A. Vidale, insieme ad altri utenti, ha chiesto delucidazioni sull'uso dell'articolo davanti ai prenomi.
Si tratta di una questione che ritorna frequentemente, sentita in particolare dai parlanti di quelle regioni italiane in cui è normale anteporre l'articolo al nome proprio, e difficile da circoscrivere all'interno di una norma sicura e univoca. Per coloro che desiderano un punto di riferimento fisso possiamo affermare che, secondo la norma dell'italiano standard, l'articolo prima del prenome non va usato. La sicurezza di una regola apparentemente tanto semplice e lineare, viene immediatamente scalfita dagli effettivi usi dell'italiano parlato contemporaneo, nonché da illustri esempi della nostra letteratura passata e presente. Soprattutto per i femminili abbiamo esempi illustri di provenienza toscana (Dante "ricorditi di me, che son la Pia", Pg. V, 133; Lorenzo il Magnifico "La Nencia a far covelle non ha pari", Nencia da Barberino, st. 9, v.1 nell'edizione di Tutte le Opere di Lorenzo de' Medici curata da Paolo Orvieto, Salerno Editrice, 1992; fino a Cicognani che lo inserisce anche nel titolo di un suo romanzo La Velia del 1925), ma confermata anche da scrittori non toscani, come ad esempio da Verga: "lascia star la Nena, che non ha dote" (Pane nero, 8).
Per quel che riguarda invece l'articolo prima dei primi nomi maschili, l'uso nell'italiano antico è estremamente raro e limitato ad alcuni laudari di provenienza sia toscana che settentrionale, in cui il nome maschile che ricorre più spesso preceduto da articolo è Gabriele. Negli scrittori contemporanei sono pochi gli esempi di questo tipo e tutti riconducibili alla volontà di riprodurre il parlato di tipo settentrionale, in cui è appunto presente l'uso dell'articolo anche con i nomi propri maschili: così in Ginzburg "assomiglia al Silvio" e nella canzone "la ballata del Cerutti" di Simonetta-Gaber in cui si trova "s'è beccato un bel tre mesi il Gino" (i due esempi sono ripresi da Serianni, Grammatica italiana, 1989, p. 169).
Oltre alla presenza dell'articolo prima di un prenome femminile nella tradizione letteraria e nel parlato toscani, e prima dei nomi anche maschili nel parlato regionale settentrionale, ci sono altri due contesti, uniche eccezioni riconosciute alla regola, in cui troviamo l'articolo: quando il nome proprio sia preceduto da una specificazione (es. "il piccolo Marco", "la cara Lucia") o quando costituisca una metonimia (es. "L'Aida rappresentata all'Arena di Verona", cioè l'opera che ha questo titolo).
C'è un tratto comune a tutti i casi fin qui considerati: l'articolo determinativo implica sempre una certa notorietà del nome proprio cui si accompagna, dovuta a legame amicale-affettivo nell'uso familiare e confidenziale (la sfumatura familiare è comunque variamente avvertita), giustificato invece da un precedente riferimento all'interno di un testo in contesti di registro più alto. L'uso dell'articolo determinativo con un nome proprio produce quindi, almeno in parte, una perdita del tratto della proprietà, avvicinando il nome proprio a un nome comune: in questo senso è quindi sconsigliato con i nomi di persona in quanto toglie in parte il senso dell'unicità e dell'inconfondibilità dell'individuo.
Qualche cenno anche sull'uso dell'articolo con il cognome: l'articolo, in questo caso, sembra conferire un certo distacco, per cui la persona citata per cognome, appunto, viene così collocata lontano da chi parla o scrive (sia nel tempo che come lontananza psicologica, quindi in situazioni fortemente formali come ad esempio in tribunale: "si senta ora la testimonianza del Galluzzi"). Si può mantenere l'articolo con cognomi di persone illustri lontane nel tempo (il Manzoni, il Galilei), ma invece è sconsigliato accanto al cognome di personaggi appartenenti alla nostra memoria storica (meglio Garibaldi, Mazzini, Gramsci che non il Garibaldi, il Mazzini, il Gramsci) e, solitamente non si usa nemmeno con i cognomi di personaggi illustri stranieri così come sta scomparendo l'uso di far precedere dall'articolo i cognomi di donne famose o con funzioni pubbliche: "la Deledda", "la Moratti" tendono a essere sostituite dalle forme complete del nome proprio "Grazia Deledda", "Letizia Moratti" che permettono di individuare il genere della persona di cui si sta parlando senza bisogno dell'articolo che, in questi casi, poteva apparire come discriminante in quanto non presente con i cognomi di uomini famosi o pubblici (Calvino, Andreotti, ecc).
Con i cognomi di persone contemporanee non illustri l'italiano parlato è restio a usare abitualmente l'articolo, tranne che in Toscana e negli usi formali (tribunale) o, viceversa, in contesti molto confidenziali e scherzosi, mentre resta l'articolo plurale per indicare i membri di una famiglia (i Medici, i Colonna, ecc.) e due o più donne della stessa famiglia (le Materassi).
Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
Nota bibliografica:
Aggiornamento del 25/10/2021:
Nell’italiano contemporaneo, la tendenza a far precedere i cognomi dall’articolo determinativo è in costante regresso anche con i cognomi di persone del presente, non illustri e in contesti di formalità medio-alta. A prescindere dal sesso della persona a cui ci si riferisce, la presenza dell’articolo è andata sempre più assumendo una connotazione ironica, talvolta perfino dispregiativa, soprattutto se anteposta a cognomi maschili. Una soluzione per evitare ambiguità di ogni tipo in tutti i contesti è l’esplicitazione di nome e cognome (Paolo Rossi, Ilaria Bianchi), oppure di far precedere il cognome dal titolo (signore/a, dottore/dottoressa, ecc.), specie quando sia richiesto un grado più alto di formalità; la presenza del titolo permette inoltre, salvo alcune eccezioni, di esplicitare il genere della persona nominata anche in assenza del prenome (il dottor Rossi, la dottoressa Bianchi) e di produrre espressioni politicamente corrette sia per quel che riguarda il genere, sia per quel che concerne la determinazione del ruolo o funzione dell’appellato/a nel contesto in cui opera. Quest’ultima specificazione diventa particolarmente importante in testi rigidi, scritti e orali, prodotti nell’amministrazione pubblica e nelle istituzioni in cui bisogna tendere alla massima riduzione delle ambiguità denotative e connotative.
Nei linguaggi specialistici si sono fissate alcune espressioni in cui è conservato l’articolo: ad esempio nell’editoria (scolastica e universitaria) è del tutto normale il processo metonimico (in questo caso il nome dell’autore sta per l’opera) per cui si cita un dizionario o a un testo di riferimento attraverso il cognome dell’autore preceduto dall’articolo per cui abbiamo lo Zingarelli, il Guglielmino (manuale di storia letteraria), il Rohlfs (importante grammatica storica), ma anche il Devoto-Oli, per il quale la scelta dell’articolo singolare, nonostante i due autori, evidenzia la metonimia che sottende l’espressione completa il dizionario Devoto-Oli.
Un altro settore in cui sono frequenti forme metonimiche è quello amministrativo-giudiziario: proprio in queste tipologie di testi è tuttora radicata la pratica di far precedere dall’articolo determinativo il cognome delle parti in causa (denuncianti, imputati, testimoni e altro), in quanto elementi già citati nel testo, quindi noti. Qui però la metonimia porta a eliminare il ruolo e il titolo delle persone nominate, producendo spesso un quadro in cui giudici, magistrati, avvocati, personale di pubblica sicurezza sono appellati con il loro titolo (l’avvocato Bianchi, non certo il Bianchi), mentre le persone coinvolte in altri ruoli sembrano perdere tale diritto attraverso un uso linguistico meno attento e rispettoso.
La soluzione più semplice, prima di tutto per non essere fraintesi, ma anche per non risultare sgarbati, o peggio sprezzanti, sarebbe quella di non usare mai l’articolo prima dei cognomi né di donne né di uomini, né di persone illustri del passato (Petrarca, Machiavelli, Parini, Deledda sono ugualmente riconoscibili anche senza articolo), né di personaggi noti della nostra contemporaneità (Baricco, Murgia, Draghi, Merkel…). Se nel primo caso l'eliminazione resta una possibilità, nel secondo è ormai assolutamente preferibile.
Naturalmente, però, è tuttora possibile riscontrare la presenza dell’articolo determinativo prima dei cognomi, sulla base di modelli precedenti o di perduranti usi regionali, senza che ad essa si debba necessariamente attribuire un’intenzione ironica o addirittura offensiva, a meno che non sia il contesto a offrire elementi in tal senso.
Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
4 aprile 2003
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