Il signor A.S. è rimasto perplesso di fronte a due frasi interrogative che ha sentito pronunciare in un film – C’è mai stata volta che io vi abbia mentito? e Chissà se non ci abita nessuno – e le ha sottoposte alla nostra attenzione, chiedendoci se queste forme siano grammaticalmente corrette e se siano adeguate al contesto in cui sono state pronunciate. Proponiamo qui un’analisi dei tratti salienti di questi due enunciati, poiché ci sembra che esemplifichino bene alcuni interessanti fenomeni implicati nei meccanismi di produzione e comprensione linguistica.
Ma che domande sono queste?
Le due frasi hanno in comune il fatto di non essere “neutre” da un punto di vista comunicativo o, come si dice in linguistica, di essere “marcate”: si tratta cioè di frasi in cui le scelte sintattiche – forme interrogative, costrutti negativi – veicolano informazioni aggiuntive, che vanno oltre il significato letterale delle frasi stesse. Il loro proferimento, quindi, risulta adeguato solo in contesti specifici.
La prima frase – C’è mai stata volta che io vi abbia mentito? – è una domanda retorica, il cui scopo non è quello di ottenere una risposta, ma di affermare con forza un contenuto. La forma interrogativa C'è mai stata volta che io vi abbia mentito? presuppone, infatti, un contesto in cui qualcuno abbia messo in discussione la sincerità di una persona e questa, invece di affermare qualcosa come Vi ho sempre detto la verità, veicola lo stesso contenuto volgendolo al negativo – Non vi ho mai mentito, nemmeno una volta – e proponendolo sotto forma di domanda. La funzione comunicativa della domanda così formulata è quella di sottolineare enfaticamente il contenuto della risposta, che è atteso, dato per scontato e sollecitato dalla domanda stessa.
Dal punto di vista grammaticale la frase è corretta. Forse le perplessità del signor S. riguardano l'uso della forma che per in cui. In questo caso, si può aggiungere che l'uso del che con valore relativo-temporale, a lungo censurato dalle grammatiche normative, è un uso ben presente nell'italiano antico anche di tipo letterario e che, escluso dalla norma scritta e letteraria dell'italiano, dal ’500 in poi, è mantenuto vivo nel parlato e ha seguito la sorte di altri costrutti e abitudini linguistiche che a poco a poco si sono diffuse anche presso i «parlanti colti e negli usi scritti e hanno perso del tutto o in gran parte il loro carattere non standard» (G. Berruto, Italiano standard). L’uso relativo-temporale del che, specie con riferimento al sostantivo volta, è da considerare del tutto accettabile anche nei registri alti e formali dell’italiano. Altrimenti, si può pensare che le perplessità si leghino alla formulazione della frase, che suona come piuttosto alta e ricercata e risulterebbe, quindi, “poco naturale” se inserita in un contesto informale. La frase può essere credibile se pronunciata da un personaggio (un politico? un avvocato?) impegnato a difendere la propria reputazione in un’assemblea pubblica, lo è molto meno come battuta di uno scambio conversazionale fra amici o familiari. Le scelte formali adottate nel formulare la domanda non sono infatti tipiche del parlato spontaneo, colloquiale. Per esempio, é piuttosto ricercata la scelta di omettere l’articolo davanti a volta (“C’è mai stata volta...” invece di “C’è mai stata una volta...”). Anche l’uso del congiuntivo contribuisce ad alzare il registro dal momento che nel parlato, soprattutto in alcuni tipi di subordinate, come quella introdotta da che nel nostro esempio, è più comune e frequente l’uso dell’indicativo (la forma “C’è qualcuno che mi sa dire che ore sono?” tende ad affermarsi al posto di “C’è qualcuno che mi sappia dire che ore sono?”).
Anche la seconda frase – Chissà se non ci abita nessuno – è grammaticalmente corretta; però risulta decisamente marcata dal punto di vista sintattico e pragmatico.
Si tratta infatti di una frase interrogativa indiretta introdotta dall’avverbio chissà, che esprime dubbio, seguito dalla congiunzione subordinante se. L'atto compiuto nel proferire la domanda diventa più esplicito parafrasando la formula introduttiva Chissà se con l’espressione Mi domando se è vero che. Il contenuto sul cui valore di verità ci si interroga è espresso da una frase negativa (qui) non ci abita nessuno.
Risolviamo anzitutto il problema della "doppia negazione"; nella frase (qui) non ci abita nessuno sono effettivamente presenti due elementi con valore negativo: non e nessuno. In italiano, però, la compresenza di queste due forme negative non si interpreta come nella logica formale o come in latino e cioè come doppia negazione equivalente a un'affermazione (cfr. in proposito la scheda della Consulenza linguistica Sulla costruzione della frase negativa in italiano e G. Bernini, Negazione). Infatti, quando in una frase negativa, oltre al non, è presente un altro elemento negativo (e in particolare gli indefiniti nessuno, niente, mai; le congiunzioni neanche, nemmeno, neppure; l’avverbio mica), la regola prevede che:
a) se gli elementi negativi seguono il verbo, il non è obbligatorio:
a. non c’è nessuno in casa
b. non è mai venuto a trovarmi
b) se gli elementi negativi precedono il verbo, il non è escluso:
a. nessuno è in casa
b. mai è venuto a trovarmi!
Ora, nelle forme assertive (o dichiarative) la negazione serve a invertire il valore di verità di una frase:
la frase p = piove | significa | 'è vero che piove' |
la frase non p = non piove | significa | 'non è vero che piove' |
Quando però il contenuto di una frase viene sottoposto a domanda, il suo valore di verità diventa indeterminato e allora, sul piano strettamente semantico, le forme positive e le corrispondenti negative si equivalgono:
la forma chissà se p (chissà se piove) |
significa |
‘non so se è vero che p (piove) o che non p (non piove)’ |
la forma chissà se non p (chissà se non piove) |
significa |
‘non so se è vero che non p (non piove) o che p (piove)’ |
Lo stesso discorso vale per le forme Chissà se ci abita qualcuno e Chissà se non ci abita nessuno.
In un contesto neutro, però, la forma interrogativa non marcata è quella positiva. Se, cioè, vedo una casa e non ho informazioni né credenze preliminari su questa casa, non so se sia abitata o no e non ho modo né motivo di fare supposizioni, mi chiederò “Chissà se ci abita qualcuno”.
L'uso della forma interrogativa negativa, invece, richiede un contesto in cui chi formula la domanda Chissà se non ci abita nessuno sa già o crede già che la casa in questione non sia abitata. In effetti, stando alle indicazioni fornite dal signor S., questa informazione è attivata per inferenza dal contesto: immagini che mostrino una casa pericolante, fatiscente, diroccata, autorizzano l'inferenza 'in questa casa non ci abita nessuno'. A questo punto, qualcos'altro nel contesto deve rendere plausibile la messa in discussione di questa inferenza: possono essere discorsi o eventi precedenti, che acquistano rilevanza nel momento in cui la frase viene pronunciata, oppure elementi situazionali come l’inquadratura di una scala appoggiata a una finestra o di un buco nella recinzione, un rumore improvviso o un bagliore sinistro, tanto per fare qualche ipotesi. A queste condizioni, la frase, pronunciata con la debita intonazione, ovvero con una pausa forte dopo chissà, risulta accettabile e adeguata. La stessa frase funzionerebbe comunque meglio con l’aggiunta di un avverbio come davvero che rende prominente l'inferenza (‘in questa casa non ci abita nessuno’) su cui il dubbio si incentra: Chissà se davvero non ci abita nessuno.
a cura di Maria Cristina Torchia
Redazione Consulenza linguistica
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