Molti, tra cui Antonio dalla provincia di Salerno e un’intera classe di un liceo di Verona, ci chiedono se l'acronimo VAR (Video Assistant Referee) si debba usare al maschile o al femminile.
VAR è l’acronimo di Video Assistant Referee, un assistente che collabora con l’arbitro in campo per chiarire situazioni dubbie (quelle specificatamente previste dal regolamento), avvalendosi dell’ausilio di filmati e di tecnologie che consentono di rivedere più volte l’azione, a velocità variabile, da diverse angolature, con possibilità di ingrandimento e gestione delle immagini. Per quanto la sigla si riferisca alla persona, soprattutto nelle fasi iniziali dell’introduzione di questa particolare procedura di aiuto all’arbitro in campo, vi è stata una notevole incertezza nei mezzi di comunicazione di massa che l’hanno riferita anche alla tecnica, al sistema, alla strumentazione, determinando di conseguenza nel parlante medio, ma anche fra gli addetti ai lavori, un’incertezza sul genere che, va chiarito subito, è il maschile.
Nella lingua italiana le sigle derivano il loro genere dalla parola principale, e in questo caso, se vogliamo ragionare esclusivamente sull’inglese, oltretutto il problema non si pone nemmeno per la grammatica, dal momento che tutti i sostantivi che esplicitano la sigla (video, assistant, referee) sono riconducibili al genere maschile e hanno da tempo un corrispettivo maschile italiano (video, assistente, arbitro; assistente richiede tuttavia qualche precisazione su cui ci soffermeremo più sotto).
Anche se pensiamo a possibili traducenti il maschile rimane la soluzione da preferire. A rigore – e nelle numerose discussioni che hanno affollato il web al momento dell’energica entrata di VAR nella nostra lingua (più o meno nell’agosto del 2017, quando la tecnologia a esso legata è stata introdotta nel campionato di serie A) – la traduzione letterale è arbitro assistente video, che riflette più fedelmente il costrutto inglese in cui la testa è referee ‘arbitro’. Una traduzione letterale non è sempre la migliore, e in effetti un traducente più efficace per l’esplicitazione della sigla è assistente (dell’arbitro) al video, più coerente con il sistema linguistico italiano in cui da tempo è ormai acclimatato assistente (dell’arbitro) per lo stesso sintagma assistant referee. Anche in questo caso la scelta dell’articolo deve ricadere sul maschile (anche per assistente infatti – e anche di questo si è discusso nella rete e nei social – si può ritenere che per adesso si debba propendere comunque per il maschile non marcato, almeno per indicare la categoria).
Ragionare sui traducenti italiani non è di secondaria importanza perché, quando si cerca di spiegare l’articolo che un italiano antepone a una sigla (seppure di origine inglese), è importante considerare quale è la traduzione che gli passa per la testa; che piaccia o no gli italiani, infatti, continuano (per fortuna) a pensare in italiano.
Nonostante la chiarezza teorica che spinge alla scelta del maschile quale che sia il punto di partenza del ragionamento, il problema dell’alternanza di genere, e quindi della scelta dell’articolo da premettere alla sigla, ha caratterizzato le fasi iniziali dell’introduzione di questa tecnologia e di tutto ciò che a essa è collegato. L’incertezza era certamente dovuta, come dicevamo, anche a una più generale indecisione su quale fosse l’effettivo referente della parola (la persona, la tecnologia, lo strumento), e questo ha certamente contribuito a far sì che la sigla abbia assunto fin da subito, come spesso accade nell’italiano contemporaneo, una funzione aggettivale. Quindi, senza una normazione e un preciso controllo (o autocontrollo), la tendenza dominante è stata (e forse continuerà a essere) quella di scegliere l’articolo del nome a cui questa particolare forma aggettivale è riferita, anche sottintendendolo: strumento, sistema, arbitro, assistente (maschile); tecnologia, tecnica (femminile). Per quanto riguarda lo strumento con un’insidia in più: perché è sempre esistita nella tradizione calcistica televisiva la moviola, che per funzione e uso è quanto di più immediato un italiano possa ricollegare al concetto di VAR.
Per la scelta definitiva dell’articolo sarà determinante il comportamento di cronisti, commentatori e giornalisti sportivi (in fondo si tratta di lingua settoriale). Da questo punto di vista la vicenda legata a VAR è importante anche in relazione alla possibilità di indirizzamento di alcune scelte linguistiche: l’Accademia della Crusca fu subito interpellata dai giornali sulla questione dell’articolo e si espresse a favore del maschile (la notizia fu data in un articolo di Antonio Montanaro comparso sul “Corriere fiorentino” del 22 agosto del 2017 e rimbalzò sulla rete nei giorni successivi). L'indicazione raggiunse così anche molti addetti ai lavori che ne hanno parlato in blog e pagine web di ogni tipo, di fatto promuovendo l’uso del maschile, che, a un anno di distanza, è decisamente dominante, sicuramente confortato da una maggiore consapevolezza su ciò che la sigla indica. In occasione dei mondiali di Russia 2018 il femminile è stato usato solo raramente nelle telecronache e nelle trasmissioni di commento. E sul web sono oltre 300.000 le occorrenze al maschile in pagine italiane trovate mediante Google, a fronte di 133.000 al femminile (non poche, in ogni caso), una tendenza che risulta confermata anche da sondaggi al volo sui quotidiani (ad esempio sull’archivio web di “Repubblica” troviamo il var 686 volte contro le 250 di la var).
Con l’ingresso nella lingua comune, per quanto l’appoggio al maschile degli addetti ai lavori sia quasi totale, la questione del genere di VAR rimane comunque aperta: ognuno accetterà la posizione del linguista o la contesterà a seconda del proprio punto di vista, così come ogni tifoso ha sempre in mente una formazione migliore di quella schierata in campo dall’allenatore. Tutto questo in fondo è molto calcistico; e – ed è quello che conta – è il sintomo che la nostra lingua è viva.
Marco Biffi
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
13 luglio 2018
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