in una controversia giuridica ha subito una violazione ai propri diritti”.
Lo scivolamento verso a non è tuttavia cosa recentissima, visto che (“violazione a quel testo di legge”) se ne trova qualche (pur rara) attestazione già nell’Ottocento (Del travisamento del fatto, “Gazzetta de’ tribunali”, a. XXIV, 1872, pp. 305-308: p. 307). Per altro, questa reggenza impropria è, fortunatamente, ancora molto contenuta (su Google a fronte di oltre 11 milioni di testimonianze di violazione con di ce ne sono solo 64 mila con a e molte di queste, in realtà, sono equivoci del motore di ricerca) e perlopiù introdotta da amministrazioni o agenti locali nei loro provvedimenti. Anche quando il complemento è in forma di frase il corretto di prevale di gran lunga (“violazione di quanto disposto dagli artt…”) e a (“violazione a quanto prescritto…”) si affaccia raramente, ancora in usi circoscritti e locali, anche se ce n’è almeno un caso in un numero della “Gazzetta Ufficiale” (ma, mi sembra di capire dal testo disponibile in rete, nella sezione che pubblica atti di Regioni). Forse è contravvenzione (non nel senso dell’oblazione da versare per estinguere una violazione di norme, ma di infrazione), parola familiare al linguaggio burocratico, a indurre utenti frettolosi o poco preparati a optare per a invece che per di, come si dovrebbe. Ma va osservato che, non da oggi, almeno dall’Ottocento, anche i sinonimi infrazione (citato da un lettore, insieme a contravvenzione e a oltraggio, per la corretta reggenza di a) e trasgressione oscillano nella reggenza (in misure molto più equilibrate di violazione) tra di e a (“infrazione di” 65 mila, “infrazione a” quasi 30 mila; “trasgressione di” quasi 200 mila, “trasgressione a” 57 mila). L’opzione per a, con trasgressione, è rafforzata dalla preposizione richiesta dal corradicale trasgredire (che vuole a nei costrutti intransitivi, mentre violare è sempre transitivo). Ne risulta accentuata la persistente e diffusa incertezza morfosintattica degli italiani, specie quando alle prese con la lingua giuridica e burocratica.
Vittorio Coletti
15 maggio 2023
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