A. Sonnino ha recentemente posto un quesito sul verbo implementare e il sostantivo implementazione.
Implementa... che?
Persone con particolare sensibilità nei confronti della lingua, come gli utenti che ci hanno scritto sulla questione, manifestano fastidio per l'impiego troppo generalizzato di implementare e tutta la famiglia di termini correlati; molti li percepiscono come anglismi, o termini in qualche modo posticci nella nostra lingua, e chiedono se sia corretto usarli oppure no.
Implementare è registrato nel GRADIT come verbo transitivo di uso tecnico-specialistico, con due accezioni differenti; la prima è d'ambito filosofico: "sostanziare uno schema astratto, rendere operante un progetto, un piano e simili"; la seconda appartiene alla lingua dell'informatica: "allestire, realizzare un sistema di elaborazione o un programma a partire da un progetto preliminare, attraverso varie fasi intermedie, fino alla sua messa in opera definitiva".
Il Vocabolario Treccani, nella sua versione in linea dà una prima accezione senza indicazione di particolari settori d'uso, "adempiere, completare, perfezionare: implementare un accordo, un contratto e simili; dare pratica realizzazione a un piano, a un progetto" e una seconda più specificamente informatica "allestire un sistema o una procedura a partire dagli studî preliminari fino alla sua messa in opera definitiva, attraverso le fasi intermedie di programmazione e prova"; nota inoltre che in italiano, oltre al verbo in oggetto e al sostantivo implementazione, alcuni linguaggi settoriali hanno introdotto dall'inglese anche il sostantivo maschile impleménto e gli aggettivi implementale, implementare.
Stando al Sabatini-Coletti 2008 il sostantivo implementazione ha, oltre a un uso in ambito informatico con il significato di "azione di implementare qualcosa" (indicazione data anche dagli altri dizionari consultati), anche un impiego nel linguaggio giuridico, indicando "attuazione di un sistema di norme e procedure". Tra l'altro, questo dizionario riporta a lemma in italiano anche implementation, anglicismo non adattato, con il significato di "attuazione, realizzazione; nel linguaggio commerciale, stipulazione di un contratto".
Sia il verbo che il sostantivo sono calchi dell'inglese (to) implement, che compare - come riportano sia l'Oxford English Dictionary sia il Merriam-Webster - nel XV secolo, usato dapprima come sostantivo (implement, sostanzialmente nel senso di 'utensile, attrezzo'), e dal 1806 come verbo, con una serie di accezioni a tutt'oggi in uso, da 'completare, compiere' a 'soddisfare delle condizioni', con un significato, quindi, tutto sommato più generico del corrispondente italiano. Implement viene a sua volta ricondotto al tardo latino implementum, derivato dal latino implēre ('riempire, portare a termine').
Come anno di comparsa del verbo in italiano molti dizionari, tra i quali il GRADIT, riportano il 1983; per implementazione invece il 1987. Nel supplemento del GDLI (2004) possiamo rinvenire alcune prime attestazioni documentate dei termini; per implementare viene citato un articolo apparso sul quotidiano "La Stampa" il 31 maggio 1989: "In altre parole, l'associazione imput-output [sic], ossia la soluzione del problema, viene implementata sull'architettura della rete"; per implementazione la rivista La Critica Sociologica n° 32 (autunno-inverno 1982-1983): "Insomma parlando di analisi di implementazione [...] si intende comunemente 'un sistema di strumenti pratici e concettuale per verificare l'attuazione concreta di programmi politici'". Per l'accezione informatica del sostantivo viene data una prima attestazione risalente alla rivista Le Scienze n° 124 (ottobre 1987): "Vengono quindi mandati in prevalenza lo stile della programmazione, le strutture dei dati, la verifica e l'implementazione dei programmi". Sia implementare - con il significato di 'rendere attivo, operante' - che implementazione sono inseriti nel Dizionario di parole nuove 1964-1984 di Cortelazzo-Cardinale (1986), che riportano come prima attestazione lessicografica l'undicesima edizione dello ZINGARELLI, datata 1983.
Non si tratta quindi di neologismi recenti in italiano; considerando la loro storia si può ragionevolmente pensare che il motore propulsore per la loro diffusione sia stato proprio l'informatica, secondo una tradizione italiana del lessico specialistico di questo settore di realizzare calchi dei corrispondenti termini settoriali inglesi - come testare da to test o settare da to set che pure avrebbero in italiano delle alternative valide (provare e impostare, per esempio) - quando non viene direttamente impiegato il termine inglese.
Nonostante l'etimo effettivamente inglese, i termini sono però completamente - e da tempo - acclimatati in italiano. Al di là della loro origine e natura, è probabile che il motivo dell'insofferenza nei loro confronti sia da ricercare in un uso sovrabbondante rispetto all'effettiva necessità, talvolta senza una reale conoscenza del significato preciso e quindi usandoli genericamente nel senso di arricchire, sviluppare, come se fossero l'unica alternativa possibile per esprimere un certo concetto, quando invece esistono verbi o sostantivi altrettanto validi, se non più precisi, come per esempio, a seconda del contesto, mettere in atto/attuare, realizzare, sviluppare, mettere in opera, applicare. Implementare, al giorno d'oggi, sembra prevalere semplicemente perché percepito, secondo un gusto linguistico imperante, come più "tecnico" rispetto ad altri termini dal significato affine.
Dunque, pur non essendoci delle motivazioni per così dire storico-linguistiche contro l'uso del verbo implementare e del sostantivo implementazione, si potrebbe auspicare una maggiore attenzione nel loro impiego, fermandosi un attimino a riflettere se siano assolutamente imprescindibili, o se non siano invece l'ennesimo esempio di quella lingua di plastica giustamente stigmatizzata da Ornella Castellani Pollidori e attraverso la quale si scivola, talvolta, nella famosa antilingua cui faceva riferimento Italo Calvino già nel 1965. E ricordiamo, proprio citando le parole del grande scrittore, il rischio di tale "pigrizia linguistica": «[...] Dove trionfa l'antilingua - l'italiano di chi non sa dire "ho fatto" ma deve dire "ho effettuato" - la lingua viene uccisa».
Per approfondimenti:
A cura di Vera Gheno
Redazione Consulenza Linguistica
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