Alcuni lettori ci chiedono se “esista” in italiano il termine eclatanza, altri domandano se sia legittimo l’uso del sostantivo coprenza impiegato soprattutto nell’àmbito della cosmesi, altri ancora chiedono chiarimenti sull’uso di eccellenza ed eminenza.
Il tipo morfologico degli aggettivi in -nte, per intendersi quelli storicamente risalenti al participio presente latino, è robustamente rappresentato in italiano. Senza addentrarci troppo nel problema spinoso dello status di questi aggettivi, possiamo distinguere almeno due tipi: quelli che non si riferiscono a una base verbale esistente in italiano come arrogante, assente, avvenente, eclatante, ecc., e quelli che invece sono connessi con verbi. Per questo secondo tipo si pone la questione di distinguere quelli da considerare a buon diritto dei participi – come derivante, riguardante, ecc., che replicano la reggenza sintattica dei verbi da cui sono formati: una conseguenza che deriva / derivante dalla decisione, un aspetto che riguarda / riguardante la questione – dagli aggettivi deverbali a tutti gli effetti, come affascinante, indisponente, ecc., per i quali non è accettabile un’interpretazione di tipo participiale: un oratore che affascina ~ indispone / *affascinante ~ *indisponente l’uditorio. Tra i due gruppi si individua una zona grigia, che risulta non da ultimo anche dall’uso ristretto a registri stilistici limitati – scritti burocratici, ecc. – dell’uso participiale.
La distinzione tra i due tipi è importante per i quesiti posti al servizio di consulenza dell’Accademia, perché il tipo participiale non forma il nome derivato *derivanza, *riguardanza, mentre il tipo con valore aggettivale, sia semplice sia derivato dal verbo in maniera produttiva, seleziona il suffisso -za per formare il cosiddetto nome di qualità, cioè il nome che si riferisce alla qualità astratta denotata dall’aggettivo: arrogante → arroganza, assente → assenza, avvenente → avvenenza, e molti altri. Per produttività si intende qui la capacità di dare vita a nuove formazioni con un certo modello morfologico da parte di un parlante medio, più o meno consapevole dell’operazione stessa (si veda Gaeta e Ricca 2005 per una discussione della questione). Proprio questa definizione di produttività si applica al nome eclatanza sollevato nel quesito (peraltro già menzionato dal Dizionario del nuovo italiano di Claudio Quarantotto del 1987), che è chiaramente derivato dall’aggettivo eclatante e si va ad aggiungere ad altri derivati più o meno recenti che testimoniano la produttività del suffisso -za con gli aggettivi semplici in -nte come cogente → cogenza, ingente → ingenza, saliente → salienza, ecc., e con derivati deverbali in -nte come indisponente → indisponenza, aberrante → aberranza, ecc. (si veda Rainer 2004, p. 306). Nonostante la maggiore produttività generale di suffissi che formano nomi di qualità da aggettivi quali -ezza (bello → bellezza) e -ità (vero → verità), il tipo degli aggettivi in ‑nte in genere preferisce -za, e solo in casi sporadici incontriamo esempi come brillante → brillantezza, croccante → croccantezza, pesante → pesantezza. In quest’ottica non stupisce l’impossibilità di *eclatantezza o *eclatantità, anche se la produttività di -za con gli aggettivi in -nte non pare illimitata, come dimostra sia l’impossibilità di affascinante → *affascinanza, presumibilmente dovuta alla presenza del nome fascino che esercita blocco lessicale, che più in generale la scarsa accettabilità di derivati teoricamente possibili come patente → ?patenza. Si noti infine che anche gli aggettivi in -nto prediligono in larga misura il suffisso -za: corpulento → corpulenza, opulento → opulenza, sonnolento → sonnolenza, violento → violenza, ecc., con pochi casi devianti come lento → lentezza e contento → contentezza.
Per quanto riguarda gli aggettivi deverbali, bisogna aggiungere un paio di osservazioni. La prima riguarda il fatto che i nomi formati con il suffisso -za possono in realtà servire anche per formare nomi astratti a partire da verbi. Ciò è vero tuttavia in genere solo per verbi che hanno un valore cosiddetto stativo, come ad esempio eccellere → eccellenza cui fa riferimento il quesito, o permettono un’interpretazione stativa, come aderire → aderenza, per i quali osserviamo la sostanziale sinonimia tra il verbo e l’aggettivo in -nte: eccellere / aderire = essere eccellente / aderente. Nel caso in cui il verbo presenti un’interpretazione eventiva a fianco a quella stativa, il nome deverbale è formato con altri procedimenti derivazionali, per cui troviamo coppie di derivati come aderire alla parete → aderenza alla parete, ma aderire a un partito → adesione a un partito, discendere da nobile stirpe → discendenza da nobile stirpe, ma discendere dalla montagna → discesa dalla montagna, ecc. (cfr. Gaeta 2004, p. 347). Solo in pochi casi eccezionali come partire → partenza il nome in -za ha un valore chiaramente eventivo in corrispondenza del verbo base.
La seconda osservazione riguarda il fatto che in diversi casi l’aggettivo deverbale viene impiegato per formare aggettivi che denotano la proprietà connessa con il verbo base, soprattutto nel dominio terminologico che riguarda sostanze, materiali, ecc. Questo è il caso dell’aggettivo coprente che sta alla base del nome coprenza cui si riferisce il quesito e che è impiegato appunto nel linguaggio terminologico della cosmetica per indicare sostanze che servono a nascondere le imperfezioni della pelle, come in fondotinta coprente, cipria coprente, ecc., e più in generale anche in altri settori merceologici: calze coprenti, imbottitura coprente, ecc. Osserviamo di nuovo che il nome coprenza fa riferimento al valore stativo del verbo che si esplicita nell’aggettivo in -nte: coprire = essere coprente, mentre l’altro derivato copertura è impiegato con riferimento al valore eventivo del verbo: coprire la macchia → copertura della macchia. Troviamo pertanto un modello produttivo per formare aggettivi deverbali in -nte, limitato per lo più a quei casi in cui sia possibile formare un aggettivo che metta in evidenza il valore stativo del verbo: un esempio del genere è l’aggettivo sostenente che indica la proprietà della lenza di sostenere il pescato, da cui si forma poi il nome sostenenza come in quest’esempio tratto da Internet:
Altre info: la pesca al polipo molto diversa da quella originale... ma una abboccata improvvisa e di grossa sostenenza porta grandi risultati. (Polipo di 2Kg a Peschici, itineraridipesca.it)
Con questo valore sostenente è usato già da Bacchelli: L’acqua ci fa l’effetto d’esser più, come a dir, sostenente (si veda GDLI, s.v.). L’uso che registriamo come produttivo oggi, soprattutto in domini terminologici che fanno riferimento alle proprietà merceologiche, è sostanzialmente diverso dal valore con il quale parole come sostenenza (e si aggiunga anche l’inaccettabile *derivanza menzionato sopra) sono state registrate nei dizionari nel passato, in particolare ‘sostentamento’ per sostenenza e ‘origine’ per derivanza (si veda GDLI, s.v.), che invece risultano oggi obsolete e/o completamente inaccettabili.
Il valore di nome di qualità è solo uno dei possibili significati derivazionali del suffisso -za, e abbiamo già visto che il suffisso può anche avere valore di astratto deverbale, cioè far riferimento allo stato denotato dal verbo stativo di base come eccellenza rispetto ad eccellere. È noto inoltre che in genere le parole (semplice o complesse) sono tanto più esposte a slittamenti di significato quanto maggiore è lo loro frequenza d’impiego, cioè quanto più è grande il numero di contesti nei quali ricorrono. In questo modo si viene formare per ogni parola una rete polisemica, che – soprattutto per formazioni complesse – è regolare, cioè presenta degli schemi di estensione semantica ricorrenti specialmente per derivati con lo stesso suffisso (si veda Gaeta 2002, pp. 199-222 per una discussione). Per limitarci all’esempio dei derivati in -za, oltre al valore di nome di qualità, registriamo come estensioni metonimiche il valore (collettivo) ‘persone o cose dotati delle proprietà di base’, che troviamo per l’appunto nel significato di espressioni come l’eccellenza italiana, l’eminenza grigia, la rappresentanza parlamentare (anche al plurale: le presenze innominabili), ma anche l’estensione temporale, come nelle espressioni la vacanza agostana, la lunga convalescenza, e quella locativa, come in la residenza papale, ecc. Soprattutto nel significato ‘persona dotata della proprietà di base’ registriamo l’uso di derivati in -za con valore allocutivo come Sua Eccellenza / Eminenza, ecc. che sono radicati nella storia dell’italiano (e non solo) e hanno un chiaro effetto valutativo di amplificazione. L’incremento d’uso di queste espressioni ne determina lo scolorimento semantico, per cui si assiste a rinnovati tentativi di rafforzarne l’effetto di intensificazione – soprattutto in àmbiti come il linguaggio pubblicitario – come nelle espressioni la migliore eccellenza cui si fa riferimento nel quesito, ma anche in formule allocutive tipiche, ancorché semanticamente ridondanti, come Eminenza Eccellentissima e simili.
Nota bibliografica:
Livio Gaeta
4 aprile 2023
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