“Nelle Forze Armate italiane, come bisogna esprimersi riguardo alle donne?”, “È corretto dire la Tenente?”, “Descrivendo un eventuale Generale dell’esercito donna, qual è il modo più corretto per esprimersi?” si chiedono lettrici e lettori, forse preoccupati di incorrere in una qualche sanzione se usano un titolo non appropriato verso rappresentanti delle Forze Armate.
Queste domande si inseriscono nel filone ormai noto, e già più volte affrontato su queste pagine, degli interrogativi che continuano a sorgere sull’uso dei termini che indicano ruolo istituzionale o titolo professionale riferito a una donna. La perplessità è ben motivata anche per quanto riguarda i gradi e i titoli militari, perché in questo caso gli aspetti sui quali si richiede un chiarimento sono in realtà più d’uno: non solo quello della “correttezza” linguistica delle singole forme femminili, una questione che deve essere affrontata sul piano morfologico e lessicale ricorrendo all’analisi linguistica, ma anche quello della appropriatezza d’uso, sia perché in questo campo − come per esempio in quello istituzionale e giuridico − la tradizione ci ha abituato all’uso delle sole forme maschili, e quelle femminili destano ancora diffidenza, sia perché l’ingresso del personale femminile nelle Forze Armate, che rappresenta ancora solo poco più del 6% del totale (secondo i dati attualmente disponibili sul sito della Camera dei Deputati), è recente e il suo stato giuridico è regolamentato da precise disposizioni di legge che lo equiparano al personale maschile.
Cominciamo dalla correttezza sul piano lessicale. I termini di genere grammaticale maschile che indicano funzione e ruolo nelle Forze Armate sono conformi alle regole di formazione previste per tutti gli altri sostantivi della lingua italiana, e lo stesso avviene per i corrispondenti termini di genere grammaticale femminile. Si hanno dunque sostantivi semplici (radice + desinenza, es. capitano/capitana); sostantivi derivati (radice + suffisso + desinenza, es. bersagliere/bersagliera); sostantivi composti (es. guardiamarina). Per esempio:
(m.s.) | (m.p.) | (f.s.) | (f.p.) |
Agente | Agenti | Agente | Agenti |
Allievo | Allievi | Allieva | Allieve |
Ammiraglio | Ammiragli | Ammiraglia | Ammiraglie |
Aviere | Avieri | Aviera | Aviere |
Appuntato | Appuntati | Appuntata | Appuntate |
Bersagliere | Bersaglieri | Bersagliera | Bersagliere |
Brigadiere | Brigadieri | Brigadiera | Brigadiere |
Capitano | Capitani | Capitana | Capitane |
Caporale | Caporali | Caporale | Caporali |
Carabiniere | Carabinieri | Carabiniera | Carabiniere |
Colonnello | Colonnelli | Colonnella | Colonnelle |
Comandante | Comandanti | Comandante | Comandanti |
Commissario | Commissari | Commissaria | Commissarie |
Consigliere | Consiglieri | Consigliera | Consigliere |
Finanziere | Finanzieri | Finanziera | Finanziere |
Forestale | Forestali | Forestale | Forestali |
Fuciliere | Fucilieri | Fuciliera | Fuciliere |
Furiere | Furieri | Furiera | Furiere |
Generale | Generali | Generale | Generali |
Graduato | Graduati | Graduata | Graduate |
Guardiamarina | Guardiamarina | Guardiamarina | Guardiamarina |
Ispettore | Ispettori | Ispettrice | Ispettrici |
Luogotenente | Luogotenenti | Luogotenente | Luogotenenti |
Maggiore | Maggiori | Maggiore | Maggiori |
Maresciallo | Marescialli | Marescialla | Marescialle |
Marinaio | Marinai | Marinaia | Marinaie |
Questore | Questori | Questora | Questore |
Sergente | Sergenti | Sergente | Sergenti |
Soldato | Soldati | Soldata | Soldate |
Sottotenente | Sottotenenti | Sottotenente | Sottotenente |
Sovrintendente | Sovrintendenti | Sovrintendente | Sovrintendente |
Superiore | Superiori | Superiora | Superiore |
Tenente | Tenenti | Tenente | Tenenti |
Ufficiale | Ufficiali | Ufficiale | Ufficiali |
Per quanto riguarda l’appropriatezza d’uso e l’accettabilità in contesti sia ufficiali sia colloquiali, è necessario considerare che la prassi delle Forze Armate prevede per i gradi militari l’uso delle sole forme maschili, in forza del fatto che in Italia fino all’alba del Duemila la carriera militare è stata riservata ai maschi. La legge 9/2/1963 n. 66, che consentiva l’accesso delle donne a tutte le cariche compresa la magistratura, aveva infatti mantenuto la riserva per il servizio militare, rimandando l’arruolamento della donna a leggi speciali. Per concretizzare il precetto costituzionale contenuto nell’art. 3 della Costituzione e sciogliere la riserva contenuta nella legge suddetta furono predisposti negli anni seguenti diversi schemi di provvedimenti legislativi che ipotizzavano varie soluzioni, quali l’istituzione del servizio femminile su base volontaria, del Corpo Ausiliario Femminile, del Corpo Militare Interforze, del reclutamento femminile in via sperimentale per cinque anni.
Un primo obiettivo fu raggiunto con l’accesso delle donne alle Forze di Polizia a ordinamento civile: la legge n. 121 del 1981 sul riordino della Pubblica Sicurezza e la smilitarizzazione della Polizia di Stato consentì il reclutamento di personale femminile nella Polizia di Stato, nella Polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato. Un secondo obiettivo sarebbe stato colto nel 1997 con l’approvazione del disegno di legge delega per l’istituzione del Servizio Militare Volontario femminile.
Due anni dopo, con la legge 380 del 20 ottobre 1999 Delega al Governo per l’istituzione del servizio militare volontario femminile, le donne finalmente possono partecipare, su base volontaria, ai concorsi per il reclutamento di Ufficiali, Sottufficiali in servizio permanente e militari di truppa in servizio volontario nei ruoli delle Forze Armate e del Corpo della Guardia di Finanza. Dal momento che fino ad allora il mondo militare era stato configurato per una realtà esclusivamente maschile, la legge prevedeva anche la costituzione di uno specifico Comitato Consultivo,, che fu costituito nel 2000, con il compito di assistere il Capo di Stato Maggiore della Difesa e il Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza nell’azione di indirizzo, coordinamento e valutazione dell’inserimento e dell’integrazione del personale militare volontario femminile. A questo proposito il Comitato Consultivo è stato attivo attraverso l’elaborazione della direttiva Etica militare (2002, contenuta nel compendio Rapporti tra personale di sesso diverso in servizio nella Forza Armata dello Stato Maggiore dell’Esercito, Annesso 3, 2013) con lo scopo di fornire una base etica e comportamentale per prevenire possibili fenomeni critici di interrelazione tra il personale, e mettere in evidenza come la completa applicazione dei principi di pari opportunità di diritti e doveri sia una garanzia per il corretto assolvimento dei compiti istituzionali. Altre attività hanno riguardato il settore del reclutamento, per la definizione annuale delle aliquote, dei ruoli, dei corpi, delle categorie, delle specialità e delle specializzazioni in cui hanno luogo i reclutamenti del personale femminile: era infatti previsto inizialmente un limite massimo nei reclutamenti del personale femminile, poi decaduto nel 2006.
I primi bandi di concorso per il reclutamento nelle accademie militari dell’Esercito, Marina e Aeronautica furono pubblicati sulla “Gazzetta Ufficiale” del 4 gennaio 2000: nel 2006 il reclutamento fu esteso anche all’Arma dei Carabinieri, e dal 2009 anche le scuole superiori militari hanno ammesso le allieve.
L’art. 4 del decreto legislativo 24/2000 Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, coerentemente con i principi di uguaglianza tra i sessi, parità di trattamento e non discriminazione e pari opportunità, prevedeva – e tuttora prevede – che lo stato giuridico del personale militare femminile fosse disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
Nonostante l’omologazione giuridica del personale militare femminile a quello maschile, gli Organi Istituzionali e le varie componenti della società civile e militare hanno guardato con attenzione i problemi che accompagnavano l’ingresso delle donne nei ranghi militari, anche in relazione al contemporaneo evolvere delle Forze Armate verso una configurazione completamente professionale con il conseguente abbandono del modello basato sul servizio di leva obbligatorio. Nel 2000, sulla scia della Risoluzione 1325 Women, Peace and Security – WPS (Donne, Pace e Sicurezza – DPS), adottata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, era stata istituita la Sezione Personale Femminile, assorbita nel 2012 dalla Sezione “Politiche di Genere” del I Reparto Personale dello Stato Maggiore della Difesa, composta da personale sia femminile che maschile. Oggi, a dieci anni di distanza, l’Italia promuove, oltre all’integrazione della prospettiva di genere nei sistemi di allerta precoce dei conflitti, l’inclusione delle donne e dei loro specifici bisogni nelle attività di prevenzione e disarmo, e include le misure volte a prevenire la violenza di genere attraverso il contrasto all’impunità dei colpevoli di reati sessuali (Vinciguerra 2018, p. 91). Altre strategie di prevenzione si concentrano sul contrasto di norme, attitudini e comportamenti discriminatori con il coinvolgimento attivo di uomini e ragazzi, come risulta dalla recente Relazione sullo stato della disciplina militare e sullo stato dell’organizzazione delle Forze Armate (2021):
La parità di genere come principio giuridico ispira tutte le norme che regolano l’organizzazione delle Forze armate. Per quanto riguarda la dimensione della complementarietà [sic!], va detto che la valorizzazione delle differenze di genere nella gestione delle risorse umane è quasi un processo naturale per le Forze armate che hanno avuto modo di sperimentare negli ultimi decenni la capacità delle squadre miste di creare un valore che non è semplicemente la somma delle parti maschile e femminile. Generi diversi esprimono opinioni diverse, hanno visioni diverse, suggeriscono strategie e soluzioni diverse.
L’introduzione della nozione di “genere”, descritta nella recente pubblicazione La prospettiva di genere nelle missioni delle Forze Armate: il ruolo dei Gender Advisors e dei Gender Focal Points come “l’insieme delle caratteristiche attribuite a uomini e donne dal punto di vista socio-culturale, quale l’attribuzione di ruoli e norme di comportamento” nelle (Sterzi 2022: n. 3), ha portato con sé un’ampia serie di iniziative, volte soprattutto ad applicare la lente di genere alle cause e alle conseguenze dei conflitti e alle relative forme di violenza. Dal 2017 nelle Forze Armate sono state previste le figure Gender Advisor e Gender Focal Point, create per fornire consulenza ai Comandanti sui temi legati alle pari opportunità e alla prospettiva di genere sul territorio nazionale, e all’adozione di questa prospettiva in termini di analisi, pianificazione ed esecuzione delle operazioni di pace e stabilità, nelle missioni internazionali di stabilità sotto l’egida di ONU, NATO e Unione Europea (Sterzi 2022). Nell’ambito dello Stato Maggiore della Difesa la Sezione Politiche di Genere partecipa alla stesura del Piano d’Azione Nazionale e rappresenta il punto di contatto con i principali consessi internazionali sulle tematiche di genere, come il NATO Forum on Gender Perspectives e la Commission on the Status of Women (CSW) delle Nazioni Unite. Si conferma così l’impegno delle Forze Armate per la tutela delle donne e l’impegno nell’elaborazione di un piano strategico per contrastare ogni forma di violenza in attuazione della Convenzione di Istanbul e in sinergia con le altre istituzioni dello Stato.
Nonostante le numerose azioni di formazione e sensibilizzazione adottate nei vent’anni che hanno fatto seguito alla Risoluzione Donne, Pace e Sicurezza (Agenda DPS), finalizzate anche al consolidamento della leadership militare femminile, nel linguaggio delle Forze Armate le donne continuano a essere omologate al modello maschile. Nel Codice dell’Ordinamento Militare vigente al 4/9/2023, art. 627 Categorie di militari e carriere, e seguenti, i titoli, i gradi e le qualifiche sono sempre e solo espressi al maschile, eccetto quando sono riferiti al personale del Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa (art. 1732): es. ispettrice, vice ispettrice; segretaria generale; allieva. Oltre che con il titolo maschile, le figure militari femminili risultano definite con forme collettive, es. il personale (militare) femminile, la componente femminile. Raro, ma attestato, è anche l’uso qualifica maschile + “donna”, es. il capitano donna, la militare donna, ecc.
Relativamente alla progressione di carriera […] secondo una proiezione teorica il primo Ufficiale donna sarà valutato per l’avanzamento al grado di colonnello tra circa 3 anni”. (Relazione sullo stato della disciplima militare e sullo stato dell’organizzazione delle forze armate, 2020, p. 45)
Se in Italia il tema della rappresentazione della donna militare nel linguaggio, e soprattutto l’uso dei termini femminili e non maschili in riferimento ai gradi militari, non risulta ancora affrontato sul piano ufficiale (regolamenti, ecc.), la recente pubblicazione del NATO Gender Inclusive Language Manual (2022) ha richiamato l’attenzione di tutti i paesi aderenti alla NATO, inclusa l’Italia, a un uso della lingua che non marginalizzi le donne ma, al contrario, promuova la parità fra donne e uomini. L’affermazione di questo principio generale riveste un profondo significato e fa prevedere un mutamento sostanziale nell’uso della lingua per rappresentare la donna che riveste un grado militare e realizzare la parità linguistica con il collega uomo. È importante a questo proposito ricordare che le strategie linguistiche per realizzare questo obiettivo variano in base alle caratteristiche delle singole lingue, e che ad esse devono essere adattate, come ha già fatto per esempio il Parlamento europeo con la pubblicazione di La neutralità di genere nel linguaggio usato al Parlamento europeo (2008 e 2018), che nel rispetto del multilinguismo che caratterizza la Ue contiene indicazioni specifiche per tutte le sue lingue ufficiali. Nel caso del NATO Gender Inclusive Language Manual le strategie linguistiche presentate riguardano la lingua inglese, che prevede l’accordo di genere grammaticale solo con i pronomi di terza persona singolare, ma non con articoli, aggettivi, participi ecc., come si ha invece in italiano e in altre lingue. Il Manuale suggerisce pertanto di evitare i termini riferiti esplicitamente a donne o a uomini, modificando se necessario quelli già esistenti, per oscurare il genere e quindi neutralizzare la differenza. Coerentemente nella sezione dedicata ai gradi militari (p. 15) a proposito dei composti con -man/-men viene proposta l’eliminazione del secondo elemento, es. Guardsman > Guard, oppure la sostituzione integrale con termini dal significato equivalente, es. Airmen > pilots o Air force personnel/Air corps.
In italiano invece la situazione è diversa. Il genere grammaticale è molto più pervasivo rispetto all’inglese, e risulta assegnato ai nomi che si riferiscono a esseri umani su base referenziale (se la persona alla quale si fa riferimento è di sesso maschile il genere grammaticale sarà maschile, se è di sesso femminile il genere sarà femminile), con poche eccezioni ininfluenti sul sistema. Il genere grammaticale inoltre innesca l’accordo di articoli, aggettivi, participi, ecc. con il termine a cui si riferisce (Thornton 2006), e l’accordo a sua volta è uno degli strumenti necessari per realizzare la coesione testuale. Le strategie linguistiche promosse finora per favorire la parità di genere vanno quindi in direzione di un uso della lingua che favorisca la visibilità del genere grammaticale, e in particolare delle donne, attraverso l’uso di forme di genere maschile e femminile.
Nell’adattamento delle proposte del Gender Inclusive Language Manual alla lingua italiana sarà quindi opportuno indirizzare verso un uso della lingua rispettoso delle differenze di genere maschile e femminile, e quindi verso l’adozione di termini che indicano gradi o titoli militari di genere femminile quando sono riferiti a una donna. Sebbene questo non sia ancora avvenuto, e nonostante nel 2023 non siano state emanate disposizioni ufficiali italiane in merito, la Sezione Politiche di Genere delle Forze sta operando per recepirne il contenuto all’interno di un nuovo documento su etica e rapporti interpersonali, sulla scia della continua ricerca di soluzioni che contemperino il rispetto sostanziale della parità di genere con l’efficienza dello strumento militare.
Conclusioni
L’ordinamento giuridico militare che equipara il personale maschile e femminile nelle Forze Armate è, unitamente al recente ingresso del personale femminile, la ragione comunemente addotta per giustificare il solo uso delle forme maschili che indicano gradi e titoli militari. A queste se ne aggiungono altre, che qui si riportano per completezza ma senza alcuna condivisione: il timore che alcuni termini femminili come Colonnella, che è anche il nome della bandiera di alcune unità militari, e Ammiraglia, che indica già una nave, possano suscitare confusione, e che in generale i termini femminili richiamino certi titoli di film sexy/erotici degli anni Settanta, con effetto derisorio e offensivo verso le componenti femminili delle Forze Armate. Tuttavia l’impermeabilità al cambiamento della prassi linguistica maschile così rigidamente perseguita mal si concilia con la crescente attenzione delle istituzioni italiane e straniere all’uso di un linguaggio non discriminante e alla valorizzazione delle donne, testimoniata per l’ambito militare anche dal Gender Inclusive Language Manual della NATO. Inoltre, come si è visto sopra, nella lingua italiana (e non solo) l’uso delle forme di genere grammaticale maschile in riferimento a esseri di sesso femminile contravviene alle regole di assegnazione del genere grammaticale ai termini che si riferiscono agli esseri umani, che prevedono il genere grammaticale maschile in riferimento a esseri maschili, genere grammaticale femminile in riferimento a esseri femminili e ha ricadute sull’accordo (es. “il presidente Meloni è arrivato” o “è arrivata”?), sulla coesione del testo, e quindi sulla sua chiarezza, trasparenza e leggibilità. In Italia la questione è stata affrontata per la comunicazione istituzionale già nel 1993 con il Codice di Stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche, promosso dall’allora Ministro per la Funzione pubblica Sabino Cassese nell’ambito della cosiddetta campagna per la semplificazione del linguaggio amministrativo, che aveva raccomandato alle amministrazioni pubbliche di concepire tutti i loro scritti in modo da evitare “espressioni e usi della lingua che alludano a discriminazione tra i sessi e nei confronti delle minoranze” (p. 49). In Italia vent’anni dopo la questione è stata ripresa dalle Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, promosse dal Comune di Firenze e dall’Accademia della Crusca. Ma sul piano internazionale già a partire dai primi anni Duemila la Commissione europea ha adottato una serie di strategie quinquennali per la parità fra donne e uomini con l’obiettivo di promuovere un cambiamento dei ruoli e degli stereotipi maschili e femminili anche attraverso un diverso uso della lingua, più rispondente alla necessità di modificare i comportamenti, gli atteggiamenti, le norme e i valori che definiscono e influenzano i ruoli maschili e femminili nella società. Il superamento dei pregiudizi e degli stereotipi esistenti e la sensibilizzazione della società sulla parità tra donne e uomini sono diventati così obiettivi imprescindibili della politica internazionale. Oggi l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, riafferma con gli obiettivi 5 Achieve Gender Equality and Empower all Women and Girls e 10 Reduce Inequality within and among countries (tradotti in italiano dall’Agenzia per la coesione territoriale rispettivamente con ‘Parità di genere’ e ‘Ridurre le disuguaglianze’) la centralità dei valori dell’uguaglianza e della parità di genere, e a essa si conforma la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile presentata dall’Italia nel 2017 come strumento di coordinamento dell’attuazione dell’Agenda 2030. La Strategia nazionale per la Parità di genere 2021-2026 varata dall’Italia riconosce esplicitamente la funzione svolta dall’uso della lingua per l’attuazione della parità di genere e ne inserisce la promozione fra gli strumenti trasversali alla realizzazione di tutti gli obiettivi strategici, prevedendo anche l’adozione di un protocollo per il linguaggio non sessista e discriminatorio in tutta la Pubblica Amministrazione e nei Pubblici Uffici. Infine, le Linee guida sulla Parità di Genere nell’Organizzazione e Gestione del rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni, varate il 7 ottobre 2022 dall’allora Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia e dal Ministro per la Pubblica Amministrazione con l’obiettivo di rafforzare l’empowerment economico e sociale delle donne e diffondere la leadership femminile all’interno della PA, raccomandano esplicitamente l’uso della lingua rispettoso delle differenze di genere, specie per quanto riguarda l’uso dei titoli professionali e istituzionali femminili. Sembra quindi di poter prevedere che l’onda lunga del mutamento nell’uso della lingua in contesti nei quali si fa riferimento alle donne finirà per lambire anche le Forze Armate Italiane.
Se in ambito ufficiale, quindi, la prassi linguistica delle Forze Armate prevede l’uso delle sole forme maschili per indicare gradi e qualifiche, nelle comunicazioni ufficiali alla società civile, e tanto più al personale militare, non è dato agire per iniziativa personale e discostarsi dall’uso previsto, finché non verranno prese iniziative in tal senso da parte degli organi preposti presso il Ministero della Difesa. Nelle comunicazioni private scritte e orali, invece, le forme femminili sono a disposizione e possono essere usate tranquillamente, anzi, se ne suggerisce l’uso, come è stato detto più volte anche su questo sito: sono infatti, come si è visto, forme corrette sul piano lessicale – tanto da essere registrate nel Dizionario dell’italiano diretto da Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (2022) – necessarie per evitare ambiguità interpretative, rispettose delle regole di assegnazione del genere grammaticale e quindi funzionali alla piena realizzazione della comunicazione. Inoltre il loro uso va in direzione del riconoscimento e della valorizzazione della presenza femminile, due obiettivi al centro delle attuali politiche nazionali e internazionali. Via libera quindi nella pratica linguistica quotidiana all’uso di forme quali capitana e colonnella e dell’articolo femminile davanti ai nomi in -e, es. la generale.
Nota bibliografica:
Cecilia Robustelli
17 aprile 2024
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