Molti utenti, da diverse parti d’Italia, ci hanno segnalato l’uso, soprattutto mediatico, del verbo inaugurare nella forma intransitiva con esempi del tipo “la mostra inaugura il prossimo 10 gennaio”; “inaugura un nuovo negozio in via…”. La domanda che ci rivolgono è quanto quest’uso sia corretto.
La mostra inaugura o la mostra si inaugura?
Possiamo soltanto immaginare che cosa direbbe Giuseppe Rigutini del recente uso del verbo inaugurare nella forma intransitiva (in frasi del tipo “la mostra inaugura il prossimo mese”), segnalataci molto opportunamente da molti utenti! Proprio Giuseppe Rigutini infatti, nella sua raccolta I neologismi buoni e cattivi più frequenti nell'uso odierno: libro compilato pei giovani italiani (Roma, Libreria editrice C. Verdesi, 1886) indicava questo verbo e i suoi derivati inaugurazione e inaugurale come parole che stavano acquisendo un valore “moderno”, sul modello “dell’uso francese”, non più limitato al significato religioso che la parola latina aveva presso i Romani, ma estensivamente riferito all’apertura solenne di eventi pubblici, istituzionali e spettacolari. Lasciando trapelare tutto il suo disappunto per la nuova moda, così scriveva: “Chi non ama queste voci, rese necessarie dall’ambizione moderna, dica Dar principio a un corso pubblico di lezioni, Aprire un’esposizione, Scoprire un monumento, una statua”. La breve trattazione della voce fatta da Rigutini coglie l’elemento di maggior rilievo nella storia di questa parola: si tratta di un latinismo che si riferisce a un atto religioso proprio del paganesimo degli antichi Romani, per cui gli àuguri (o meglio, gli aruspici), dopo aver consultato la volontà degli dei, potevano inaugurare, cioè conferire sacralità a una persona, a un luogo o a un tempio; con quest’accezione il verbo entra in italiano attraverso i volgarizzamenti (la prima attestazione è in Livio volgare), ma non si diffonde nell’uso perché legato a culti non più praticati. Un fastidio analogo a quello del Rigutini nei confronti della nuova accezione che, per influsso del francese, il verbo aveva assunto nel corso dell’Ottocento, era stato espresso poco prima anche da Pietro Fanfani (nel Lessico dell’infima e corrotta italianità scritto con Costantino Arlia, 2a ed., 1881) e, ancor prima, da Niccolò Tommaseo, nel suo Saggio di modi conformi all’uso vivente italiano che corrispondono ad altri d’uso meno comune e meno legittimo (Firenze, 1874): “Ora gli è il tempo delle inaugurazioni. S’inaugura un corso di studi, Una statua, Un monumento funebre. Rammenta gli auguri antichi [veramente non erano gli auguri, ma gli aruspici] che rincontrandosi l’uno all’altro si ridevano in faccia. Apresi (e anche Incominciasi) un corso di studi, un insegnamento; Scopresi una statua; si celebra l’erezione di un monumento. Ma poi certuni inaugurano una nuova politica; e vuol dire che Iniziano, Avviano, Incominciano una nuova maniera di condurre le cose pubbliche; nuova come le mode. – Altri vi dirà Inaugurar una nuova era per Dare principio, Incominciare una nuova serie di fatti memorandi”. Lo stesso Tommaseo però non mancò di aggiungere tale accezione nel suo Dizionario: il verbo inaugurare si diffonde dunque con un significato affine a quello antico, ma “laico”, in cui è del tutto sparita l’accezione religiosa e sacrale. Tale significato è registrato anche nella V edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1863-1923): “Usasi per Iniziare, perlopiù solennemente; riferito specialmente a corso pubblico di studj, a congresso, a mostra, a sessione di assemblee, ed altresì a istituto, ufficio e simili”. Oggi, oltre all’originaria accezione sacrale del termine, com’è naturale in questi casi, si è persa anche la consapevolezza dell’interferenza semantica del francese. Il verbo infatti non solo ha acquisito a tutti gli effetti il significato attuale che conosciamo di ‘celebrare con solennità l’inizio di un’attività, di una manifestazione di interesse pubblico, l’apertura all’uso di un edificio’ (così nel GRADIT), ma dal suo originario ambito specifico e ristretto, è entrato tra le parole dell’italiano di alto uso, a conferma della nostra “ambizione moderna” – come forse direbbe Rigutini – di innalzare tutto a “evento” da celebrare, comunicare e condividere. E così non si inaugurano solo le grandi opere, i musei, le esposizioni nazionali, ma anche le case, i negozi, e addirittura gli oggetti, scarpe, abiti, telefoni, per sottolineare il momento del loro primo utilizzo (e anche questa accezione è registrata nei principali vocabolari, talvolta con l’etichetta di familiare, come nel GRADIT).
Le domande arrivate alla nostra redazione testimoniano che un’ulteriore “trasformazione” sta coinvolgendo il verbo inaugurare: non è raro infatti l’uso del verbo in forma intransitiva, in cui l’oggetto “inaugurato” (la mostra, il museo, ecc.) diventa il focus dell’informazione (quasi sempre più rilevante rispetto a chi celebra l’inaugurazione) assumendo la funzione di soggetto; il verbo, prima in forma passiva e quindi ancora transitivo, si fa intransitivo. Possiamo provare a ipotizzare la sequenza dei passaggi che hanno portato a questo costrutto semplificato fino alle estreme conseguenze: la frase passiva “la mostra sarà inaugurata il…” può essere sostituita dalla forma passivante “la mostra si inaugurerà (o, più probabilmente “si inaugura”) il…”, fino a ottenere per ulteriore sottrazione “la mostra inaugura il…”. Una ricerca in rete impostata proprio con la sequenza “la mostra inaugura il” seguita da una data (da 1 a 31 per considerare tutte le possibilità), per cercare di limitare il rumore prodotto da risultati in cui il verbo avesse reale valore transitivo (come, ad esempio “la mostra inaugura un ciclo di…”, “l’evento inaugura il programma…”), rileva circa 500 occorrenze, un numero ancora limitato, ma pur sempre significativo, se si considera che si tratta soltanto di una delle tante sequenze possibili: “mostra” si potrebbe sostituire con “esposizione”, “opera”, “museo”, “centro commerciale”, “negozio”, “locale” e molto altro ancora. Una conferma a questa tendenza dell’uso del verbo inaugurare ci sono le decine (non ancora centinaia) di attestazioni della stessa forma intransitiva anche al passato prossimo, quindi con l’aggiunta dell’ausiliare avere (del tipo “la mostra ha inaugurato il 3 marzo”); mentre sono ancora del tutto sporadiche occorrenze sui giornali (nell’archivio storico di Repubblica risultano solo 3 occorrenze dal 2008 a oggi) che, a quanto pare, dimostrano una certa resistenza ad accogliere e “legittimare” semplificazioni che investono il sistema morfosintattico dell’italiano.
Il peso del fenomeno dunque non appare per il momento troppo consistente, ma la sua diffusione è senz’altro sintomo della tendenza diffusa a restringere le possibilità lessicali e morfosintattiche dell’italiano, a favore di forme semplificate, sentite come più immediate solo perché più “brevi” (in questo inaugurare non è del tutto isolato: si pensi all’uso di dimissionare nel senso di ‘dare le dimissioni’ e di dirigere col valore di ‘dirigersi’, in contesti quali “Mario Rossi dimissiona dalla carica di vice sindaco” e “superato l’ingorgo, dirigo verso l’autostrada”). Possiamo solo dire che, scegliendo di usare inaugurare in questa forma (“la mostra inaugura la prossima settimana”), si risparmia davvero poco, basta un si in più! (“la mostra si inaugura la prossima settimana”). E questo basta a garantire la flessibilità del verbo che ci permette sia la forma transitiva con un soggetto che inaugura qualcosa (“il direttore del museo inaugura la nuova sala”), sia quella passivante in cui l’oggetto inaugurato viene messo in rilievo diventando soggetto della frase (“la nuova sala si inaugura il 19 gennaio”). Riprendendo Rigutini, ma solo per ricordarci della straordinaria ricchezza della nostra lingua, consideriamo sempre anche le possibili alternative sinonimiche: aprire (“la mostra apre…”), iniziare (“il corso inizia…”), cominciare, dare avvio, dar corso, varare. Un minimo sforzo, ma qualche sfumatura in più.
Per approfondimenti:
A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
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