Sono molte le persone che, da varie parti d'Italia, ci chiedono se si possa usare il termine parrucchieria per indicare l'attività e il negozio del parrucchiere. Qualcuno ci segnala la diffusione del termine nel sud della penisola, in particolare in Sicilia (da cui proviene oltre la metà delle richieste) e ci chiede se possa trattarsi di una forma regionale.
Farsi belli in parrucchieria
Per quanto anche le edizioni più recenti di Sabatini-Coletti (2008), ZINGARELLI (2014), Devoto-Oli (2014) non riportino il termine, parrucchieria ha una qualche cittadinanza nella lessicografia italiana: non solo lo attesta il GRADIT, che registra programmaticamente l’uso della lingua, già nell'edizione 2000, ma anche il Vocabolario Treccani online e il GDLI. Quest’ultima opera ne testimonia l’impiego da parte di Giosue Carducci – ma con un significato ben diverso da quello che ci interessa, cioè come ‘artificiosità sciatta, banale, volgare’ – e di Riccardo Bacchelli che, nel Diavolo al Pontelungo (1927), lo impiega nel valore di ‘attività del parrucchiere’. Precedentemente anche Carlo Dossi , in Ritorno d'amore, lo aveva usato con un'analoga accezione: "A casa, metà del tempo lo passava lavandosi, strofinandosi, pettinandosi, profumandosi: fuori, recava sempre un arsenale tascabile di parrucchieria e con destrezza ne maneggiava ora l'uno or l'altro ferretto...".
In realtà già all'inizio del Novecento la forma era usata anche per indicare il locale dove si svolge l'attività del parrucchiere:
Ma i due elementi costitutivi della vita sociale di Fishmarket sono il bar e la parrucchieria. In certe strade le porte delle case da thè, cioè a dire delle case ospitali, si alternano col negozio di parrucchiere e questo col bar. Ho domandato come mai l'elegante Figaro di rossiniana memoria si sia degnato di aprire i suoi saloni in una sede così poco acconcia alla disinfezione e ai profumi. Mi è stato risposto che il parrucchiere di Fishmarket è un parrucchiere il quale non si attende guadagni dal taglio della barba o dei capelli. La parrucchieria è per lui una specie di pied-à-terre. [Osea Felici, L'Egitto e la Guerra europea, Lo Stato della lussuria (Fishmarket), Milano, 1916, p. 109]
Sicuramente è ormai affermato alla fine del secolo, sia al nord, sia al sud d'Italia:
La chiamavo al telefono, ma non perché ce ne fosse bisogno o non ci si potesse vedere a quattr'occhi, solo perché sapevo che soddisfazione ci provava a entrare come un carabiniere nella parrucchieria della Braibanti... (Alberto Bevilacqua, La mia Parma, 1982, p. 104)
Il fatto poi che giaceva con A. nel lussuoso appartamento al 70° piano, con divani di broccatello e tende con le cadute di seta gialla, e una sala da bagno grande come l'unica parrucchieria di Bisacquino, non significava niente... (Silvana Grasso, Ninna nanna del lupo, 1995, p. 119)
Negli anni 2000 le attestazioni si fanno più frequenti, soprattutto in testi specialistici riguardanti il settore. Per quel che riguarda l'uso nella realtà dell'esercizio commerciale, possiamo ricavare indicazioni sulla distribuzione di parrucchieria sul territorio nazionale tramite la ricerca del termine nella denominazione o nella descrizione relativa alle singole attività registrate provincia per provincia dalle Pagine Gialle. Di fronte a una quota generalizzata piuttosto bassa (da 1 a 3 esercizi per la maggior parte della città italiane), spiccano i valori relativi ad alcune province siciliane (31 per Palermo, 19 per Caltanissetta) e dell'area mediana (51 per Perugia, 34 per Macerata, 26 per Ancona).
Mentre i maggiori quotidiani nazionali contano pochissime occorrenze della voce, assai più permeabile si mostra la stampa locale: stando a ciò che mostra la rete, la maggiore frequenza del termine è riscontrabile in area marchigiana (Ancona, Fermo, Macerata, Fano, Pesaro, San Benedetto del Tronto) e siciliana, benché se ne trovino attestazioni praticamente ovunque, Toscana compresa.
Un altro settore di penetrazione del termine è la lingua burocratica delle aziende sanitarie locali: gli istituti ospedalieri e di assistenza ad anziani o disabili offrono infatti ai degenti o ai destinatari di assistenza domiciliare il "servizio di barberia (sic) e parrucchieria", inteso evidentemente come le prestazioni del barbiere e del parrucchiere. Ancora una volta, sulla base delle testimonianze in rete, sembra delinearsi una più sensibile presenza in area umbra, marchigiana e siciliana, e anche in area friulana.
A proposito dell'associazione con barbieria val forse la pena di notare che questa forma era già presente nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612, in cui alla voce barbiere si leggeva: "E da, barbiere, barbiería, che è la bottega del barbiere". Non troviamo invece traccia di parrucchiere fino alla V edizione del Vocabolario (1863-1923) di cui abbiamo, per la lettera P mai pubblicata, le schede manoscritte: su una di esse parrucchiere appare con una formulazione sostanzialmente identica a quella che troviamo nel Tommaseo-Bellini (1861-1879): "Veramente Colui che fa parrucche; dicesi nondimeno anche quegli che pettina, che acconcia i capelli, e rade la barba" con la stessa citazione dal Mattino del Parini. In realtà il francesismo parrucchiere per indicare 'chi confeziona parrucche' era usato da Redi e Magalotti ed è già nel "corso del XVIII secolo che il termine si riferisce anche a chi acconcia i capelli e rade la barba" (cfr. Andrea Dardi, Dalla provincia all’Europa: l’influsso del francese sull’italiano tra il 1650 e il 1715, Firenze, 1992, p. 213). I due termini barbiere e parrucchiere sono però ancora in conflitto a metà Ottocento, tanto che nel Vocabolario metodico d'arti e mestieri di Giacinto Carena (1853, 18594), nella nota 283 alla trattazione di PARRUCCHIERE, BARBIERE si legge:
L'analogia di codesti due mestieri fa che essi nell'uso comune non siano guari distinguibili. Il Parrucchiere per lo più fa anche da Barbiere, e pochissimi sono i Barbieri che non assettino anche alcun poco i capelli: ma molti sono i Barbieri che non fanno parrucche. Lo antico uso, testè rinnovato, di lasciar crescere la barba, e di bene e studiosamente acconciarla, è venuto ad aumentare la confusione delle due suddette appellazioni: niuno oramai voleva rimanersi contento alla troppo dimessa denominazione di Barbiere: quella di Parrucchiere, né conveniva rigorosamente ad ambidue i mestieri, né i Parrucchieri propriamente detti vedevano in essa degnamente espressa la varietà e la eleganza di tanti nuovi loro lavori sul capo, e sul mento della gente. Codesti artieri cominciarono allora a sentir il bisogno di assumere qualche nuova denominazione che comprendesse ogni operazione relativa sia alla barba, sia ai capelli, tanto naturali, che posticci, e credettero, non dirò qui se a ragione o a torto, di averla rinvenuta nella letterale traduzione della parola francese Friseur, e presso che tutti scrissero, e scrivono Frisore sull'insegna e sul cartello della loro bottega.
Lo stesso Carena chiarisce che la distanza tra le due professioni è ormai un dato di fatto se parrucchiere è "colui che fa Parrucche, Giretti, e simili. E anche pettina e acconcia altrui sul capo capelli" (dove per giretto si intende "alcuni ricci, e cascate, o altra parte di pettinatura, cucita sur un nastro, da cingersene la tempia le donne"). Mestiere più raffinato e complesso del semplice barbiere ("chi fa mestiere di radere altrui la barba") e, a differenza di questo, ormai rivolto, se non principalmente, anche alla clientela femminile, presso la quale tende progressivamente a sostituire l'uso discreto della pettinatora a domicilio: "In Firenze, e certamente nelle altre grandi città della Toscana, a memoria d'uomo, eranvi donne che andavano nelle case a pettinare, ossia acconciare la capellatura alle signore, e codeste donne erano chiamate PETTINATORE, plur. di PETTINATORA" (nota 287 alla voce PETTINATURA).
Oggi possiamo dire che, scomparso senza lasciar tracce il frisore, almeno dalle insegne, parrucchiere ha vinto la sua battaglia relegando barbiere alla sola mansione del taglio della barba e dei capelli maschili – ormai nemmeno più di quelli – e conquistandosi, dopo oltre un secolo e mezzo, il diritto alla parrucchieria. Il termine, coi suoi due valori 'negozio' e 'attività del parrucchiere', va a coprire lo spazio che la lingua affidava a sintagmi generici come salone o negozio del parrucchiere e attività di parrucchiere, riproponendo una coppia 'nome della professione'-'attività e luogo in cui si svolge' analoga non solo a barbiere-barbieria, ma anche ad altre già presenti nel lessico italiano come pasticciere-pasticceria, salumiere-salumeria, droghiere-drogheria, tramite il suffisso -erìa che in questo caso, come in quello di barbieria, va a "cumularsi" con la i del suffisso -iere consentendo così di sottolineare la distanza semantica da parruccheria 'luogo dove si conservano le parrucche, specialmente in un teatro'. Questo suffisso è usato tipicamente per la formazione di nomi indicanti negozi e laboratori e si mostra particolarmente produttivo nelle denominazioni emergenti di nuove (e vecchie) attività commerciali: panineria, hamburgheria, yogurteria, ma anche intimeria, jeanseria e perfino rivisteria. Proprio in considerazione della vitalità del procedimento di derivazione e della (quasi) perfetta coerenza con il sistema morfologico dell'italiano resta difficile fare affermazioni a proposito dell'origine regionale del termine; possiamo solo costatarne la maggior diffusione in alcune aree della penisola.
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
27 febbraio 2015
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