Sono pervenute alla redazione varie domande sul termine da usare per indicare gli abitanti del Bangladesh. Si può usare bengalese in questo senso? O sono più corrette denominazioni che oggi si sentono e si leggono spesso sui giornali come bangladese, bangladesho (o altre ancora)?
Ma i bangladesi sono bengalesi o no?
Tutt’altro che di rado ci vengano posti quesiti che riguardano gli etnici, cioè i nomi degli abitanti di un determinato Stato o regione o città (che vengono spesso usati per indicare anche la lingua o il dialetto da loro parlato). Per spiegare la frequenza di queste richieste (e dunque le incertezze che si hanno nella formazione e nella scelta degli etnici) possiamo indicare tre fatti, che non si escludono a vicenda, ma anzi si rafforzano reciprocamente: da un lato, la complessità che l’italiano presenta nella formazione di questi termini, potendo ricorrere a suffissi diversi (-ese, -ano, -ino, -ita, ecc., come in francese, italiano, marocchino, vietnamita, ecc.) o anche a termini di matrice latina che non si possono considerare derivati dal toponimo che ne sarebbe alla base (cfr. quanto si è detto nella risposta a camerunesi/camerunensi); da un altro lato, i continui contatti con le altre lingue, con conseguente produzione di adattamenti o calchi di etnici stranieri che affiancano i tradizionali termini italiani (cfr. quanto detto nella risposta a neerlandese/olandese); da un altro lato ancora, la formazione di nuove realtà politiche, solo parzialmente coincidenti con regioni storiche; le denominazioni tradizionali non sempre appaiono adeguate a designare i nuovi Stati, i cui nomi non vengono più adattati all'italiano, come avveniva in passato (cfr. la risposta di Enzo Caffarelli sulla distinzione tra Moldavia e Moldova); e questo ha ricadute anche sui relativi etnici.
Il caso che ci viene proposto è per molti versi esemplare. Bengalese è l’etnico tradizionale e si riferisce al toponimo Bengala, che indica la vasta regione dell’Asia meridionale che dà nome anche al golfo in cui sfocia, con un ampio delta, il Gange. Bangladese fa invece riferimento al Bangladesh (che nella lingua locale significa letteralmente ‘paese del Bengala’), che è lo Stato indipendente (con capitale Dacca), che occupa la parte orientale del Bengala e che per un certo tempo venne denominato Pakistan Orientale, perché politicamente unito, dal 1947 al 1971, al Pakistan Occidentale (l’odierno Pakistan), a cui l’accomunava la religione musulmana e non induista. Il Bengala Occidentale è invece uno Stato che fa parte dell’India (con capitale Calcutta).
A rigore, dunque, bengalese ha un significato più ampio, relativo all’intera regione (compresa la parte indiana), mentre bangladese si riferisce specificamente al Bangladesh ed è ormai da considerare l’etnico “ufficiale” per i cittadini di quel Paese. Ma nessuno vieta di usare il primo etnico in senso più ristretto, per indicare gli abitanti del Bangladesh, che sono pur sempre bengalesi (il Vocabolario Treccani riporta s.v. bengalese le due distinte accezioni), mentre sarebbe improprio riferire il secondo termine all’intero Bengala. Qualcuno tra coloro che ci hanno scritto ritiene che bengalese richiami l’epoca del colonialismo e sia pertanto da evitare, e si tratta di un’impressione non del tutto infondata; ma in molti contesti ho sentito usare il termine con valore puramente denotativo, spesso alternandolo, per amore di variatio, a bangladese.
Naturalmente, i due termini hanno una storia molto diversa: bengalese è documentato in italiano – secondo il fondamentale Deonomasticon Italicum (DI) di Wolfgang Schweickard – già dal 1597 (come sostantivo plurale), ed è formato da Bengala con l’aggiunta del suffisso -ese (il più usato per formare gli etnici). Lo stesso suffisso è presente in bangladese, che ha come “base abbreviata” (DI) Banglad-, la cui prima attestazione (sempre al maschile plurale) risale (per il DI) al 1993 (in Google Libri è reperibile un’attestazione dell’aggettivo singolare anteriore solo di un anno, in X Festival Internazionale cinema giovani Torino, 13-21 novembre 1992, catalogo a cura di Sara Cortellazzo, Torino, Lindau, 1992, p. 35, dove si legge “il ragazzo bangladese”, personaggio di un film inglese). Il maggiore acclimatamento di bengalese dovrebbe garantirne ancora a lungo la sopravvivenza e, in prospettiva, si potrebbe ipotizzare che bengalesi finisca con l’indicare solo gli abitanti del Bengala occidentale indiano, distinti dai bangladesi. Ma è sempre pericoloso fare previsioni relative agli sviluppi delle lingue...
La questione, in ogni caso, non si chiude qui: accanto a bangladese si trovano infatti, come indicano alcuni lettori, anche bangladeshese, forma anglicizzante, interpretabile anche come formata con l’aggiunta del solito -ese alla base Bangladesh (la pronuncia è bangladescése) e bangladescio (anche nella grafia bangladesho, certo meno felice), che si può considerare derivato da Bangladesh per conversione, con assegnazione di classe flessiva (come argentino da Argentina, con la differenza che in Bangladesh non c’è una vocale finale da “cancellare”). Ma in rete ho trovato attestazioni anche di bangladeshano, bangladeshiano, bangladesciano e bangladesiano, formati sempre da Bangladesh con il suffisso -ano, con parziali adattamenti grafici e/o fonetici. E c’è anche chi usa come etnico (invariabile) l’inglese bangla.
Come si è detto all’inizio, la coesistenza di più forme per indicare lo stesso etnico è tipica dell’italiano e quindi non stupisce. Ma è probabile che bangladese alla fine risulti quella vincente, e proprio grazie al sostegno di bengalese, che, da parte sua, è riuscito nel corso del tempo a prevalere su forme come bengala o bengali (usato anche al singolare), bengalico e bengalino (oggi in uso solo per denominare un uccellino dei passeriformi, originario della regione), tutte registrate nel DI.
Infine, per quanto riguarda la lingua parlata nel Bengala (sia nella parte indiana, sia nel Bangladesh), segnaliamo che si usano sia bengalese, sia bengali, sia anche bengalico, documentati tutti e tre, con questo specifico significato, già nella prima metà dell’Ottocento o poco dopo. Ma anche qui l’anglicismo bangla inizia a farsi strada...
Paolo D’Achille
Piazza delle lingue: L'italiano fuori d'Italia
24 ottobre 2017
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