Antonio F. da Roma, Massimo B. da Parma, Paolo M. da Helsinki, Annagrazia C. da Padova si rivolgono a noi per avere notizie intorno alla forma esergo: quali siano il significato, l'ambito d'impiego, l'etimologia; se il plurale sia eserga o eserghi; infine se sia più corretto dire all'esergo o in esergo.
L’esergo dalla numismatica all’editoria. Significato, forme e usi
Esergo è un termine specialistico, proprio della numismatica, che ha poi esteso, in epoca recente, il suo significato anche nell’ambito dell’editoria. Dal punto di vista etimologico si tratta di un neologismo greco-latino, arrivato in italiano dal latino moderno exergum (con plurale exerga che ritroveremo) attraverso il francese esergue; all’origine c’è il sostantivo greco érgon ‘opera’ composto con il prefisso ex- ‘fuori’, quindi con il significato letterale di ‘fuori dell’opera’ a indicare lo spazio che sta fuori dal disegno della moneta. In effetti il significato primario di esergo è proprio quello di ‘spazio delle monete o delle medaglie in cui è incisa la data, il nome della zecca, il valore o un motto’. Una parola quindi molto antica (in francese è attestata fin dal Trecento), arrivata, o almeno attestata, in italiano da metà Settecento (1744 secondo il GRADIT) e, probabilmente per la sua tecnicità e quindi la diffusione molto limitata e certamente non letteraria, registrata dai dizionari storici solo nella seconda metà nell’Ottocento, nella quinta Crusca, nel Tommaseo e poi nel GDLI, sempre però soltanto con questa accezione. I dizionari registrano come plurale la forma eserghi, ma il termine è usato spesso anche come invariabile (alla data del 4 novembre 2014, il motore di ricerca Google offre in rete 523 occorrenze della stringa gli esergo e 490 di gli eserghi), il che sembra provare una non totale integrazione della parola nel lessico italiano. Davvero marginale anche gli eserga, ricalcato sul plurale latino exerga che emerge come la forma decisamente più vitale (19.000 occorrenze in rete).
Nell’italiano contemporaneo esergo, pur mantenendo saldamente la marca di tecnicità e quindi una circolazione limitata a settori ben definiti (anche il GRADIT lo segnala come termine specialistico della numismatica), ha sensibilmente ampliato la sua sfera semantica: dal motto inciso appunto sull’esergo di una moneta è passato, attraverso un processo di estensione, a significare prima la parte iniziale di uno scritto dove si colloca una citazione o un motto e, in un passaggio ulteriore, il motto stesso. Questa “duplicazione” ha prodotto l’ingresso del termine anche in ambito editoriale, dove viene impiegato per riferirsi alle citazioni “fuori testo” e in particolare a quelle in apertura di un libro o di un articolo, che svolgono la funzione di ‘motti’, scelti dall’autore per sintetizzare il senso dell’intero testo. In questo caso esergo si alterna spesso con epigrafe in espressioni come “la citazione in epigrafe”, “il motto posto in esergo” (o anche, col mantenimento delle forma latina “in exergo”) e simili. Per quel che riguarda la preposizione da anteporre a esergo in casi del genere, l’enorme corpus della rete non ci dà, in questo caso, indicazioni nette e le occorrenze di all’esergo (circa 40.000) e di in esergo (circa 35.000) grosso modo si equivalgono; invece le esemplificazioni dei vocabolari, sebbene molto limitate quantitativamente, sono tutte concordi per la forma in esergo.
L’ampliamento del significato ha offerto ad esergo qualche occasione in più di ricorrere in ambiti anche non strettamente specialistici: mi riferisco in particolare alla lingua giornalistica, a quel settore particolare delle recensioni librarie, in cui è abbastanza frequente la citazione dell’esergo con l’intento di andare a stuzzicare la curiosità del pubblico e di invogliarlo alla lettura. Come spesso avviene l’uso giornalistico può inserire la parola in contesti in cui non ce la saremmo aspettata. Si spiega probabilmente così la sua presenza in questo stralcio tratto da "Repubblica" (14ottobre2006): «Certe mattine ho sentito con le mie orecchie la gente salutarsi con l'esergo “forza Palermo”», dove la parola sembra significare semplicemente (e direi non senza una punta di ironia) ‘motto’.
A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
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21 novembre 2014
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