I nostri lettori ci chiedono quale sia l’espressione più corretta per chiedere la data tra: Quanti ne abbiamo o, con l’aggettivo interrogativo al femminile, Quante ne abbiamo (oggi)?, Che giorno è (oggi)?, Che numero è oggi?, Che giorno siamo?, Che data è oggi?.
Tra le espressioni usate per chiedere la data che i lettori portano alla nostra attenzione, quella che sembra suscitare più dubbi è l’interrogativa parziale Quanti ne abbiamo (oggi)?: è una forma corretta in italiano, si può utilizzare quotidianamente? Precisiamo, innanzitutto, che nell’espressione segnalata, molto diffusa nel parlato quotidiano, ne ha valore partitivo e va riferito all’espressione di giorni, che resta implicita; altrimenti si può pensare a un enunciato ellittico rispetto a Quanti ne abbiamo oggi di giorni del mese?, in cui il pronome ne ha funzione cataforica, e anticipa il partitivo oggetto di giorni dislocato a destra: in ogni caso, di giorni può essere sottinteso, probabilmente perché questa espressione per chiedere la data è, in italiano, così diffusa (se ne trovano esempi in varie grammatiche già dall’Ottocento, soprattutto nella forma Quanti ne abbiamo del mese?) che è immediatamente comprensibile a tutti. Possiamo quindi affermare che la frase Quanti ne abbiamo (oggi)? è corretta dal punto di vista grammaticale, che può certamente essere usata nelle dinamiche della comunicazione quotidiana (perché permette di chiedere la data del giorno in modo veloce e senza possibilità di fraintendimenti), ma anche che è sconsigliato utilizzarla in testi scritti o in situazioni che richiedono maggiore formalità, perché la frase marcata, per di più ellittica, appartiene soprattutto al parlato colloquiale. Si ricordi, anche, che il computo al plurale dei giorni del mese (tranne il primo) permane tuttora, specie nel linguaggio burocratico, nelle date: “Luogo, li (giorni) 10 aprile”; ma l’articolo plurale li, diventato ormai opaco (in quanto non più usato), viene spesso impropriamente reinterpretato come avverbio di luogo (lì).
Di questa espressione alcuni lettori segnalano anche la variante con il plurale femminile e non maschile dell’aggettivo interrogativo: Quante ne abbiamo?, molto più rara nell’uso. Essa suscita, però, qualche dubbio: se nella frase al maschile il genere è condizionato dal sottinteso sostantivo giorno al plurale, in questo caso risulta difficile individuare il sostantivo femminile che ne determina il genere. Si potrebbe forse pensare al sostantivo giornata, in molti casi sinonimo di giorno, che però difficilmente può essere usato con l’accezione di ‘data’. In questo senso, forse potremmo immaginare che il sostantivo giornata possa indicare il periodo di luce dall’alba al tramonto, che scandiva i ritmi della vita quotidiana fino a non molti decenni fa e, soprattutto, la vita lavorativa contadina. Questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che alcuni giovani parlanti tra i 25 e i 30 anni, che usano la frase al femminile (intervistati in una piccola inchiesta che ho effettuata nell’area dei Castelli Romani) affermano di averla sentita dalle nonne e dai nonni e, pertanto, potrebbe trattarsi di un uso mutuato da una generazione precedente, abituata a seguire il flusso della luce e della natura per il lavoro e la vita quotidiana. Sulla forma femminile utilizzata dalla coinquilina abruzzese di una nostra lettrice potrebbe aver influito anche la vocale indistinta finale (detta schwa) della pronuncia dialettale di giorno tipica dei dialetti meridionali, nei quali però il sostantivo è maschile, come conferma l’articolo (lu jurnə) Si può forse ipotizzare che la variante con il femminile possa riferirsi all’antico dia, derivato, come il maschile die (da cui dì), dal latino diem (che era ambigenere), e questa spiegazione potrebbe essere valida in Sardegna, dove alcune varietà locali presentano l’uso del sostantivo dì femminile (cfr. AIS, carta 336 Il giorno).
La frase Che giorno è (oggi)?, che pure i nostri lettori ci segnalano, chiedendosi se non sia proprio questa quella da utilizzare, segue invece il normale ordine della frase interrogativa parziale, introdotta dall’aggettivo che prima del nome giorno. Essa ha, dunque, il vantaggio di essere utilizzabile anche nello scritto e in situazioni formali, ma porta con sé anche uno svantaggio: nel rispondere al quesito, potrebbe non risultare chiaro se il sostantivo giorno sia usato dall’interlocutore per riferirsi alla data precisa o al nome del giorno della settimana (opzione pure possibile). Si potrebbe quindi generare una piccola incomprensione, comunque facilmente risolvibile se immaginiamo uno scambio del genere: “Che giorno è oggi?”, “Martedì”, “Intendevo il numero/la data!”, “Ah! È il 3 (ottobre)” (o viceversa). Infatti, nonostante questa possibile ambiguità, la frase Che giorno è oggi? sembra essere attualmente la più diffusa nel parlato (come risulta da una breve indagine effettuata tramite il social network Instagram e anche in base all’esperienza quotidiana), forse perché è il contesto che può aiutarci a comprendere quale sia la richiesta specifica che il nostro interlocutore ci sta rivolgendo. È improbabile, infatti, che possiamo dimenticare in che giorno della settimana ci troviamo (o, se ciò avviene, si tratta di una dimenticanza di pochissimi secondi, cui possiamo fare fronte autonomamente), mentre è più facile che possiamo dimenticare la data specifica, se non teniamo sott’occhio un calendario, e che, per ricordarla, possiamo richiedere l’aiuto di chi è con noi, evitando così di dover controllare il cellulare o l’agenda. Questa forma è la più diffusa anche nei testi scritti digitalizzati in Google libri: il motore di ricerca restituisce, infatti, 8.590 risultati per “Che giorno è oggi?” e solo 1.420 per “Quanti ne abbiamo oggi?”. La distribuzione delle due forme è rappresentata anche nel grafico di Ngram viewer, che mostra, a partire dagli anni Duemila, una netta prevalenza della prima espressione.
Che la forma Che giorno è oggi? sia adatta allo scritto, anche di registro letterario, è confermato pure da alcune occorrenze presenti nel corpus PTLLIN Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento (che, al contrario, non contiene esempi di Quanti/e ne abbiamo?, dimostrandone l’appartenenza al registro informale); riportiamo due esempi, usati sia per chiedere la data, sia il giorno della settimana:
Il sole nel cielo limpido ci riscalda le membra indolenzite e si continua a camminare. Che giorno è oggi? E dove siamo? Non esistono né date né nomi. Solo noi che si cammina. (Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, Torino, Einaudi, 1953, p. 121)
Dunque è l’ora in cui Matteo e la madre escono dalla terapia - ammesso che siano venuti. Che giorno è oggi? Venerdì. Perciò dovevano venire. (Sandro Veronesi, Caos calmo, Milano, Bompiani, 2005, pp. 418-419)
Una struttura analoga a quella appena osservata hanno le frasi Che numero è oggi? e Che data è oggi? che hanno dalla loro il vantaggio di non essere ambigue. La prima è ancora una volta un’ellissi (della frase “Che numero di giorno del mese è oggi?”), mentre la seconda è forse influenzata da What date is it today?, la forma standard inglese per chiedere la data, che pure convive con la forma What day is it today?.
Anche queste due espressioni possono ritenersi corrette ed essere utilizzate anche nello scritto.
Per quanto riguarda, infine, la frase Che giorno siamo?, possiamo dire che essa è l’unica che pone problemi sul piano grammaticale: si nota infatti l’assenza di relazione diretta tra il nome (giorno) e il verbo (siamo), che lascia presupporre l’omissione, prima dell’aggettivo interrogativo che, della preposizione in. Della frase In che giorno siamo? si trovano effettivamente esempi anche in testi scritti:
«[…] ma si può sapere in che giorno siamo???»
«Ahh... ma oggi è il 10 di agosto, non lo sai?»
«No, sono appena arrivato da... fuori.» (Sergio Pucciarelli, La dodicesima stringa, Roma, Aletti, 2018)
Una forma parallela di Che giorno siamo? è presente nel francese standard: Quel jour sommes-nous?, usato accanto a Quel jour on est?, interpretabile come impersonale. Inoltre, il complemento di tempo non richiede obbligatoriamente la preposizione (“ci siamo andati il giorno 11 marzo”) e questo dato, che legittima il che relativo polivalente con valore temporale, potrebbe spiegare anche l’uso del che interrogativo in una frase come questa, in cui la prima persona plurale siamo, con valore deittico, ha il vantaggio di includere chi parla e chi ascolta in una collocazione temporale convenzionale e condivisa.
Concludendo, possiamo dire ai nostri lettori che le espressioni per chiedere la data in italiano sono numerose e che nessuna di quelle da loro proposte può dirsi proprio scorretta: sta quindi alla sensibilità del parlante scegliere quella più appropriata al contesto in cui si svolge la comunicazione.
Elisa Altissimi
18 settembre 2024
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