Rossella F. di Roma chiede il nostro aiuto perché non riesce a comprendere se sia corretto l’uso del sostantivo affronto in frasi come “un nuovo tipo di affronto dei generi architettonici” oppure “l’affronto dello studio della storia”. E ci confessa: “A me suona malissimo...”.
Il verbo affrontare ha come primo e più antico significato quello di ‘trovarsi (a) faccia a faccia, andare incontro’ da cui ‘farsi incontro con atteggiamento risoluto, ostile minaccioso’, che ha dato origine nel XVI secolo al significato di ‘offendere’. Da questo ultimo significato, sempre nello stesso secolo, deriva il deverbale a suffisso zero affronto come sinonimo di offesa e in questo modo è registrato in tutti i dizionari dell’italiano contemporaneo (come in ricevere un affronto).
Affrontare con il significato di ‘prendere in esame, discutere, trattare’ si attesta solo più tardi, nell’Ottocento, quando ci si riferisce al “trovarsi (a) faccia a faccia” non con una persona ma con qualcosa di astratto (come in affrontare un problema). Da questo significato, subito biasimato da puristi come Antonio Cesari – nella Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana del 1809 l’espressione affrontar l’esecuzione di un disegno apre l’elenco in cui Cesari raccoglie “alla rinfusa barbarismi, neologismi, locuzioni ineleganti” – di recente è nato affronto per indicare ‘l’affrontare, l’atto di prendere in esame qualcosa, il trattare, il discutere un certo argomento’.
Con questo significato il termine è assente nei vocabolari, tuttavia in rete è possibile riscontrarne, a partire dagli anni Settanta, alcune attestazioni in testi di saggistica di matrice cattolica di area settentrionale, come suggerisce la ricerca dell’espressione “l’affronto del problema” su Google Libri. Successivamente, forse in relazione anche alla pubblicazione e alla diffusione di alcuni libri (per esempio nel libro Perché la Chiesa di Luigi Giussani del 1992, il termine ricorre anche nel titolo del paragrafo La posizione ottimale per l’affronto dei problemi umani), l’uso di affronto con questo valore comincia ad aumentare. Se la ricerca in Google dell’espressione “l’affronto del problema” si allarga a tutte le pagine della rete, non limitandola soltanto alle pubblicazioni cartacee, i dati ne confermano una crescita costante e una espansione anche in altri contesti: le occorrenze sono pari a 2 dal 1995 al 2000; 6 dal 2000 al 2005; 14 dal 2005 al 2010; 23 dal 2010 al 2015.
Oggi è infatti possibile rilevare questo nuovo uso di affronto in testi di tipo diverso, tra cui i testi giornalistici (“L’affronto di tutto il corpus beethoveniano permette di evidenziare le connessioni tra le opere…”, “Corriere della Sera”, 20 marzo 2006; “L’affronto del problema richiede un lavoro di squadra tra professionisti competenti, educatori, genitori e scuola”, “La Stampa”, 16 maggio 2016), in testi informativi o in manualistica settoriale (“Il piano può prevedere molteplici misure di affronto della crisi di cui la liquidazione può essere solo una”, Antonio Bianchi, Crisi di impresa e risanamento, 2010).
Come altri nuovi deverbali (si vedano ad esempio le schede su soddisfo, continuo, giustifica, sconsiglio) non è possibile fare previsioni sul destino di queste forme: diventeranno parte della lingua comune solo se continuerà a essercene davvero bisogno. E in effetti il verbo affrontare con il significato di ‘prendere in esame’, che è oggi estremamente vitale, manca del sostantivo corrispondente.
Ma un neologismo semantico come affronto nel significato di ‘presa in esame’ non può essere del tutto equiparato agli altri deverbali privi di “doppione” (proroga, diffida, giustifica, soddisfo, ecc.). Infatti anche se il verbo affrontare con il significato di ‘offendere’ non è più in uso, lo è in maniera ben radicata il deverbale affronto con il significato di ‘offesa’: la sua presenza contrasta la diffusione del nuovo deverbale che accrescerebbe l’ambiguità e la necessità di ripercorrere il contesto per dedurre il significato corretto del termine.
Se un consiglio si deve dare potrebbe essere quello di evitare una novità del genere che – a meno di far fuori il suo omonimo – conserverà sempre la fisionomia ambigua del sosia.
A cura di Angela Frati e Stefania Iannizzotto
Redazione Consulenza Linguistica
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