Il continuo della questione

Alcuni nostri lettori ci interrogano sulla correttezza del termine continuo usato al posto di continuazione in espressioni come “il continuo della tesi” o “il continuo di un libro”. 

Risposta

Il continuo della questione

 

Oltre a essere aggettivo, continuo è usato anche come nome e può essere annoverato tra i deverbali a suffisso zero, cioè quei sostantivi che derivano da un tema verbale con la semplice aggiunta della desinenza (-o, più raramente -a); si tratta di un fenomeno morfologico ampiamente conosciuto e ancora oggi molto produttivo, di cui abbiamo già parlato in altre schede di approfondimento (sconsiglio, soddisfo).

 

Il termine ci è stato segnalato in frasi come “il continuo della tesi” o “il continuo di un libro”, in cui è percepito come sostituzione sbagliata di continuazione. Ora, il verbo continuare ha tra i suoi significati quello di ‘andare avanti senza interruzione’ e a questo si può ricondurre l’accezione con cui il sostantivo continuo è registrato nei vocabolari e cioè quella di ‘ciò che ha continuità e compattezza’ (ad esempio “è un continuo di proteste, di lamentele”); non siamo lontani, in questo caso, dal valore del latinismo continuum, usato – con particolari valori specifici – in musica e in linguistica (e forse non si può neanche escludere del tutto che si tratti di un adattamento di continuum, analogo a curriculum/curricolo). Un significato diverso è quello di ‘riprendere qualcosa che era stato interrotto’ nel senso di ‘seguitare, proseguire un’attività’ e a questo secondo significato rimanda la parola continuazione. Con il valore di ‘seguito, proseguimento’, continuo non è registrato dai dizionari, ma è in effetti attestato in rete, come si rileva da una ricerca su Google Web, a partire dal 1999, in contesti che si riferiscono soprattutto al proseguimento di film, storie e racconti, come nel caso della consegna di un esercizio di completamento di un testo tratto da Marcovaldo di Italo Calvino:

 

Immaginate e scrivete il continuo della storia e verificate poi, con l’aiuto dell’insegnante (che si procurerà il racconto) le vostre supposizioni con quelle dell’autore (L’Italia fra noi -http://www.neticon.net/fra-noi/maggio2000/pedagogica.htm).

 

A testimonianza della recente e crescente diffusione dell’uso del sostantivo continuo in questa nuova accezione si riportano i risultati di una piccola indagine sulla presenza in rete delle espressioni “il continuo della storia”, “il continuo del film” e “il continuo del racconto” a partire dalla fine degli anni Novanta a oggi:

 

intervallo

di tempo

il continuo della storia

il continuo del film

il continuo del racconto

1999-2002

1

0

2

2002-2005

7

3

2

2005-2008

29

5

5

2008-2011

121

15

23

2011-2014

198

26

20

 

Come si vede, nell’arco di soli quindici anni tutte le occorrenze sono mediamente cresciute, ma l’espressione “il continuo della storia”, in particolare, ha registrato una crescita davvero notevole. Sebbene si debba tener conto del maggior numero di testi presenti in rete negli ultimi anni, delle diverse abitudini di scrittura (ovvero dei sempre più numerosi testi di carattere informale e personale) e che in alcuni di questi contesti continuo possa avere il valore di continuum (“il continuo della storia” nel senso di ‘la continuità del divenire storico’), questi dati tendenziali evidenziano che il sostantivo continuo si sta diffondendo sempre di più. Inoltre, l’espressione parallela “la continuazione della storia”, considerata nello stesso arco di tempo, registra un numero di occorrenze non molto più alto, soprattutto negli ultimi anni:

 

intervallo

di tempo

il continuo della storia

la continuazione della storia

1999-2002

1

21

2002-2005

7

28

2005-2008

29

57

2008-2011

121

141

2011-2014

198

260

 

 

Un’ulteriore testimonianza dell’espansione dell’uso di continuo è data dalla lingua giornalistica, in cui i contesti d’uso del termine si sono ampliati e coprono gli stessi ambiti della parola continuazione: per esempio, riferendosi al suo impegno nella lotta contro l’Aids, Carla Bruni ha dichiarato: «Il mio impegno di oggi – ha detto – è il continuo di quanto ho già iniziato al fianco della mia famiglia» (“Corriere della Sera”, 2 dicembre 2008); oppure, nel commento all’incontro Fiorentina-Genoa si legge: «Un crocevia, una partita in ogni caso determinante per il continuo della stagione» (“La Repubblica”, 2 febbraio 2011).

 

L’indagine condotta sul termine continuo, che suscita qualche perplessità in alcuni nostri lettori, conferma dinamiche lessicali ben note: le parole possono acquisire nuovi significati e avere nuovi ambiti d’uso, ma solo se realmente necessarie riescono a diffondersi fino a conquistare uno spazio stabile nella lingua che ne permetterà il successivo ingresso nella lessicografia. Occorre chiedersi se continuo sia davvero necessario: il fatto che si tratti di una parola più corta sarà sufficiente per la sua affermazione? Continuo rappresenta un doppione di continuazione, che ha già una ricca serie di sinonimi concorrenti (proseguimento, prosieguo, prosecuzione, seguito ecc.), e questo rende il termine forse superfluo; inoltre potrebbe creare ambiguità il fatto che il nuovo deverbale continuo ‘seguito, proseguimento’ abbia la stessa forma del sostantivo continuo ‘ciò che ha continuità’. Non è semplice fare una previsione sul destino di un termine simile, occorrerà continuare a monitorarlo e a seguire le vicende del suo acclimatamento nel tessuto linguistico italiano contemporaneo. Per il momento, è meglio… continuare a usare al suo posto continuazione.

 

A cura di Angela Frati e Stefania Iannizzotto
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

16 settembre 2014


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