Alcuni lettori ci chiedono se sono corretti e ammissibili ispirativo e ispiratorio, chiarificativo e chiarificatorio accanto ai previsti ispiratore e chiarificatore.
Anche se non è registrato da alcun dizionario (non lo lemmatizza neppure il GDLI che pur lo usa nella sua metalingua illustrando il significato di studiare come esaminare qualcosa per “trovarne spunti ispirativi”) e segnalato come errato dai correttori automatici, l’aggettivo ispirativo/‑a non è raro nelle pagine internet e deve quindi essere preso in considerazione dopo le domande dei nostri lettori. Gli aggettivi in -ivo (non di rado sostantivati, come in distintivo, consuntivo) sono formati soprattutto da nomi (bosco - boschivo) o da participi passati (abrogato - abrogativo), quasi sempre con valore attivo (educativo, distruttivo, rappresentativo); molto più raramente, in ambito agrario, passivo (arativo, sementativo). Al femminile ha prodotto dei sostantivi astratti (attrattiva, impegnativa) anch’essi con valore attivo (trattativa).
Come ben si sa, il campo semantico ‘che dà ispirazione’ è ben presidiato dall’aggettivo ispiratore/‑trice cui il nostro ispirativo non aggiunge sostanzialmente nulla. Semanticamente è quindi un sinonimo quasi perfetto. Non sono pochi i casi di concorrenza totale tra suffissati in -ivo e in ‑tore o ‑sore: fissativo/fissatore, eversivo/eversore, pacificativo/pacificatore, ma perlopiù i due termini si sono specializzati in significati diversi e spesso in funzioni differenti (sostantivo e aggettivo), come produttore - produttivo, legislatore - legislativo, lavoratore - lavorativo. Se resta la sinonimia nelle funzioni di aggettivo, scatta però la differenza dell’uso sostantivato, quasi sempre a carico di ‑tore: ristoratore (aggettivo e sostantivo) - ristorativo, distruttore (idem) - distruttivo, punitore (aggettivo ma anche, sia pur meno spesso, sostantivo) - punitivo ecc. L’economia della lingua non gradisce troppo i puri sinonimi, ma non sempre li rigetta. Forse è il caso di ispirativo, che sta facendosi strada accanto a ispiratore, con lo stesso significato e qualche minimo vantaggio morfologico (il femminile in -a è più semplice di quello in -trice). Formalmente è ammissibile in italiano e se proprio uno non trova una parola ispiratrice può cercarne una ispirativa, anche se consiglierei di pensarci due volte prima di rinunciare all’aggettivo più comune, per quanto non sia impossibile che, col tempo, la più frequente sostantivazione della forma in -tore/-trice (l’ispiratore, l’ispiratrice) faciliti l’affermazione della prevalente funzione aggettivale di quella in -ivo/-a. Sconsiglio però quella ispiratoria, pur usata (stante GDLI) una volta (ma a un grande licet… la licenza) da Roberto Longhi (“folgore ispiratoria”), che rimanda più all’ambito della respirazione che a quello dell’ispirazione.
Analoghe alle precedenti sono le domande sulla serie chiarificatore/‑trice, chiarificatorio/‑a, chiarificativo/‑a, tre sinonimi pressoché perfetti per significare, al maschile o al femminile, ‘che fa chiarezza’. Posto che tutti questi aggettivi sono formalmente ammissibili (discendono regolarmente da chiarificare come i precedenti lo facevano da ispirare), i primi due sono quelli largamente più attestati e cui è bene attenersi nella maggior parte dei casi. Chiarificatorio è poco usato, ma è registrato dal GRADIT (con datazione ante 1937) e dal Supplemento 2004 del GDLI, che lo cita da un passo di Antonio Gramsci (che spiega la data del GRADIT, essendo il 1937 l’anno della morte del grande intellettuale), dove sembra avere un impiego ironico, intellettualistico:
Occorre infischiarsi del gravissimo compito di far progredire la critica dantesca o di portare la propria pietruzza all’edifizio commentatorio e chiarificatorio del divino poema
in coppia con un ancor più raro e ironico commentatorio (anch’esso registrato solo sul Supplemento 2004 del GDLI e sul GRADIT sempre con la data della morte di Gramsci), che lo riporterebbe a un uso misuratissimo e meditato, ad effetto. Ma su Google l’aggettivo comincia ad apparire di più e il Corpus della “Repubblica” lo registra, al maschile o al femminile, una ventina di volte a partire dal 1987 e, forse, si sta andando verso una sua modesta affermazione non solo espressiva. Anche l’archivio del “Corriere della Sera” lo ospita dagli anni Ottanta.
Quanto a chiarificativo/‑a non lo si trova nel Corpus della “Repubblica”, ma il Supplemento 2009 del GDLI lo registra (definendolo singolarmente col sinonimo chiarificatorio, non col prevalente chiarificatore!) con un esempio di Prezzolini (databile tra il 1903 e il 1907), che lo farebbe apparire un’invenzione d’autore (“metodo conoscitivo e chiarificativo”), forse cercata per omofonia con l’aggettivo che la precede. Ma anche qui l’archivio del “Corriere della Sera” ne riporta alcune apparizioni, la prima già nel 1931 (“riferimento chiarificativo”), una anche al femminile (“osservazione chiarificativa”) che ne mostrano una circolazione, sia pur minima, non solo d’arte. Insomma, chiarificatorio e chiarificativo non sono sbagliati, né inesistenti. Gli scrittori li hanno tirati fuori dal regno del possibile a scopi stilistici, ma anche la lingua comune può beneficiarne. Tuttavia, stentano a trovare accoglienza nei dizionari. Forse perché, in fondo, essendoci già chiarificatore/‑trice, sono inutili o non necessari. Infine, anche l’avanzata pur timida nel territorio del suffissato in ‑tore di chiarificatorio e chiarificativo si potrebbe spiegare con le stesse ragioni usate sopra per spiegare i moderati passi avanti di ispirativo a spese di ispiratore.
Vittorio Coletti
2 aprile 2021
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