In diversi chiedono un parere sull'uso della locuzione essendo che: se sia corretto usarla come congiunzione equivalente a posto che, dal momento che, poiché, giacché. Sulla questione alcuni ricordano l'insegnamento di una rigida regola scolastica che ne sanciva l'assoluta scorrettezza.
La locuzione essendo che, con il significato di 'poiché, giacché, per il fatto che', ha una storia antica ed è attestata nell'italiano letterario, anche nella forma univerbata essendoché, fin dal Cinquecento. In particolare, attraverso i risultati ottenuti dalla consultazione della LIZ 2001, possiamo tracciare una parabola della sua diffusione nella lingua letteraria: le prime attestazioni si trovano nella prosa cinquecentesca di Castiglione e Ramusio (nella sua Navigazione la congiunzione essendo che ricorre 14 volte), è del tutto assente nella poesia, ma si mantiene ben rappresentata nella prosa di Giordano Bruno (44 occorrenze), Garzoni (40 occorrenze) e pervade la prosa scientifica di Galileo. Pochissime le attestazioni settecentesche con soltanto 3 occorrenze nel Verri, ricorre una sola volta in Manzoni nel Fermo e Lucia e sparisce poi nei Promessi Sposi; solo un caso nella prosa di Leopardi (nel Dialogo di Plotino e Porfirio) e un altro in Pirandello.
Nell'Ottocento e nel Novecento la congiunzione continua a connotare la prosa di alcuni saggisti e critici, in particolare se ne contano 53 occorrenze nella Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis e 65 nella Morale dei positivisti di Roberto Ardigò; nella lingua della narrativa alcuni esempi in Svevo e Tozzi (la ricerca è stata condotta anche consultando il sito della Biblioteca Italiana a cura dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza"). Risulta poi decisamente attestata, sia nelle forma unita che in quella separata, in Carlo Emilio Gadda (da una ricerca mirata all'intero corpus dell'Archivio elettronico delle opere di Carlo Emilio Gadda, progetto dell'Istituto di Linguistica Computazionale del CNR di Pisa, si possono rintracciare 14 occorrenze complessive).
Oltre naturalmente che nei dizionari storici, la congiunzione è ancora registrata in recenti dizionari sincronici (Vocabolario Treccani, GRADIT, Devoto-Oli 2008, Sabatini-Coletti 2008), nella maggior parte dei casi marcata con le notazioni "basso uso" o "antica": i lessicografi tendono quindi a etichettarla come una locuzione arcaica e ormai rara. Ma da una veloce ricerca in rete risulta invece evidente la sua larga diffusione nell'italiano contemporaneo: il motore di ricerca di Google rintraccia (al 1 aprile 2009) 68500 occorrenze e, anche tenendo conto del rumore dovuto a forme come non essendo che, pur essendo che, siamo sempre intorno alle 60000. I contesti sono in larga misura colloquiali, informali con venature ironiche, in frasi del tipo "essendo che non si sa mai", "essendo che non ho voglia di cucinare", "essendo che mi sposo a breve", in alcuni casi anche più connotate verso il basso o con coloriture regionali e dialettali come "essendo che sono un po' gnucco", "essendo che so io il masculo", "essendo che sono inguaiato".
La storia che abbiamo sommariamente tracciato rimanda quindi a una forma originariamente letteraria, propria della prosa saggistica e argomentativa di registro alto, che negli ultimi anni è stata recuperata e rilanciata in situazioni comunicative informali e tendenzialmente scherzose. Si può ipotizzare che la locuzione essendo che stia riemergendo, come è accaduto a molte voci arcaiche e dialettali, per rientrare in usi informali e assumere nuovi valori fortemente espressivi.
In merito a quanto rilevato da alcuni utenti sull'insegnamento scolastico che sanciva la scorrettezza della locuzione, possiamo solo dire che le grammatiche tradizionali (che ancora non registrano la nuova connotazione) non esprimono nessun "divieto", ma semmai notano che la congiunzione essendo che è propria della lingua letteraria e si adatta meglio a contesti di registro alto.
A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
3 aprile 2009
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