La possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea viene spesso indicata sulla stampa come Brexit, così come, un anno fa, si parlava di Grexit con riferimento all’uscita della Grecia dalla eurozona. Sono arrivate in redazione domande sul genere che il termine deve assumere in italiano e anche sulla necessità o meno di farlo precedere dall’articolo determinativo: si deve dire la Brexit, il Brexit o, a prescindere dal genere, Brexit?
Il genere di Brexit
Grexit e Brexit sono due esempi di ciò che Bruno Migliorini chiamava "parole macedonia", cioè casi in cui «una o più parole maciullate sono state messe insieme con una parola intatta» (Bruno Migliorini, Uso ed abuso delle sigle, in Id., Conversazioni sulla lingua italiana, Firenze Le Monnier, 1949, p. 89). Le due parole macedonia sono state formate in inglese, e di qui sono entrate in italiano come prestiti. Sia la loro analisi morfologica che il loro statuto di prestito sono pertinenti per dare una risposta ai quesiti posti.
Per prima è stata formata la voce Grexit, in un intervento di Willem Buiter e Ebrahim Rahbari su Global Economics View del 6 febbraio 2012. I due analisti dichiarano esplicitamente di aver coniato Grexit allo scopo di abbreviare la lunga espressione Greek Euro Area Exit ‘uscita greca dall’area euro’. In analogia con Grexit, in Gran Bretagna, per designare l’ipotetica uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (non dall’eurozona, cui non ha mai appartenuto), viene formato dapprima Brixit (The Economist, 21 giugno 2012), e poco dopo Brexit, il termine oggi corrente sia in inglese che in altre lingue (fonte di queste notizie, e di ulteriori indicazioni, il Macmillan Dictionary). Grexit e Brexit derivano quindi da Greek exit e British exit, due sintagmi nominali la cui testa è exit ‘uscita’: exit è la "parola intatta" che si combina con le "parole maciullate" Greek ‘greco’ e British ‘britannico’, ridotte entrambe all’attacco della loro prima sillaba. Se Grexit e Brexit sono una ‘uscita’, è normale che in italiano gli venga attribuito genere femminile, secondo uno dei principi che si applicano nell’assegnare un genere a nomi presi in prestito da lingue straniere, cioè l’assegnazione del genere di un traducente o di una parola della lingua che accoglie il prestito che sia sentita come equivalente. Che exit sia sentita in italiano come equivalente di uscita pare fuor di dubbio: si pensi per esempio a frequenti indicazioni bilingui italiano-inglese in luoghi pubblici siti in Italia, dove troviamo exit e uscita scritte una accanto all’altra per indicare la via d’uscita.
Tuttavia, come osserva un lettore, si trova a volte Brexit accordato al maschile: per esempio, in un articolo di Enrico Franceschini, corrispondente da Londra della "Repubblica": «se la Gran Bretagna votasse per il "Brexit" (Britain exit — ovvero esce dalla Ue)» (6 gennaio 2016). Qui (e anche in diversi altri articoli pubblicati tra il novembre 2014 e l’aprile 2016) Franceschini scioglie la voce Brexit come "Britain exit", e glossa exit con ‘esce’. La sequenza Britain exit è però agrammaticale in inglese, se il verbo deve essere interpretato come terza persona singolare del presente indicativo, ‘esce’; sembra risultare da un incrocio, nell’analisi di parlanti non nativi dell’inglese, tra due possibili espressioni inglesi: exit Britain, e Britain exits. Nel primo caso, exit è forma verbale latina, usata in inglese come prestito nella formulazione di didascalie teatrali (si veda la voce exit v.1 nell’Oxford English Dictionary): in questo uso, tuttavia, il soggetto del verbo exit se esplicitato nella didascalia è sempre posposto, non preposto come nella sequenza proposta da Franceschini. Nel secondo caso, se exit si usa non come prestito latino non adattato ma come verbo inglese (si veda la voce exit v.2 nell’Oxford English Dictionary), con il senso di ‘andarsene, abbandonare un luogo o un’impresa’, la forma da usare in accordo con un soggetto di terza persona è exits, non exit. Indipendentemente dall’agrammaticalità della sequenza Britain exit, comunque, se Brexit è considerato da chi lo usa in italiano equivalente a una sequenza soggetto + verbo ‘la Gran Bretagna esce’, diviene una frase, e le frasi controllano accordo al maschile. Tecnicamente, le frasi sono "controllori di accordo non prototipici", proprio perché non sono dotate di un valore di genere, come invece i nomi e i pronomi di terza persona: tuttavia, anche le frasi possono entrare in costruzioni sintattiche nelle quali controllano accordo su articoli o altri elementi. In questi casi, in italiano l’accordo è al maschile: diciamo, per esempio, Che Paolo venga è sicuro, Andare in certi posti è pericoloso, ecc., dove gli aggettivi sicuro e pericoloso si accordano con un soggetto rappresentato da una frase e sono maschili. Anche il cosiddetto infinito sostantivato in italiano controlla accordo al maschile, come si vede dalla forma dell’articolo: per es. il rimanere nell’UE. Se Brexit viene interpretato non come ‘l’uscita della Gran Bretagna dall’UE’, ma come ‘l’uscire della Gran Bretagna dall’UE’, si spiega un accordo al maschile (il Brexit).
La possibilità di analizzare la componente exit di Brexit non come un nome ma come una forma verbale è respinta con forza dai parlanti nativi dell’inglese (tra i quali Martin Maiden, professore di lingue romanze a Oxford, che mi ha gentilmente offerto alcune sue osservazioni sul problema in esame); tuttavia, chi invoca questa analisi può addurre in suo favore il fatto che Brexit ha fatto da modello per una creazione che contiene sicuramente un secondo elemento verbale, e non nominale. In un articolo di Anthony Giddens (ex direttore della London School of Economics), pubblicato in inglese il 24 febbraio 2015 da Europe’s World e in italiano il 3 marzo 2015 dalla "Repubblica", si legge: «‘Brexit’ is a clumsy neologism, and it leads me to coin an equally awkward one of my own — ‘Bremain’, in which the UK stays in the EU / "Brexit" è un brutto neologismo e mi induce a coniarne un altro altrettanto brutto, "Bremain", per indicare lo scenario in cui il Regno Unito rimane nell'Unione europea». In Bremain la componente remain è certamente un verbo. Un sostantivo remain in inglese è obsoleto nel senso di ‘soggiorno’ (voce †remain n.2 nell’Oxford English Dictionary), e usato solo al plurale nel senso di ‘avanzi, resti’; nessuno di questi sensi è selezionato per l’interpretazione di Bremain, che sembra quasi un’esortazione, da sciogliere con Britain, remain! ‘Gran Bretagna, resta’ (Giddens si dichiara esplicitamente favorevole alla permanenza della Gran Bretagna nell’UE nell’articolo in discussione). Secondo Maiden, la creazione di Bremain è frutto di «un tentativo disperato di trovare un equivalente prosodico di Brexit, in mancanza di un sostantivo bisillabo (o addirittura di qualsiasi sostantivo) che significhi ‘il fatto di rimanere dentro’». Maiden ritiene che per coniare un nome che significhi l’opposto di Brexit «si sia giocato sul fatto che exit può anche essere verbo, onde l'impiego del verbo remain in Bremain». Va anche osservato che nella creazione di parole macedonia è molto favorito l’uso di due basi che contengano una sequenza fonologica e/o ortografica comune, tale che non si possa distinguere, nella parola macedonia, a quale delle due basi la sequenza appartenga: in Bremain l’elemento r ha proprio questa caratteristica, può (anzi, deve) essere interpretato sia come parte di Britain che come parte di remain. Questo può aver favorito il conio di Bremain nonostante il parallelismo con Brexit non sia perfetto, dato che exit in Brexit è nome mentre remain in Bremain è verbo, e nonostante il fatto che il verbo normalmente usato in inglese per indicare la permanenza della Gran Bretagna nell’UE sia stay (come si vede anche nel testo di Giddens citato sopra) e non il più formale remain.
In inglese Brexit è usato senza articolo (è noto che l’inglese omette l’articolo in un insieme di contesti sintattici più ampio di quello in cui si omette in italiano). L’uso di Brexit senza articolo si osserva anche in italiano, soprattutto in titoli di giornale, dove l’omissione dell’articolo è vantaggiosa per motivi di spazio. La possibilità di omettere l’articolo davanti a Brexit va messa in relazione, oltre che con il modello costituito dall’uso inglese, con il fatto che Brexit è usato come un nome proprio, che indica un insieme di fattori costitutivi di un determinato scenario politico ed economico. L’interpretazione come nome proprio è probabilmente favorita dal fatto che la voce si scrive con iniziale maiuscola, dato che in inglese si scrive con iniziale maiuscola il primo elemento della parola macedonia, che sia British (come sembra etimologicamente certo, se la voce è stata coniata in analogia con Grexit) o Britain (come nella reinterpretazione di Franceschini e forse di Giddens, e anche di alcuni miei informanti inglesi, che analizzano Brexit come Britain’s exit ‘uscita della Gran Bretagna’).
In italiano non tutti i nomi propri si comportano allo stesso modo per quanto riguarda l’uso dell’articolo. Non lo richiedono i nomi propri di persone e di città: Renzi, Roma, non il Renzi (che suona antiquato o regionale), la Roma (che indica la squadra e non la città). Richiedono però l’articolo i nomi di nazioni, organismi sovranazionali e continenti (la Gran Bretagna esce dall’Europa, non Gran Bretagna esce da Europa, se non forse nello stile telegrafico dei titoli di giornale). Infine, come ha mostrato Vittorio Coletti, è documentata e accettabile in italiano contemporaneo un’oscillazione nell’uso dell’articolo davanti a nomi propri di aziende (Fiat / la Fiat ha venduto le sue azioni). Quale sia o debba essere l’uso dell’articolo con i nomi propri di eventi, come Brexit, non è tematizzato dalla pur ricchissima trattazione contenuta nella Grammatica italiana di Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Torino, UTET, 1988, cap. IV), forse perché pare non problematico il fatto che l’articolo si usi, pensando a casi come il Risorgimento, la Rivoluzione francese, la Seconda guerra mondiale. Vi sono però in italiano anche nomi che si riferiscono a eventi che hanno assunto il valore di nomi propri e sono usati senza articolo, per es. Tangentopoli, che è usato senza articolo se riferito al determinato insieme di eventi oggetto di indagine da parte della magistratura milanese nel 1992, ma con l’articolo se riferito in senso generico (dunque come nome comune, non proprio) a qualunque scandalo comprendente tangenti (la tangentopoli del fisco, degli affitti, del calcio, ecc.).
È possibile che un’oscillazione nell’uso dell’articolo davanti a Brexit sia determinata anche dal fatto che la voce è attratta contemporaneamente da diversi modelli, che favoriscono scelte opposte o che permettono indifferentemente i due usi: quello dei nomi di evento, quello dei nomi di nazione (se il primo membro della parola è percepito come Britain) e quello dei nomi di aziende, che sono spesso parole macedonia come Brexit (cfr. Assitalia, Carige, Fininvest).
Altra motivazione dell’omissione dell’articolo (anche dopo una preposizione) prima di Brexit può essere proprio l’incertezza sul genere della voce: se questa controlla accordo sull’articolo, l’incertezza deve essere sciolta, mentre se la voce è usata senza articolo il suo genere può rimanere indeterminato, come negli esempi seguenti, tratti da articoli di Federico Rampini sulla "Repubblica": «Da questa parte dell’Atlantico sono davvero pochi a tifare per Brexit» (22 aprile 2016), «Alle spinte centrifughe che lambiscono l’Est [...] si aggiunge lo spettro di Brexit» (18 gennaio 2016).
In conclusione, dovendo formulare una raccomandazione, mi sembra preferibile accordare Brexit al femminile, dato che la componente exit è etimologicamente un sostantivo corrispondente all’italiano ‘uscita’ (nonostante il fatto che sia analizzato come verbo da alcuni parlanti italiani, come Enrico Franceschini). Inoltre, mi sembra più normale usare la voce preceduta da articolo, come avviene per la maggior parte degli altri nomi di eventi (reali o ipotetici): ad esempio, la perestrojka, il global warming (altri due prestiti che indicano scenari complessi).
Anna M. Thornton
Piazza delle lingue: Lingua e saperi
6 maggio 2016
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