Serena Bartocchi da Salerno ci chiede come si debba chiamare una donna Presidente del Consiglio: la presidente, la presidentessa o il presidente? Il dubbio è comune anche a altri lettori che ci scrivono da Stanghella, da L'Aquila e da Treviso.
Il settore dei nomi professionali è un settore particolarmente soggetto a discontinuità e oscillazioni che dipendono spesso da ragioni extra-linguistiche. La prima causa dei dubbi che riguardano la forma corretta del femminile di alcuni nomi di mestiere è infatti da rintracciare nei cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni e nel nuovo ruolo della donna nella società contemporanea. Tema dunque alquanto delicato, denso di implicazioni sociali, comunicative, psicologiche e giuridiche, nonché linguisticamente difficile: nella stessa Accademia della Crusca, alcuni accademici sono intervenuti a più riprese, non sempre concordando tra loro, per rispondere a quesiti su questo argomento (ad esempio le risposte di Luca Serianni su La Crusca per voi, n. 8 (aprile 1994) e n. 13 (ottobre 1996) pubblicata anche su questo sito).
Come è noto, una delle modalità più diffuse per generare nomi professionali femminili è quella con l'aggiunta del suffisso -essa sulla base del nome maschile (del tipo dottoressa da dottore, professoressa da professore, ecc.), suffisso ritenuto normale per questo tipo di formazioni dalle grammatiche ottocentesche (ad esempio nella Sintassi italiana di Raffaello Fornaciari del 1881), ma che poi ha perso progressivamente vitalità e produttività. Nel Novecento infatti i movimenti femminili hanno rivendicato alle donne il diritto di esercitare certi ruoli professionali con piena parità giuridica e economica: avvertendo come una limitazione la derivazione del nome professionale femminile da quello maschile, hanno criticato la mancanza di denominazioni autonome. A conferma di questa sorta di dipendenza si può notare che fino a pochi decenni fa proprio i femminili in -essa indicavano la "moglie di" piuttosto che una forma di femminile professionale (nel 1938 Migliorini annotava presidentessa come 'moglie del presidente').
Tradizionalmente attribuiti a uomini (erano rari i casi di presidenti e dirigenti donna), ma linguisticamente ambigenere, sono i nomi di professione uscenti in -ente che derivano dal participio presente dei verbi e variano il loro genere grazie all'articolo che li precede: il dirigente / la dirigente. In merito dunque all'oscillazione sulla forma femminile di il presidente, l'uso dell'articolo femminile senza aggiunta di suffissi può essere un buon compromesso.
Venendo all'attualità, nel maggio 2008, in occasione della sua nomina come prima donna eletta presidente dell'Accademia, Nicoletta Maraschio ha pubblicato sulle colonne del "Sole 24 ore" un articolo in cui esprime il suo parere a favore della forma la presidente:
"Essere la presidente è una buona soluzione, favorita da forme analoghe di grande diffusione, anche se non del tutto sovrapponibili, come la preside, la cantante, e per di più in diretta continuità, per quanto mi riguarda, con il titolo la vicepresidente che ho avuto a lungo. La lingua italiana consente, in questo caso, una soluzione semplice e per così dire trasparente e naturale di un problema, quello del riassestamento maschile-femminile nei nomi professionali; bastano infatti l'articolo (maschile o femminile) e l'eventuale accordo (una presidente impegnata / un presidente impegnato) a definire, insieme, il genere e la funzione. Simile il caso dei nomi in -ista (da ciclista a giornalista) non a caso sempre più diffusi perché hanno il vantaggio di fare sistema coi nomi in -ismo e di essere presenti in molte lingue". Piena legittimazione quindi della forma la presidente.
Per approfondimenti:
A cura di Angela Frati
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
Piazza delle lingue: Lingua e saperi Lingua e diritto
20 novembre 2009
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