Alcuni lettori ci chiedono perché quando ci si riferisce alla provincia di Bergamo si usa dire “nella bergamasca” anziché “nel bergamasco” come per altre province; qualcuno si chiede se si tratti di una “moda” recente.
La lingua italiana, compreso il lessico specialistico della toponomastica, utilizza l’etnico di riferimento del capoluogo di provincia al maschile, per indicare il territorio provinciale relativo: l’Astigiano corrisponde alla provincia di Asti, il Modenese a quella di Modena, il Cosentino a quella di Cosenza e così via. La convenzione – perché di semplice convenzione si tratta – è favorita dal fatto che capoluogo e provincia hanno per lunga tradizione lo stesso nome, con qualche recente eccezione (la provincia di Monza si chiama Monza e Brianza, quella con capoluogo Verbania è il Verbano-Cusio-Ossola, mente Carbonia è il capoluogo – provvisorio – della provincia denominata Sud Sardegna dal 2016, dopo l’abolizione delle province isolane che, costituite dalla Regione ma mai ratificate dal governo centrale, si erano affiancate a quelle tradizionali di Cagliari, Nuoro, Oristano e Cagliari).
La coincidenza tra etnico del capoluogo e provincia presenta anche qualche eccezione storica e/o linguistica. Il Romano o il Latine(n)se nel Lazio, anche per l’antichità del toponimo Roma e all’opposto, l’estrema modernità del toponimo Latina, non risultano in uso. Inoltre esistono sottili distinzioni in alcuni casi: parmigiano si riferisce a Parma, parmense alla provincia; così varesino e varesotto o rodigino e rovigotto, con il primo elemento di ogni coppia riservato alla città capoluogo.
In altri casi una variante morfologica dell’etnico-toponimo designa (o designava) un territorio più ristretto della provincia: il Genovesato, un tempo corrispondente a tutti i possedimenti (escluso l’oltremare) della Repubblica di Genova e oggi ridotto ad alcuni comuni della cintura metropolitana del capoluogo ligure; la Lucchesia, un grappolo di comuni attorno a Lucca (Capannori il più importante) e Lucca stessa: il territorio confina con la Versilia e con il Pisano.
L’odierna prassi denominativa dei territori provinciali è piuttosto rudimentale almeno per due motivi. Il primo è che i confini amministrativi non sempre coincidono con quelli storici, geografici, culturali, linguistici di un’area che chiamiamo provincia. Il secondo è che, all’interno di una provincia, figurano altri nomi indicanti subaree ben distinguibili, come il Cadore nel Bellunese, la Valtellina che occupa gran parte della provincia di Sondrio, il Casentino nella provincia di Arezzo, la Versilia in quella di Lucca, la Tuscia nel Viterbese e la Sabina nel Reatino, la Marsica nell’Aquilano, il Salento con le province di Lecce, di Brindisi e parte di quella di Taranto, il Cilento nella provincia di Salerno, il Belìce (e non Bèlice) nella Sicilia occidentale, il Campidano e la Gallura ampie e importanti porzioni della Sardegna che potrebbero concorrere come nomi di province. Inoltre anche i comuni minori hanno il loro territorio specifico: parlare del Fulignate, dello Spoletino o dell’Assisano è più corretto di una generalizzazione come “il Perugino” che in loco è riservato solo all’area più prossima al capoluogo dell’Umbria.
Una tale visione è, tuttavia, squisitamente sincronica: in diacronia le cose cambiano ed è possibile documentare un’ampia messe di esempi nei quali la provincia o comunque il territorio prossimo a un centro di una certa importanza è attestato al femminile non meno che al maschile. Ci viene in aiuto il prezioso Deonomasticon Italicum (DI) di Wolfgang Schweickard dove troviamo, in Lombardia, Bresciana f. (1348 ca.), Brescian m. (1367 ca.) e Bresciano (dal 1511); Lodexana f. ‘territorio di Lodi’ documentato dal 1442, con poi Lodesana, Lodigiana, Ludezana; Lodesano m. ‘id.’ dal 1468 ca.; Mantovana e Mantovano risultano alla medesima data (1348 ca.) così come Padovano e Padovana e – continuando con il Veneto – ecco Trivixana dal 1321, con Trivigiana, Trevigiana, Trevisana, Trivisana, Tirvissana da un lato e Trivigiano dal 1373 ca. con Trivixan, Travisano, Trivixano, Trivisano, Trevigian, Trivixanno, Trevigiano (alcune forme si sono continuate nei moderni cognomi); e Vicentina f. ‘territorio di Vicenza’, prima attestazione nel 1435, con Vigentina, Visentina, Vesentina e solo dal 1552 Vicentino, preceduto da Vincentino e seguito da Visintino e Vecentino (anche qui con tipi cristallizzatisi in nomi di famiglia); in Emilia a Piagentino m. ‘territorio di Piacenza’ con Plasentino e Piacentino dal 1527 ca. fa riscontro Placentina f. ‘id.’ già dal 1461, con Piasentina e Piacentina; a Parmigiana (1348 ca.), seguita da Parmexana, Parmesana, Parmisana, Parmessana e Parmeggiana corrisponde Parmigiano m. dal 1363 ca., con le varianti Parmesano, Parmexan, Parmigiamo, Parmesan, Parmegiano, Parmiggiano, Parmeggiano; “Reggiana f. ‘territorio di Reggio Emilia (dal 1348 ca. [...]”, poi anche regiana 1462, Rezana 1469, Rexana 1484 ca, a fronte di Reggiano m. ‘id.’ al 1414 ca.
Quanto al territorio di Bergamo, il DI riporta altrettanto indifferentemente i due generi: Bergamasco m. dal 1367 ca. (inizialmente nella grafia Bergamascho; la forma senza h risale al 1523) e Bergamasca f. dal 1507 (in questo caso l’esempio di Bergamascha è posteriore alla prima attestazione).
Si notino due cose: la prima che il femminile è spesso contemporaneo o precede il maschile; la seconda, che il fenomeno riguarda, almeno a consultare la documentazione storica disponibile, quasi esclusivamente il Nord Italia; il che è plausibile se si considera la propensione dei suffissi dal genere mutevole – come -asco, d’origine ligure e tipico del Nord-Ovest, e gli stessi -ano e -ino – a dar vita a coronimi di entrambi i generi. Ma ci sono altre motivazioni concorrenti e cioè l’abbinamento dell’aggettivo relativo a un territorio provinciale con due voci femminili tipiche del Nord e del Centro; il primo è la “marca”, che ha indicato in passato un’estensione quasi regionale: la Marca Trevigiana, legata alla potenza di Ezzelino da Verona, comprendeva quasi l’intero Veneto moderno con l’eccezione di Venezia; la Marca Anconitana, bizantina prima e nello Stato pontificio poi, valeva grosso modo le intere Marche di oggi (e il capoluogo amministrativo-religioso era nella Marca Fermana); il secondo termine è la “bassa”; quest’ultima si registra evidentemente dove la provincia si articola in un territorio “alto” e in un’area di pianura, come capita per quasi tutte le odierne province lombarde, venete, emiliane e alcune piemontesi e friulane, occupate in parte da Prealpi e Alpi o Appennini e in parte dalla Pianura Padana.
Ma non si potrà però ipotizzare che Bergamasca sia la forma ellittica di Bassa Bergamasca: si oppone a questa spiegazione il fatto che la forma ellittica di bassa+coronimo è regolarmente la bassa. Né è mai esistita una *Marca Bergamasca. Ciò detto, la domanda “perché si usa bergamasca al femminile anziché bergamasco?” potrebbe trasformarsi in “perché (quasi) esclusivamente per l’area di Bergamo è sopravvissuto come preponderante il femminile?”. Il quasi è d’obbligo poiché se non altro i coronimi la Bresciana e la Lodigiana non sono del tutto scomparsi.
La risposta non è semplice: scartata la prevalenza di una “marca bergamasca” o un’impropria e indebita estensione della Bassa bergamasca, spunta l’ipotesi che la Bergamasca e il Bergamasco non siano la stessa cosa, e che questo contenga quella (dunque il Bergamasco come territorio sarebbe iperonimo dell’iponimo Bergamasca), anche se la popolazione, nel parlar comune, sostiene che la Bergamasca è invece l’intera provincia di Bergamo.
Che questa seconda convinzione appaia radicata lo dimostra il fatto che, anche da ciò che si ascolta in radio e in televisione, si legge sui giornali o in Rete, per Bergamasca s’intende tutta la provincia. Infatti, continua ad esistere un distretto chiamato Bassa Bergamasca, un insieme di 46 comuni associati, nella fascia pianeggiante e collinare della provincia; il capoluogo è Treviglio, come lo era ai tempi dell’Unità d’Italia, quando le province di allora erano divise in mandamenti e quella bergamasca comprendeva i mandamenti di Bergamo, di Clusone e appunto di Treviglio. Ma si trovano facilmente notizie e commenti nei quali vengono collocati nella Bergamasca anche comuni che ne sono al di fuori della Bassa e talora propriamente montani.
Una risposta più attendibile è che alla base dell’ellissi o del sottinteso vi sia terra anziché territorio, distretto, contado ecc. Anna M. Thornton, che ha dedicato un paragrafo agli etnici divenuti coronimi intitolato proprio “Il tipo il Bergamasco (territorio)” (in Grossmann-Rainer 2004, §7.2.2.2., pp. 512-513), a proposito di un testo di Giovanni Villani che scrive “uno castello di bresciana che si chiama Liorci, nel castello di Salò in bresciana”, ritiene che il nome qui mancante sia probabilmente terra. Perché terra? Giuliano Bernini (Università degli Studi di Bergamo, comunicazione personale) ritiene plausibile che possa trattarsi di un residuo da collegare al lessico della giurisdizione territoriale della Serenissima, cfr. Dominio da terra e rilevanza della terraferma; insomma un ricordo degli eventi che seguirono il 1427-1428, quando la Repubblica di Venezia si annesse prima le valli bergamasche e poi la stessa Bergamo, oltre che Brescia e il Bresciano, togliendole al Ducato di Milano. Tuttavia, aggiunge Giuliano Bernini, se nei volumi storici pubblicati dalla biblioteca civica e dalla Provincia il termine utilizzato è “territorio di Bergamo”, in altri testi scientifici, in primo luogo quelli del geografo Lelio Pagani, si parla esclusivamente del Bergamasco e mai della Bergamasca e l’impressione è che il femminile sia evitato come forma colloquiale e non tecnica.
Si può pertanto ipotizzare, concludendo, una sociolinguistica del coronimo provinciale di Bergamo, con variazione diastratica e diamesica: il Bergamasco per studiosi, tecnici, amministratori ecc. e la Bergamasca per la popolazione in generale e, specie negli ultimi tempi in cui l’area è salita tragicamente alla ribalta per gli effetti della pandemia da Covid-19, per gli operatori dell’informazione (tv, radio, web).
In postilla andrà aggiunto che tra le molte voci di lessico derivanti da Bergamo – per le quali mi permetto di rinviare al mio Parole comuni da nomi propri (Milano, Corriere della Sera-RCS 2020) – figurano bergamasca ‘genere di canto e danza popolari’ (ma è documentato anche il maschile), bergamasca ‘razza ovina pregiata’ e bergamasca ‘specie di vite coltivata nel Polesine’.
Enzo Caffarelli
7 febbraio 2022
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