Alcuni lettori si domandano a che cosa si riferisca il pronome la in verbi come avercela, prendersela, farcela, sentirsela ecc., ma anche in espressioni più complesse come dirla schietta, mettercela tutta, pagarla cara, vedersela brutta ecc. In tutti i questi casi il pronome è declinato al femminile ed è obbligatorio, mentre di norma il pronome neutro è il maschile lo.
Inizio a rispondere dicendo che questi costrutti, che richiedono obbligatoriamente il pronome la, che è un pronome clitico (cioè debole, che non può stare da solo e si “appoggia” ad altre parole), rientrano nella categoria dei verbi “procomplementari” (cioè che accettano a complemento del proprio significato uno o due pronomi clitici), individuata per la prima volta nel GRADIT. Secondo la definizione fornita dal Nuovo De Mauro, si tratta di verbi che si usano “stabilmente con particelle clitiche procomplementari (ad es. svignarsela) o che, in quanto usat[i] con tali particelle, assum[ono] valori specifici, autonomi rispetto al verbo di base (ad es. sentirsela, vedersela, ecc.)”.
Nell’introduzione al GRADIT si specifica che l’etichetta è stata attribuita a 159 verbi, comprendenti uno (per es. finirla) o più pronomi clitici (es. avercela con qualcuno) il cui significato può essere molto diverso da quello del verbo di base (es. “la pianti di fare rumore?” e “ho piantato i tulipani in giardino”). I pronomi coinvolti, oltre a la, sono ci (es. “ci stai a fare uno scherzo a Giulio?”) e ne (es. “non ne posso più dei tuoi scherzi!”), anche in combinazione tra loro (es. “ce la faccio senza di te”; “tra il dire e il fare, ce ne passa!”) o con il clitico si (es. tirarsela, andarsene ecc.). Diversi autori hanno rilevato che i verbi procomplementari, alcuni dei quali sono comparsi molto presto nella storia dell’italiano, sono più frequenti nella lingua parlata e in registri meno formali. Inoltre, si combinano facilmente con altri elementi per creare espressioni idiomatiche come prendersela comoda, rimanerci male ecc.
In realtà, il lemmario del Piccolo dizionario dei verbi procomplementari (EUT, 2022), ci fa capire che il numero di verbi ed espressioni idiomatiche a cui può essere attribuita l’etichetta di “procomplementare” è notevolmente maggiore rispetto alle 159 voci elencate nel GRADIT. Inoltre, non sempre il significato diverge notevolmente da quello del verbo di base (es. “senza occhiali non ci vedo”), mentre in alcuni casi la metafora è abbastanza trasparente (es. arrivarci = capire un concetto), ma in altri molto meno (es. farcela). Per quanto riguarda il riferimento dei pronomi, si va da semplici esempi di ridondanza (cioè è presente sia il pronome sia il suo referente, come in “ci credi agli oroscopi?”, in cui ci = agli oroscopi), a casi di sostituzione eufemistica (es. farsela addosso), a referenti che, effettivamente, restano piuttosto vaghi (es. cantarla chiara) o addirittura oscuri (es. averci, come in “ce li hai dieci Euro?”).
Tornando al caso specifico dei procomplementari comprendenti il pronome la, sui 159 lemmi riportati nel GRADIT, Andrea Viviani (I verbi procomplementari tra grammatica e lessicografia, in “Studi di grammatica italiana”, XXV, 2006, pp. 255-321) ha contato 36 voci con il pronome semplice (es. finirla), 50 in combinazione con si (es. battersela) e 2 con ci (es. avercela), a cui si aggiungono 8 voci con il pronome plurale le (es. buscarle, talvolta in sovrapposizione con il singolare, come nel caso di cantarla e cantarle), 2 nella combinazione -sele (es. suonarsele), contro un solo caso del maschile lo (darlo) e di -selo (menarselo), legati entrambi, diversamente, alla sfera sessuale con chiaro intento eufemistico (come, d’altro canto, il femminile darla). Che il pronome la sia particolarmente produttivo per formare tali verbi è confermato anche dallo spoglio del Piccolo dizionario dei verbi procomplementari in cui, su 246 lemmi, la compare 57 volte da solo, 59 nella combinazione -sela e 3 in -cela, contro 10 le, 3 -sele, 4 lo e un solo -selo. La produttività del genere femminile nei procomplementari è confermata anche da alcuni verbi comprendenti il clitico ne, come rivelano espressioni idiomatiche quali: ne ha detta (o fatta) una delle sue, ne combinano di cotte e di crude ecc. Resta il problema del significato del pronome la: perché proprio il genere femminile, e a che cosa si riferisce?
Come abbiamo già detto, in qualche caso il pronome agisce da sostituente eufemistico che permette di non menzionare esplicitamente un concetto che è ritenuto sgradevole e volgare, normalmente espresso in italiano con un nome femminile. Ogni parlante madrelingua può benissimo immaginare che cosa si celi dietro il pronome femminile in espressioni come la dà (via) a tutti e non gliela fa neanche vedere o se l’è fatta nei pantaloni, ma anche dietro al corrispettivo maschile in darlo (via) o menarselo, pigliarlo o prenderlo in quel posto, a cui si aggiunge farlo in frasi come: “lo fa proprio con tutti”. Analogamente, anche il pronome femminile plurale può essere fatto facilmente risalire a un referente (le botte) in verbi procomplementari come beccarle, buscarle, darle, pigliarle, prenderle e suonarle. Ma come spiegare la stragrande maggioranza degli altri verbi che richiedono obbligatoriamente il clitico la, il cui riferimento è invece assai poco trasparente?
Secondo Cinzia Russi (Italian Clitics: An Empirical Study, Berlin/New York, Walter de Gruyter, 2008), il pronome la deriva dalla sostituzione di quello che originariamente era un oggetto diretto generico, del tipo una cosa, un’azione, una situazione o una storia, come è abbastanza evidente in espressioni come darla a bere a qualcuno, farla in barba a qualcuno, raccontarla giusta, prenderla male ecc. Nel tempo il pronome è diventato obbligatorio, anche quando il significato del costrutto resta trasparente e simile a quello del verbo base senza clitico (es. finire e finirla), dando vita a nuovi verbi caratterizzati da una connotazione negativa, che spesso si combinano con aggettivi o altri sintagmi, entrando a far parte di locuzioni idiomatiche, come per dirla chiara o per dirla con (le parole di) qualcuno, o anche per dirla come la sento, per dirla giusta o in due parole, per dirla in breve, per dirla tutta, schietta e tra noi.
Non sempre il pronome la è obbligatorio, ma la connotazione negativa che deriva dalla sua presenza distingue nettamente il verbo senza clitico dal procomplementare. Per esempio “per il tuo bene, dovresti smettere di fumare” può essere un consiglio accorato e partecipe, mentre “smettila di dire stupidaggini!” è un ordine perentorio che esprime tutto il fastidio e il disappunto del parlante rispetto alle parole dell’interlocutore. In effetti, mentre è possibile immaginare di ordinare a qualcuno di continuare a fare qualcosa con un imperativo negativo (“non smettere di suonare, è una melodia bellissima!”), la variante con pronome clitico non è immaginabile (*non la smettere!). Un interessante corollario è che il soggetto della frase deve preferibilmente essere animato e avere il controllo dell’azione: frasi come “aspetta che la pentola a pressione la smetta di fischiare” o “la vuoi smettere di sudare?” suonano alquanto strane e probabilmente possono risultare accettabili solo in contesti molto particolari.
Concludendo, per rispondere ai nostri lettori, in italiano esiste un gruppo di verbi che si accompagnano al pronome la; questi verbi rientrano nella classe più ampia dei procomplementari, che prevede la presenza di uno o due pronomi clitici. In particolare, il pronome la:
− rende intransitivi i verbi originariamente transitivi (es. finire-finirla);
− può comparire insieme ai clitici si (es. tirarsela) e ci (es. farcela);
− si combina facilmente con sintagmi aggettivali (es. farla sporca) o preposizionali (es. farla in barba);
− può avere funzione eufemistica e sostituire una parola volgare facilmente recuperabile (es. farsela addosso);
− in origine sostituiva un referente generico del tipo una cosa o una situazione, ma oggi la sua funzione principale è attribuire al verbo una connotazione negativa e una coloritura informale e colloquiale, oltre indicare un certo coinvolgimento emotivo del parlante.
In effetti, la stragrande maggioranza dei procomplementari con la (ma anche con ci e ne) si è attestata in italiano tra il XIX e il XX secolo, quando la lingua scritta ha iniziato ad accogliere più facilmente voci ed espressioni proprie dei registri bassi e della varietà orale. Resta il fatto che il processo compositivo che ha dato vita a questo gruppo di verbi ha origini molto antiche: risalgono al XIV secolo intendersela, durarla (es. chi la dura la vince) e credersela; accoccarla (“giocare un brutto tiro, imbrogliare qualcuno”) e farla compaiono nel corso del Quattrocento, mentre datano del XVI secolo attaccarla (“iniziare a litigare”), aversela a male, ficcarla (“ingannare”), finirla, giurarla, indovinarla, pensarla, scamparla, sgararla (“avere la meglio”) e vincerla.
Come si può vedere, il riferimento di la risulta sempre generico ma connotato in maniera negativa come qualcosa di non vero (es. accoccarla, credersela, farla, ficcarla), disonesto o moralmente dubbio (es. intendersela), difficoltoso, pericoloso e incerto (es. durarla, finirla, indovinarla, pensarla, scamparla, sgararla e vincerla) o comunque sgradevole (aversela a male). In questo senso, non mi trovo d’accordo con Russi, che individua una notevole eccezione, peraltro rappresentata da un verbo di uso comunissimo: farcela. Il suo significano di base è senz’altro positivo (‘riuscire a fare qualcosa di difficile’: es. “ce la farai a scrivere la tesi entro luglio?”), anche se alcuni usi idiomatici si sono cristallizzati nella forma negativa (es. non ce la faccio più, cioè ‘non riesco più a sopportare questa situazione’; o anche non ce l’ha fatta, che può significare perfino ‘è morto’). Tuttavia, il pronome la si riferisce pur sempre a un compito difficile e complesso, che richiede particolare sforzo e coinvolgimento; mi sembra dunque riconducibile alla regola generale illustrata dagli esempi visti sopra.
Russi riconduce farcela alla versione base con il semplice ci, che indica una situazione ricavabile contestualmente, come nelle frasi “non so che farci”, “non possiamo farci niente”, “cosa potrebbe farci?” ecc. (cioè: ‘per risolvere la situazione in cui ci troviamo o di cui stiamo parlando’). Da parte mia, preciserei che l’aggiunta di la modifica la semantica del verbo: come il significato di finire passa, in presenza del clitico, da ‘completare o portare a compimento qualcosa’ (es. “finisci di fare i compiti” o “finisco il pranzo ed esco”) a ‘interrompere qualcosa’ (es. “la finisci di fare sempre domande?” o “la finirà mai con le sue batture stupide?”), l’aggiunta di la trasforma l’accezione principale di farci da ‘affrontare una situazione difficile’ a ‘riuscire, con un certo sforzo, a risolvere una situazione difficile’: es. “dopo tanti tentativi, finalmente ce l’ho fatta a convincerlo”.
La mia intenzione era illustrare con chiarezza i verbi procomplementari con il clitico la ai lettori della consulenza linguistica della Crusca. Spero di… avercela fatta!
Stefano Ondelli
15 gennaio 2025
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