Questa di oggi è la millesima risposta che il Servizio di Consulenza Linguistica pubblica sul sito dell’Accademia. Per festeggiare l’avvenimento ci siamo rivolti al presidente Marazzini perché in questa occasione fosse proprio lui a rispondere a uno dei tanti quesiti che ci sono arrivati (e che ci continuano ad arrivare). Il Presidente ha accolto il nostro invito e ha risposto a una serie di domande sul verbo incignare, diffuso in Toscana nel senso di ‘indossare per la prima volta’, la cui storia offre vari motivi di riflessione sul piano sia lessicologico sia lessicografico.
Sono giunte alla Consulenza diverse lettere in cui si chiedono informazioni sul verbo incignare. I quesiti sono giunti da Lucca, da Santa Maria a Colle nel comune di Lucca, da Fornoli (frazione di Bagni di Lucca), da Montopoli in Val d’Arno, da Pisa. Sono dunque tutte richieste toscane, e in particolare provengono in buona parte da una zona geografica ben definita, appunto quella di Lucca. Non è strano che sia così. Infatti la provenienza delle domande coincide con l’annotazione di un lessicografo dell’Ottocento, personaggio ben noto della cultura toscana del tempo, Pietro Fanfani. Nel suo Vocabolario della lingua italiana (cito l’edizione del 1884) si legge:
Incignare. v. att. Si usa, specialmente a Lucca, per Mettersi la prima volta un abito, Rinnovarlo. Lo scrisse pure il Pananti, Opere I, 165: “Un’altra ha un casacchin color di rosa, Che sua nonna incignò quando fu sposa”. Vedi il mio Vocabolario dell’uso toscano […].
Filippo Pananti, evocato dal Fanfani, è un poeta toscano dell’Ottocento oggi quasi dimenticato. Aveva studiato a Pistoia e poi a Pisa, si era dedicato alla poesia e alla politica; nel 1799 era fuggito all’estero, in Francia e Inghilterra, perché le sue idee liberali e filo-rivoluzionarie gli stavano procurando non pochi guai. Rimase in Inghilterra dieci anni. Nel viaggio per tornare in Italia, nel 1813, fu catturato dai pirati e portato ad Algeri come schiavo; fu salvato per intervento del console britannico. Ci ha lasciato il racconto di quest’avventura in un resoconto pubblicato a Firenze nel 1817. È sepolto a Firenze, dov’era poi tornato a vivere. I versi citati dal Fanfani sono tratti da un suo poemetto eroicomico intitolato Il poeta di teatro.
Abbiamo visto che Fanfani, nella voce Incignare del suo Vocabolario, citava anche un’altra opera lessicografica, il proprio Vocabolario dell’uso toscano. Infatti, in quest’opera, nel 1863, aveva dato la medesima spiegazione, aveva citato il medesimo esempio del Pananti, ma con altre informazioni utili: avvertiva infatti che il lessicografo Alberti di Villanova, nel Dizionario universale (tomo II, Lucca, 1797, p. 375), sotto la voce Encènia, aveva dato notizia del verbo incignare, pur non posto a lemma: “Da Encenia vogliono alcuni scrittori Lucchesi, che sia derivato il loro vocabolo Incignare, quasi dicasi Enceniare, che dicesi del Mettersi, o cominciar a portare una veste nuova, e per estensione Cominciare a far uso di checché sia”.
A questo punto, si può dare una prima risposta a chi ha posto le domande su questo curioso e non comune verbo. Infatti il primo dubbio riguardava la possibilità di usare la parola, cioè se essa fosse legittimamente italiana. Certamente è italiana, anche se non è familiare a tutti gli italiani. Si tratta di un toscanismo che non appartiene al fiorentino. Non a caso, il Novo dizionario Giorgini-Broglio, di ispirazione manzoniana, non lo registrò. Fiorentinamente non si sarebbe detto ‘incignare una veste’, ma ‘rinnovare una veste’, come appunto avvisa il Giorgini-Broglio: “[Rinnovare] Riferito a veste; indossarla per la prima volta. Ieri sera al ballo rinnovò la giubba. Ogni po’ po’ rinnova un vestito”. Così si sentenziava nel 1891, quando uscì il IV volume di questo dizionario. Oggi, tra i materiali del Vocabolario del fiorentino contemporaneo, c’è un’inchiesta di dialettologia urbana svolta per il medesimo Vocabolario, il cui testo mi è stato gentilmente fornito dalla collaboratrice della nostra Consulenza, la dott.ssa Matilde Paoli. L’interesse di quest’inchiesta sta nel fatto che gli informatori non si limitano a rispondere passivamente a domande, secondo il metodo tradizionale, bensì discutono assieme liberamente della parola che è stata loro sottoposta. Siamo nel quartiere di San Frediano, nel cuore della Firenze popolare, e l’informatore A mostra di sapere che incignare vuol dire mettere il “vestito novo” per la prima volta; ma l’informatore B subito lo corregge, e gli suggerisce il verbo giusto, “rinnovare”, proprio come avrebbe fatto il Giorgini-Broglio, con piena soddisfazione del Manzoni. “Incignare vòl dire: rinnovare”, sentenzia B, rigoroso come un lessicografo dell’Ottocento. Poi gli informatori, in questa bella conversazione di inchiesta dialettologica urbana, di cui non riporto il testo intero per ragioni di spazio, si lanciano nella descrizione di vari usi possibili di incignare: un lavoro, una damigiana di vino; a questo punto, concordano in un’opinione comune: quel verbo non l’hanno sentito a Firenze, tanto meno a San Frediano, ma in Versilia:
[...] anche in Versilia lo dìcano incignare, eh, ma un ha nulla a che vedere con San Frediano… / B. In campagna, anch’in campagna… È più una parola che l’ho sentita in campagna, io… [tutti concordano] / B. Non dicevano iniziare: Ho incignato a fà questa cosa. /A. Incignato la bottiglia dell’olio. Ha’ voglia… / B. Incignato a fà questo lavoro. Però è una parola che io ho sentito in campagna, no in casa mia. No a Firenze.
Ecco dunque la sentenza: non è fiorentino, benché certamente molti fiorentini siano in grado di intenderlo, perché l’hanno incontrato in Toscana; viene avvertito come un verbo da campagnoli. Allora, a questo punto, chi legge e ha posto la domanda resterà un po’ imbarazzato: si può usare, o no? È italiano o no? Certamente si può usare, perché l’italiano non sta solo nel fiorentino. Certo, Manzoni avrebbe corretto incignare in rinnovare, coerente con il suo programma linguistico che lo portava a scovare la miglior lingua nella gran villa sull’Arno, evitando reduplicazioni sinonimiche ogni volta che fosse possibile individuare la parola giusta e sicura. Ma intanto incignare non è rimasto solo nell’uso dei toscani di Lucca. Lo si rintraccia in molte località delle province di Pisa, Livorno, Grosseto, nell’isola d’Eba, nell’isola del Giglio… È registrato nel Dizionario vernacolare elbano di Domenco Segnini (1994), nel Saggio di Vocabolario del vernacolo elbano edito e commentato dalla nostra accademica Annalisa Nesi (2005), nel Vocabolario pisano di Giuseppe Malagoli (1939). Un’indicazione sulla distribuzione in Toscana si ricava sia dall’ALT, l’Atlante lessicale toscano, sia anche dalle carte dell’AIS, l’Atlante linguistico Italo-Svizzero. Quest’ultimo non è solo circoscritto all’area toscana, ma registra la situazione dell’Italia intera, oltre che della Svizzera, e ci mostra che il tipo incignare è presente anche in altre regioni, cioè sporadicamente in Puglia e Sicilia, con attestazioni più fitte in Calabria. In tutte le aree geografiche dove esiste incignare, esso deve tener testa alle forme concorrenti, cominciare, mettere mano a, ovvero manomettere. Di fatto, però, non si può dire che si tratti di una forma solo toscana, anche se non saprei definire i rapporti tra l’area toscana e quella meridionale relativamente a questa parola e alla sua storia. La storia, ovviamente, richiede che prima di tutto si dica qualche cosa sull’etimologia, che è greca, con passaggio dal greco al latino: il greco ta enkáinia (cfr. kainos ‘nuovo’) nel significato di ‘feste di inaugurazione’ ha dato origine al latino encaniare ‘inaugurare’, da cui incignare (cfr. DEI s.v.).
Forse, a questo punto, coloro che hanno posto la domanda saranno perplessi, perché la localizzazione geografica extrafiorentina, il richiamo a luoghi isolati (le isole toscane), la presenza nelle raccolte lessicali che nel titolo portano l’indicazione “vernacolo”, tutti questi elementi, insomma, avranno fatto forse pensare a una parola di serie B, di livello popolare e dialettale. Invece questa parola ha suscitato simpatia e consenso già nella seconda metà del Cinquecento, quando il materano Ascanio Persio la rintracciò nel Regno di Napoli (nella forma incegnare), la registrò nel suo Discorso intorno alla conformità della lingua italiana con le più nobili antiche lingue, e principalmente con la Greca (Venezia 1592, p. 48), ne individuò correttamente l’etimo greco, e la propose come esempio tipico di parola la quale avrebbe potuto essere vantaggiosamente introdotta nella lingua italiana, indipendentemente dalla sua toscanità (che al Persio, del resto, era sfuggita). Nel corso dell’Ottocento la simpatia per incignare fu espressa da linguisti illustri. Gherardini, nel 1854, registrava incignare nel suo Supplimento a’ vocabolaj italiani e ne celebrava la nobile etimologia dal greco (vol III, p. 468). Il più acceso sostenitore di incignare fu Prospero Viani, nel suo Dizionario di pretesi francesismi (1858). Viani osservava che il verbo era stato registrato nel vocabolario del Vanzon (Tomo III, Livorno, 1833, p. 831: “Voce dell’uso in alcuni luoghi”), era stato accolto da Tommaseo e Gheradini, e rammentava che già nel Cinquecento Ascanio Persio aveva esaminato questa voce di origine greca, lodandola come “significantissima” e di “nobile principio” (cioè di nobile etimologia), per cui Viani non aveva esitazioni nell’affermare che doveva essere ammessa nelle “pubbliche scritture”. Prospero Viani, insomma, era pieno di entusiamo per questo incignare a un tempo meridionale e toscano. Il purista Filippo Ugolini, nel 1861, confermava il giudizio positivo del Viani: “il Viani con lungo discorso raccomanda [l’uso di incignare], e con ragione” (Vocabolario di parole e modi errati, III, ed., Firenze, Barbèra, 1861, p. 137; le edd. dell’opera del 1848 e del 1855 non menzionano ancora incignare).
Gli autori dell’Ottocento non furono sordi all’appello, e fecero uso della parola. La troviamo in scrittori caratterizzati dalla vistosa inventiva linguistica e dal gusto per i toscanismi peregrini: Vittorio Imbriani (meridionale), Giovanni Faldella (settentrionale); ma anche in Luigi Pirandello, Giovanni Pascoli, Pietro Jahier, Riccardo Bacchelli, Corrado Alvaro, Italo Svevo. Le citazioni sono tante, ma i nostri lettori le possono rintracciare facilmente grazie al GDLI ora consultabile in versione elettronica nel sito dell’Accademia della Crusca.
Concluderei dunque così: chi vuole, può usare serenamente e con gusto raffinato questa parola, anche se non è registrata da tutti i vocabolari italiani (la omette il Devoto-Oli 2018, mentre era ancora presente nell’ed. 2004-2005). La sua piena legittimità viene dall’essere parola toscana, non estranea ad altre regioni, con il vanto di un uso letterario non di poco conto, negli scrittori che abbiamo avuto modo di citare. In barba al Vocabolario della Crusca, che non ha mai registrato il non-fiorentino incignare, e che nella quinta e ultima edizione ha finalmente introdotto un incignare, sì, ma non la parola su cui abbiamo qui a lungo discusso, bensì un’altra, che significa “legare, o strignere con cigna [= cinghia]”. Come? Una parola diversa? Certo, perché il medesimo vocabolario avverte: “è voce forgiata per ischerzo”. Questa, effettivamente, possiamo lasciarla cadere.
Claudio Marazzini
23 aprile 2021
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