Due lettori si rivolgono al nostro servizio di consulenza linguistica per sapere se la terza persona plurale del passato remoto del verbo dovere sia dovettero o doverono; nel caso siano possibili entrambi, come si spiega questo “dualismo”?
Nel trattato Il torto e ’l diritto del non si può (1655) Daniello Bartoli osserva giustamente: “In quasi tutte le lingue, la parte più malagevole a regolare sono i verbi, non solamente per le tante anomalie che sogliono avere una gran parte d’essi, ma eziandio per l’universal formazione delle Persone e de’ Numeri e de’ Tempi di quegli che ordinatamente procedono”. In effetti la flessione verbale è il dominio privilegiato del cambiamento analogico, perché in questo particolare settore della grammatica emergono in modo più evidente e pervasivo gli effetti delle possibili simmetrie formali e funzionali presenti nei diversi paradigmi. Due casi molto noti del fenomeno sono, per esempio, il congiuntivo vadino in luogo di vadano e l’infinito redarre in luogo del corretto redigere: il primo dovuto all’analogia con forme regolari come amino, cantino, portino; il secondo ricostruito sul modello di trarre, anche per l’affinità dei participi tratto e redatto.
Nell’italiano del passato forme oggi considerate devianti come il citato vadino o come fàccino erano largamente attestate anche in testi di autori raffinati, e venivano usate in alternanza con le forme vadano e facciano che saranno poi preferite nella lingua standard, grazie anche al sostegno dei grammatici. In questa occasione ci soffermeremo sulle desinenze verbali della terza persona plurale -ettero, -erono e su altre collegate che si alternano nella seconda coniugazione del passato remoto, segnalando sia le origini e le ragioni della duplicità, sia le preferenze dell’uso per l’una o l’altra forma fino ai nostri giorni.
Cominciamo notando che la flessione regolare dei verbi della seconda classe (con infinito in -ere) prevede in genere due forme nella prima persona singolare (-ètti, -éi), nella terza persona singolare (-ètte, -é) e nella terza persona plurale (-èttero, -érono) del passato remoto: abbiamo quindi temetti/temei, temette/temé, temettero/temerono; allo stesso modo si coniugano per esempio godere, ricevere e appunto dovere, al quale appartiene la forma doverono che ha suscitato la curiosità dei lettori.
L’origine delle forme del passato remoto in -etti, -ette, -ettero dipende dall’analogia con le forme di stare e dare, vale a dire stetti (dal latino volgare stetui per il classico steti), stette, stettero e le simmetriche detti, dette, dettero, che hanno affiancato le originarie diedi (dal latino dedi), diede, diedero, in questo caso senza soppiantarle nell’uso.
Le desinenze parallele -ei, -é, -erono sono formate invece, come quelle delle restanti persone verbali, sul modello dei verbi in -are e in -ire. Abbiamo quindi:
− prima coniugazione -ai, -asti, -ò, -ammo, -aste, -arono;
− seconda coniugazione -ei, -esti, -é, -emmo, -este, -erono;
− terza coniugazione -ii, -isti, -ì, -immo, -iste, -irono.
La scelta tra le due serie di forme concorrenti in -etti, -ette, -ettero e in -ei, -é, -erono è pressoché libera, anche se nell’uso attuale la prima serie domina nettamente sulla seconda, tranne quando il verbo contiene una t nella radice: in questi casi per ragioni eufoniche si può preferire potei a potetti e, a maggior ragione, battei a battetti o riflettei a riflettetti.
Gli autori e talvolta gli stessi grammatici hanno mostrato incertezze e oscillazioni nella scelta tra queste forme: il citato Bartoli, per esempio, consiglia “dovettero, non doverono”, ma poco dopo indifferentemente “poterono e potettero” (nonostante la tripla t del secondo). Marco Mastrofini in Teoria e prospetto ossia dizionario critico de’ verbi italiani (Roma, De Romanis, 1814) registra sia la serie dovei, dové, doverono sia l’altra dovetti, dovette, dovettero, ma aggiunge che quest’ultima “è più comune”. La Grammatica italiana dell’uso moderno (Firenze, G. C. Sansoni, 1882; I ed. 1879) di Raffaello Fornaciari informa che “sono usate ambedue le terminazioni -éi ed -ètti. La prima è più comune nelle scritture; la seconda nel parlare toscano”. Per La Grammatica italiana di Salvatore Battaglia e Vincenzo Pernicone (Torino, Chiantore, 1951) le desinenze -etti, -ette, -ettero “vanno acquistando un certo predominio, specialmente nel parlato”. Nei decenni successivi il predominio è diventato pressoché assoluto, anche nello scritto, se nell’intero Archivio informatizzato del quotidiano “la Repubblica” (1/1/1984 - 21/1/2024) sono registrati 3.089 esempi di dovettero contro due soli di doverono, che oltre tutto si rivelano entrambi errori di stampa per doveroso: “è doverono sottolineare…”; “è doverono avvertire il tuo datore di lavoro”.
Dal momento che molte grammatiche continuano ad ammettere non solo dovettero ma anche doverono, si può considerare quest’ultima forma obsoleta piuttosto che scorretta.
Pietro Trifone
26 giugno 2024
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