Il pronome relativo cui

L. Roos-Bertoluzza e R. Betti, M. Bueno, M. De Pace, G. Farese e M. Grotta hanno inviato al servizio di Consulenza Linguistica dell'Accademia della Crusca vari quesiti sul pronome relativo cui.

Risposta

Il pronome relativo cui

Cui è un pronome relativo invariabile (vale, dunque, per il maschile e il femminile, sia al singolare sia al plurale) e si usa per i complementi indiretti solitamente preceduto da una preposizione. Può essere sostituito dall'altro pronome relativo il quale (la quale, ecc.), ma non da che (comunque oggi in affermazione con valore temporale in espressioni del tipo l'anno in cui/che mi sono laureato). Come curiosità storica, si ricorda che cui come complemento oggetto (laddove occorrerebbe che) si incontra nell'italiano antico (Dante, Paradiso, II 130: "E 'l ciel cui tanti lumi fanno bello") e in quello aulico fino al Novecento (Panzini: "Dante, cui egli concepiva più come simbolo perfetto avea detto che l'impero di Roma era stato dall'imprescindibile volere di Dio stabilito").

La preposizione si omette

quando cui, posto tra un articolo determinativo o una preposizione articolata e un nome, assume il valore di complemento di specificazione e si omette la preposizione di (è una persona malvagia le cui azioni sono state smascherate): la forma «art. + di cui» è appartenuta all'italiano fino all'Ottocento, ma è oggi uscita completamente dall'uso (Leopardi, Zibaldone: ha sentito, e provando così un alto piacere, il di cui oggetto è bensì passato, ma non il piacere);

si può omettere

quando il pronome ha funzione di complemento di termine e si omette la preposizione a (le due ragazze (a) cui Marta alludeva sono sue cugine). Questa oscillazione è dovuta all'origine di cui da un dativo latino CŪI che in italiano ha perso la funzione dativale - ovvero di complemento di termine - e consente di impiegare cui per qualunque complemento indiretto, ma ha comunque portato all'oscillazione cui/a cui. La forma con preposizione, considerata nell'Ottocento più popolare, è stata preferita da Manzoni sin dalla prima edizione dei Promessi Sposi e in alcune grammatiche attuali cui senza preposizione viene considerato proprio dell'uso scritto (cfr. La lingua tra norma e scelta: 75).

Un altro caso spesso dubbio per gli utenti è quello di per cui come 'perciò'. La forma è stigmatizzata da alcuni grammatici, del parere che cui, essendo riferito sempre a una cosa, a un animale o a una persona, non possa assumere il valore neutro del che. In realtà con per cui si sottintende un'espressione più estesa come motivo/ragione/fatto per cui e il pronome può quindi avere in alcune frasi il ruolo corrispondente a ciò, anzi l'espressione per cui è ormai considerata del tutto lessicalizzata (tra l'altro il vocabolario GRADIT registra come sottolemmi di cui alcune di queste locuzioni congiuntive: sono stanco per cui vado a letto; non ti sopporto, ragion per cui me ne vado).

Per approfondimenti:

  • Grande dizionario italiano dell'uso (GRADIT), ideato e diretto da Tullio De Mauro, Torino, UTET, 2000;
  • Serianni Luca, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 1989 [si indicano il numero di capitolo e di paragrafo];
  • Agostiniani L. -Damico Boggio O. , Guardigli P. , Poggi Salani T. -Schiannini D., La lingua tra norma e scelta, Padova, Liviana, 1983.

A cura di Mara Marzullo
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

11 marzo 2003


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