Marco Cimarosti chiede l'etimologia delle interiezioni boh e mah; Fabio Querzola chiede lumi sulla corretta grafia di alcune interiezioni.
L'interiezione
Le interiezioni (dal latino INTERIECTIO,-ONIS 'inserzione, intercalazione' dal verbo INTERICERE 'scagliare in mezzo', a indicare che tali espressioni si posizionano nel mezzo di un discorso senza legami col resto della frase) sono parole invariabili (con particolari oscillazioni fonico-grafiche che conferiscono, come vedremo, diverse sfumature) che esprimono una reazione improvvisa dell'animo e sono l'unico tipo di categoria lessicale che trasmette il significato di un'intera frase; come afferma Renzi (Grande grammatica italiana di consultazione a cura di Renzi - Salvi - Cardinaletti, cap. 8 "Le interiezioni") «l'interiezione è dunque una "parola-frase": un tipo di voce lessicale che trasmette in modo convenzionalizzato, depositato nel lessico, un atto linguistico completo». Per la loro capacità di saper sintetizzare uno stato d'animo con una semplice espressione, le interiezioni trovano maggiore applicazione nella lingua parlata, dove possono assumere, a seconda dell'intonazione e del contesto nel quale vengono utilizzate, molteplici significati, tra i quali Renzi (nel testo sopra citato) ricorda:
a. toh! =ti informo che questo fatto mi provoca una lieve emozione di sorpresa;
b. ehi! = ti chiedo di prestarmi attenzione;
c. magari! = mi auguro che questo avvenga;
d. beh? = ti domando di spiegarmi perché hai detto/fatto questo.
Per capire un'interiezione è molto importante conoscere il contesto comunicativo nel quale viene espressa; quando non sia possibile, come ad esempio nella lingua scritta, è opportuno che sia accompagnata da una frase che esplicita l'elemento di riferimento; per fare un esempio pratico, quando si esprime un òoh di soddisfazione, si capisce l'intenzione comunicativa del parlante - soprattutto grazie all'intonazione con la quale l'interiezione viene pronunciata - ma non si può comprendere quale sia il suo elemento di riferimento, ovvero quale sia il motivo, in questo caso specifico, della soddisfazione; questa informazione viene ricavata solo dal contesto comunicativo in cui l'interiezione è pronunciata. Un caso paradigmatico in questo senso è rappresentato dai fumetti, nei quali il disegno ha la funzione di integrare e, più spesso, di esplicitare il significato della lingua scritta. Possiamo perciò affermare che le interiezioni hanno carattere deittico, ovvero necessitano di un contesto di immediato riferimento e che, diversamente da frasi più articolate, possono essere pronunciate sempre e solo al presente (sarebbe insolito inserirle in un discorso al passato, come, del resto, in uno col condizionale). Inoltre, per il loro carattere di immediatezza espressiva, le interiezioni si addicono maggiormente a contesti in cui è lecito esprimere la propria soggettività, mentre andrebbero ridotti considerevolmente nelle situazioni formali o quando si vogliano fornire informazioni di carattere oggettivo.
Nella lingua scritta le interiezioni si ritrovano in tutti quei testi, come ad esempio i testi teatrali o le lettere di stile informale, che vogliono "imitare" il parlato spontaneo. Giovanni Nencioni, in un un saggio dal titolo "L'interiezione nel dialogo teatrale di Pirandello" (in Tra grammatica e retorica, Torino, Einaudi, 1983), analizza l'importanza che l'interiezione investe nella produzione teatrale pirandelliana, («segno di una scrittura disposta al parlato»), sottolineando, più in generale, la difficoltà riscontrata nella loro resa grafica.
Secondo Serianni (Italiano, Milano, Garzanti, 2000) le interiezioni si possono dividere in due categorie: le interiezioni primarie e le interiezioni secondarie. Le interiezioni primarie hanno sempre e soltanto valore interiettivo e hanno come peculiarità grafica il grafema h utilizzato in posizione finale o nel corpo della parola (ad es. ah, oh, ehi, ahimé, ecc.); particolari oscillazioni fonico-grafiche dipendono da ragioni espressive: a volte l'uso scritto di h si accumula per dare enfasi allo stato d'animo che si vuole riprodurre; così, un semplice oh può diventare ohhh (si pensi, tra l'altro, ai fumetti, che utilizzano per la maggior parte interiezioni onomatopeiche) per accentuare l'espressione di meraviglia, anche se sostanzialmente l'uso di h serve ad evitare omografie con altre parole o congiunzioni (si pensi all'interiezione eh e alla congiunzione e, oppure al vocativo o e all'interiezione oh). Occorre notare che, per quanto riguarda questo tipo di interiezioni, la decisione di "marcare" di più la vocale o la consonante non è indifferente o aleatoria ma serve per distinguere il significato dell'interiezione stessa: ad esempio, la lunghezza della e distingue le interiezioni èh ed èeh, parafrasabili rispettivamente come una conferma e come un'esitazione reticente ed allusiva.
Le interiezioni secondarie, invece, sono parti del discorso (sostantivi, aggettivi, avverbi, verbi) autonome e rappresentano una categoria aperta, dal momento che sono pressoché infinite le espressioni che, in un certo contesto, sono utilizzabili come interiezioni. Molte di esse hanno funzione conativa, agiscono cioè sul destinatario del messaggio (ad es. coraggio! peccato! bravo! guarda! davvero? ecc.), mentre altre hanno valore fàtico, per attivare il canale comunicativo (come? senti! pronto?). Sia le interiezioni primarie che quelle secondarie contribuiscono a formare delle espressioni interiettive, composte da gruppi di parole o da vere e proprie proposizioni (ad es. Santo cielo! Per amor del cielo! Si figuri! Neanche per sogno!, ecc). Come si può notare da tutti questi esempi, le interiezioni sono spesso seguite dal punto esclamativo o da quello interrogativo, per accentuare l'espressione di meraviglia, di stupore oppure di incredulità.
L'etimologia delle interiezioni («per quanto», come scrive Nencioni nel libro citato, «in questo settore sia possibile fare dell'etimologia») non è sempre accertata, anche se ci sono casi in cui essa risulta più chiara; ad esempio l'interiezione beh o bè è una forma apocopata di bene oppure mah che altro non è che la congiunzione avversativa ma usata in funzione interiettiva per indicare incertezza, perplessità di fronte a una domanda a cui non si sa rispondere; e ancora to' che è l'imperativo apocopato di togliere (togli) nell'accezione arcaica di prendere. Boh esprime dubbio, indifferenza, reticenza a pronunciarsi su qualcosa; è caratteristica, ma non esclusiva, dell'uso regionale romano, come si ricava da diversi esempi pasoliniani di Ragazzi di vita. Tuttavia, sembrerebbe essere semplicemente un'espressione onomatopeica (così T. De Mauro nel Grande Dizionario italiano dell'Uso, UTET, Torino, 2000), cioè una trascrizione di un probabile suono che si produce quando si esprime incertezza.
Per approfondimenti:
A cura di Marina Bongi
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
23 giugno 2003
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