Già prima che il dibattito parlamentare sulle unioni civili determinasse la massiccia presenza, sui giornali, alla radio e alla televisione, dell’espressione stepchild adoption, tradotta come ‘adozione del figlio del partner’, in redazione erano arrivati molti quesiti su come tradurre in italiano il termine inglese stepchild evitando figliastro. La proposta di usare il neologismo configlio, avanzata da Francesco Sabatini alla tv, poi fatta propria dal gruppo Incipit e accolta, tra gli altri, da Michele Ainis e da Enrico Mentana, ha provocato ulteriori domande. Torniamo pertanto sull’argomento, anche per rispondere ai dubbi espressi da alcuni lettori su questo neologismo e per discutere di altre possibili alternative.
Il configlio non è un figliastro
Bisogna segnalare anzitutto, come ha rilevato lo stesso Sabatini, che anche il termine inglese stepchild ha una connotazione negativa perché lo step iniziale non ha niente a che vedere con step ‘tappa, passo’, ma ha una base etimologica che implica uno ‘strappo’. È verissimo, in ogni caso, che la sua resa in italiano con figliastro/figliastra (che pure si sente usare, talvolta, nel doppiaggio) appare improponibile, non solo perché questi termini sono, oltre che desueti (sul piano giuridico i figliastri non esistono più), anche connotati negativamente (si usa l’espressione figli e figliastri per alludere a ingiuste disparità di trattamento, per esempio sul piano pensionistico o della tassazione), ma anche perché risalgono a una fase storica in cui un nuovo matrimonio era possibile solo dopo la perdita del coniuge e quindi implicavano la morte di uno dei due genitori; si poteva dunque essere figliastri rispetto a un patrigno o una matrigna che prendeva il posto, in famiglia, di un padre o una madre scomparsi ed essere quindi fratellastri o sorellastre dei figli nati da questo secondo matrimonio (o anche dei figli che il patrigno o la matrigna, se vedovi anch’essi, avevano avuto dalla precedente unione coniugale).
Tutti i termini citati sono entrati in crisi da quando anche in Italia è previsto il divorzio e si è diffuso il fenomeno delle cosiddette “famiglie allargate” (e dunque ben prima che il parlamento affrontasse il tema delle unioni civili tra coppie dello stesso sesso); anzi, sarebbero probabilmente scomparsi definitivamente dall’uso, se nell’immaginario collettivo non continuassero a vivere grazie ai personaggi, per lo più negativi, che li hanno incarnati nella letteratura e in particolare nel mondo delle fiabe: le insopportabili sorellastre di Cenerentola, la perfida matrigna di Biancaneve, il crudele patrigno della Piccola fiammiferaia. La Figliastra è uno dei Sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani (1921), non certo cattiva, ma protagonista di una drammatica vicenda, moderna sì, ma collocabile in un contesto familiare e sociale che appartiene ormai al passato. Si può infine ricordare che il suffisso spregiativo -astro (non più produttivo per formare nomi) è stato usato in neoformazioni ludiche come ziastro, nipotastro e cuginastro, documentate nei fumetti che hanno per protagonista il personaggio disneyano di Paperino (nipote di Paperone, zio di Qui, Quo, Qua e cugino di Gastone); ziastro è addirittura registrato nel GRADIT perché talvolta indica scherzosamente uno zio acquisito. Mi è anche capitato di sentir definire nonnastra e nonnastro la seconda moglie o la compagna del nonno o il nuovo marito o compagno della nonna. Ma si tratta sempre di occasionalismi che non sono mai entrati stabilmente nel lessico.
Proprio in considerazione di questi dati, per cercare un possibile sostituto del termine inglese stepchild, Francesco Sabatini ha proposto il neologismo configlio, che si serve di un prefisso tuttora produttivo (anche se probabilmente superato, negli ultimi anni, per influsso dell’inglese, dall’equivalente co-) e che è stato utilizzato in passato anche all’interno dei rapporti familiari (compare, consuocero). Secondo Sabatini, il termine vuole dimostrare anche sul piano formale la disponibilità di chi lo usa ad accogliere tra i propri figli il figlio del partner (da designare come configlio soprattutto quando si parla di lui in sua assenza) o a considerarlo come tale, e al tempo stesso serve a chiarire ad estranei il particolare rapporto di parentela. Ad alcune obiezioni che sono state avanzate, relative al fatto che il prefisso con- (o co-) dovrebbe essere usato per indicare un membro che svolge lo stesso ruolo o funzione rispetto a un altro (si è consuoceri rispetto ad altri suoceri, coautore rispetto a un altro autore) o al fatto che non si può essere configlio del partner del genitore prima dell’adozione da parte di questo, si potrebbe replicare da un lato che parole come compare e comare si usano in rapporto al figlioccio più che al padre e alla madre naturali (e in certe zone d’Italia i termini si riferiscono appunto al figlioccio e alla figlioccia, oltre che al padrino e alla madrina) e dall’altro che la proposta del termine prescinde dal tema specifico della legge sulle adozioni, e dunque dalla condizione giuridica: configlio dovrebbe avere il valore, più generale e generico, di ‘figlio del compagno o della compagna’, rispetto al quale ci si può senz’altro definire, come ha suggerito qualcuno, congenitore. Entrambi i neologismi ammettono i femminili (configlia e, eventualmente, congenitrice), mentre i singoli congenitori potrebbero essere indicati senza particolari difficoltà come compadre e commadre in funzione di appellativi (per gli allocutivi l’uso prevalente, ormai da tempo adottato anche per i suoceri, è quello dei nomi propri e non più di papà o mamma).
Quanto alla proposta alternativa di recuperare il termine privigno (avanzata nel Gruppo Facebook di Radio3 RAI “La Lingua Batte” da uno dei partecipanti, Amerigo Gagliardi), va detto che si tratta di un latinismo poco trasparente (la cui terminazione, oltretutto, richiama patrigno e matrigna), che ha avuto rarissime attestazioni, soprattutto tra Duecento e Quattrocento (Bono Giamboni, Fazio degli Uberti, Mario Equicola), ed è stato registrato soltanto nella IV impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, da cui è transitato alla lessicografia posteriore. È vero che la voce figura nel GRADIT, ma già nel Tommaseo-Bellini era etichettata come defunta.
2 agosto 2016
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