Alcuni lettori ci scrivono a proposito di eucarestia variante piuttosto diffusa di eucaristia: come si è originata? Si può considerare corretta?
La parola eucaristia è una voce dotta, che arriva in italiano dal latino cristiano eucharĭstiam, a sua volta dal greco ecclesiastico eucharistìa (composto da eu- ‘bene’ e da un derivato di cháris ‘grazia’), dove assumeva il significato di ‘riconoscenza, gratitudine, rendimento di grazie’ (DELI, s.v.). Il verbo greco eukharistéō compare nei Vangeli in una forma al passato con il valore di ‘dopo aver reso grazie’ contestualmente alla distribuzione del pane e del vino da parte di Gesù durante l’ultima cena; da qui il nome del sacramento (l’Etimologico, s.v.). A partire dal secolo XIV il termine diventa proprio del lessico liturgico cattolico, àmbito in cui ancora oggi eucaristia designa, più genericamente, “il sacramento che simboleggia il sacrificio di Cristo e la sua comunione coi fedeli”, e anche, in senso più ristretto, “il pane, sotto forma di ostia, e il vino con cui tale sacramento è celebrato” (GRADIT, s.v.).
La ricognizione ha consentito di aggiornarne la datazione per la forma eucaristia e di fissarla per eucarestia. I due termini risultano (in maniera senz’altro singolare) attestati per la prima volta nello stesso testo, vale a dire nel commento a Dante di Giovanni della Lana della seconda metà del Trecento. Mentre eucaristia, però, compare sia nel testo bolognese:
A la vj cosa si è da savere che lle prelatione ecclesiastice della prima vitta cageno sotto lo sagramento de l’ordene, lo qual si è sagramento della aministratione de gl’altri sagramenti e spetialmente de quel della eucaristia ch’è a consecrare l’ostia e ’l vino e farlo transustantiare verasemente in lo corpo et in lo sangue de Cristo (G. della Lana Commento alla ‘Commedia’, Canto XIX, Introduzione, 7, edizione critica a cura di Mirko Volpi, Tomo II, Salerno Editrice, Roma, 2009, pp. 1310 e 1312)
sia in quello fiorentinizzato:
Alla sesta cosa è da sapere che le prelazioni ecclesiastiche della prima vita caggiono sotto il sagramento de l’ordine, lo quale è sacramento della aministratione delli altri sacramenti e spetialmente di quello della eucaristia ch’è a consecrare l’ostia e ’l vino e farlo transustanziare veracemente nel corpo e nel sangue di Cristo (Op.cit., Canto XIX, Introduzione, 7, pp. 1311 e 1313)
la variante eucarestia è attestata solo nella versione fiorentina:
Puòsi intendere spirituale in due modi: l’un partiene solo a quelli che sono della prima vita e questo è proprio la eucarestia, cioè lo corpo e ‘sangue di Cristo, ch’è lo sacramento della messa. (Op.cit, Canto XI, 13)
A partire da queste occorrenze trecentesche, entrambe le varianti si riscontrano in tutta la storia dell’italiano. Seppure vi siano delle fasi, lungo i secoli, di minore o maggiore successo dell’una o dell’altra forma, si tratta di oscillazioni minime; la prevalenza del tipo eucaristia, infatti, è netta ed è testimoniata in diverse tipologie di fonti.
È sempre eucaristia la forma posta a lemma nei principali repertori lessicografici fin dal Seicento ed è eucaristia la variante che restituisce un maggior numero di risultati nelle banche dati oggi utilizzate anche per indagini linguistiche, come Google libri, Bibit o archivi storici di quotidiani.
Se guardiamo tra i catechismi, i regolamenti per un buon comportamento cristiano e le guide per gli insegnanti di dottrina, produzione che, moltiplicatasi negli anni successivi al Concilio di Trento, ebbe numeri stabili almeno fino ai primi decenni del XX secolo, si vede che la variante scelta è eucaristia (eucharistia nei testi più antichi), che compare, per esempio, sia nei cinquecenteschi Interrogatorio della dottrina christiana, voluto dal cardinale Carlo Borromeo, e Dottrina cristiana breve perché si possa imparare a mente del gesuita Roberto Bellarmino, sia nel Catechismo della dottrina cristiana pubblicato nel 1912 sotto il pontificato di Pio X.
In questo quadro d’insieme sostanzialmente uniforme, non mancano, tuttavia, delle eccezioni.
Per quanto riguarda i dizionari, va detto che anche nella lessicografia sei-settecentesca il tipo con -e-, sebbene, come abbiamo visto, non sia lemmatizzato come voce autonoma, appare sotto altri lemmi tra gli esempi d’uso. Ancora la quinta impressione del Vocabolario della Crusca considera la forma in -e- dell’uso popolare, ma qualche decennio più tardi, il manzoniano Policarpo Petrocchi, nel suo dizionario del 1912 (Nòvo dizionàrio scolastico della lingua italiana dell’uso e fuori dell’uso, Milano, F.lli Treves) marca come popolare la variante in -i-, cioè quella più vicina agli originali greco e latino.
Per quanto riguarda l’educazione religiosa e l’insegnamento della dottrina, per esempio, incontriamo casi di eucarestia in testi ottocenteschi a uso delle scuole e dei seminari:
e le religiose servono a Dio continuamente in tutti i ministeri in cui sono occupate dalla obbedienza, e gran parte del giorno la occupano nella meditazione, nell’uso frequente dei Sacramenti, nella visita a Gesù nell’Eucarestia, nelle letture spirituali, nelle varie opere di pietà. (Esercizi spirituali per religiose che attendono alla educazione delle fanciulle, Lodi, Tip. Vesc. Quirico, Camagni e Marazzi, 1885, p. 46)
Che cosa è l’Eucarestia? È un Sacramento che sotto le specie del pane e del vino contiene realmente e sostanzialmente il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di nostro Signor Gesù Cristo per esser cibo spirituale dell’anima nostra. Chi ha istituito il Sacramento dell’Eucarestia? Lo ha istituito nostro Signor G.C. nell’ultima cena la vigilia della sua morte. Qual è la materia dell’Eucarestia? Prima della consacrazione è il pane e il vino, dopo la consacrazione è il Corpo e il Sangue di G.C. sotto le specie del pane e del vino. (Breve esposizione della dottrina cristiana ad uso delle scuole con appendice sulla Chiesa, Treviglio, Tipografia G. Batt. Messaggi, 1873, p. 49)
Nel corso del Novecento la situazione non subirà cambiamenti sostanziali: le due forme, infatti, continueranno a convivere pacificamente sia pure in un rapporto di stabile maggioranza di eucaristia. Guardando, per esempio, tra gli archivi online del “Corriere della Sera” abbiamo, tra il 1876 e il 1900, 700 risultati con -i- e 17 con -e-, tra il 1900 e il 1950, 5.437 risultati con -i- e 146 con -e-, tra il 1950 e il 1985, 5.158 risultati con -i- e 398 con -e- e, infine, tra il 1985 e il 2024, 4.777 risultati con -i- e 658 con -e-, mentre per lo stesso periodo l’archivio della “Repubblica” riporta 825 risultati in -i- e 1.064 in -e-.
Un punto di osservazione interessante, che conferma non solo l’andamento generale che si sta descrivendo ma anche la maggiore frequenza nei testi di catechesi del tipo etimologicamente più vicino all’originale, è rappresentato da norme, disposizioni, encicliche e lettere apostoliche prodotte dalla Chiesa e dai pontefici nel corso del Novecento. Qui è sempre nettamente prevalente la variante eucaristia, come leggiamo nel Codice di diritto canonico, nei documenti del Concilio Vaticano II o nei testi di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e di Papa Francesco.
A ciò, tuttavia, non corrisponde nessun ribaltamento in senso opposto: non è vero, infatti, che la forma in -e- si rinvenga solo in testi di area non religiosa, dove la distribuzione delle varianti rispetta la proporzione descritta. C’è da aggiungere, comunque, che le occorrenze in testi non ecclesiastici o in scritti (nessuna occorrenza è stata rinvenuta nelle banche dati dell’italiano parlato) in cui il termine sia adoperato in senso traslato risultano molto limitati; qualche bell’esempio (tra i pochissimi) viene dall’archivio della “Repubblica”: uno compare in un articolo sui guadagni del settore delle nozze (“solo il 4% opta per un rito religioso abbreviato che dura circa 20 minuti e non prevede l’eucaristia”); un altro è in un pezzo sui gianduiotti piemontesi (“un pezzo di tavoletta a testa come l’eucarestia per un nuovo inizio”); un terzo appare in un’intervista ad Alberto Casiraghi, in cui il celebre illustratore racconta la sua amicizia con Alda Merini (“Si apre un tabernacolo che invece dell’eucarestia conserva la foto della poetessa e un blister di rossetto”).
La ragione per cui alla forma in -i- si è affiancata, fin da subito, quella in -e- non è certa. Un’ipotesi potrebbe essere un probabile incrocio con la più diffusa carestia, di etimo incerto ma in cui si riconosce la stessa base cháris ‘grazia’ (DELI, s.v.). Dalla medesima radice greca, quindi, si sarebbero avute eucaristia e carestia. La maggiore vicinanza della prima alla base etimologica si potrebbe spiegare con la maggiore sorveglianza esercitata sul lessico ecclesiastico e liturgico, laddove la seconda, che entra, con l’accezione di ‘scarsità generale’ (TLIO, s.v.), in scritture di vario argomento non necessariamente religiose, si afferma fin da subito nella variante con -e-. Sulla base della loro somiglianza fonica e grafica, potrebbe quindi essersi generato un accostamento tra vocaboli diversi, favorito probabilmente dalla maggiore familiarità e dai più numerosi ambiti d’uso di carestia rispetto a eucaristia.
Quanto alla domanda su quale sia la forma più corretta, possiamo dire, anche sulla base della storia che si è brevemente ricostruita, che eucaristia, più vicina alla base etimologica greca e più diffusa sia nell’italiano antico sia oggi, non solo in ambito liturgico ed ecclesiastico, è da preferire negli usi della lingua più sorvegliati. Tuttavia, il fatto che eucarestia abbia circolato e continui a circolare, sia pure in misura minore, fin dai primi secoli della nostra storia linguistica non ci autorizza a estrometterla dall’uso comune.
Nota bibliografica:
Claudia Tarallo
27 gennaio 2025
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