Tre lettrici ci chiedono se la parola mappamondo sia un calco linguistico dal latino e a che epoca risalga, se mappamondo sia maschile o femminile, se il plurale esista e come si formi.
Le risposte a queste domande sono chiare: mappamondo è effettivamente un calco sul latino mappa mundi, che risale all’italiano antico, più precisamente al secolo XIII; è di genere maschile (il mappamondo) e forma il plurale flettendo la vocale finale, come accade in banconote (i mappamondi). Le incertezze delle tre lettrici riguardo al comportamento di questa parola sono però comprensibili, perché è infatti alquanto inconsueto se considerato sullo sfondo delle tendenze profonde della grammatica italiana.
La parola mappa mundi è ampiamente attestata nel latino medievale, dove appare per la prima volta negli anni 821/822 nel catalogo della biblioteca del monastero di Reichenau sul lago di Costanza: “Mappa mundi in rotulis II” (cfr. Gauthier Dalché 2004, p. 188 per il latino medievale e, per l’italiano, Sgroi 2005). Essa si riferiva a una rappresentazione cartografica approssimativa della superficie terrestre secondo lo stato delle conoscenze del momento, e comprendeva Europa, Asia e Africa. La parola latina mappa da sola aveva designato in origine un tovagliolo, un drappo (cfr. l’Etimologico) cioè il supporto materiale della carta geografica, e solo in un secondo momento per metonimia la rappresentazione stessa. L’accezione ‘globo girevole sul quale è rappresentata la superficie terrestre’, oggi dominante nell’uso comune, non esisteva ancora nell’italiano antico. Quando le lingue volgari cominciavano a usarsi nello scritto, in un primo momento il mappamondo fu chiamato mappamundi con un latinismo non adattato. La prima citazione del TLIO, per esempio, tratta dal Tesoro volgarizzato di Brunetto Latini del secolo XIII, dice: “Qui comincia il Mappamundi.” Forme non assimilate di questo tipo, o assimilate superficialmente come in mapamundi, mappamondi o mapamondi (sempre al singolare), si trovano ancora occasionalmente fino al Seicento: “tre quadri di paesaggi a olio e un mappamondi venduti e a noi proprio consignati” (dat. in Torino li 4 dicembre 1609; citato in Angelo Angelucci, Arti e artisti in Piemonte: documenti inediti con note, Torino, Paravia, 1878, p. 18). Nelle lingue iberoromanze, questa forma non assimilata costituisce la norma fino al giorno d’oggi: catalano mapamundi, spagnolo mapamundi, portoghese mapa-mundi (accanto a mapa-mundo).
In francese e in italiano, invece, la parola fu presto adattata in vario modo alla lingua ricevente. In francese antico, secondo il testimonio del FEW 6/1, 303a, accanto ad adattamenti più radicali come mape del monde e mappe du monde, si utilizzarono anche mapamonde, mappamonde, mapemunde, mapemonde, mape monde e mappemonde, forma quest’ultima che si imporrà nell’uso. In italiano, la traduzione sintatticamente esplicita è attestata una sola volta nel TLIO in un testo mantovano del 1299/1309, il Belcalzer: “mapa del mond”. In genere, troviamo sin dal secolo XIII il calco più diretto mappamondo, che usa per primo Guidotto da Bologna (GDLI): “Governare popoli, regni, cittadi, ville stranie e diverse genti, come si conversa nel gran cerchio del mappamondo della terra.” Questa forma diventerà la norma in italiano, ma troviamo anche, fino al Rinascimento, esempi di mappamundo (Ottimo), mapamundo (Antonio di Cravaliz, traduttore di López de Gomara) e mapamondo (in scrittori veneti come Sanudo e Ramusio). Questo tipo di adattamento parziale era conosciuto sin dall’italiano antico (cfr. Micheli 2020, p. 146). Invece di tradurre il genitivo di un sintagma nominale latino con mezzi sintattici (mappa mundi > mappa del mondo), lo si riprende direttamente, in un primo momento, per poi apportare un minimo adattamento con la sostituzione della forma canonica italiana al genitivo latino (mundi > mundo, mondo). In questo processo, un sintagma nominale latino, cioè una costruzione sintattica regolare, si trasforma in italiano in un composto, un tipo compositivo nuovo con testa a sinistra senza precedenti in latino. Un altro esempio di questo processo è costituito da acquavite (sec. XV), calco del latino aqua vitae, che in alcuni dialetti è stato adattato ulteriormente come acquavita.
In un composto con testa a sinistra, il genere e il plurale in italiano sono normalmente determinati dall’elemento di sinistra: il capomafia / i capimafia (meno frequentemente: i capomafia), la ragazza squillo / le ragazze squillo, ecc. È su questo sfondo che si spiegano i dubbi delle lettrici, giacché mappa è un sostantivo femminile in italiano come lo era anche l’etimo latino mappa, -ae. Ci dovremmo dunque aspettare la mappamondo / le mappemondo. Nell’uso invece è prevalso il mappamondo, plurale: i mappamondi, sentiti a ragione come delle irregolarità sullo sfondo della grammatica italiana di oggi, tanto più che il composto si può considerare ancora trasparente. Come sono nate queste irregolarità?
Cominciamo con il genere. Gli esempi citati dal GDLI hanno tutti, sin dal primo di Guidotto da Bologna (sec. XIII), il genere maschile. Fra gli esempi del TLIO, invece, il secondo esempio più antico, tratto dal Milione di Marco Polo (sec. XIV), mostra la parola al femminile: “secondo che dice la mapamundi”. Siccome si tratta di una traduzione, possiamo ipotizzare che il genere femminile sia dovuto, in questo caso, all’influsso dell’originale, scritto in francese antico. In francese infatti mappemonde è da sempre stato di genere femminile, con scarsissime eccezioni. In italiano, il genere femminile è attestato anche posteriormente, ma rimarrà sempre una scelta nettamente minoritaria. Nell’anno 1471 si menziona “una mappamondo” di un commerciante genovese in un documento doganale conservato nell’Archivio di Stato (cfr. Esch 2007, p. 180). In Google libri, non ci sono altri esempi con genere femminile fino a tempi recenti, mentre in testi meno formali se ne può trovare una certa quantità. L’esitazione fra genere maschile e femminile è esistita pure nello spagnolo antico, come testimonia il CORDE della Real Academia Española s.v. mapamundi, mapa mundi, ma anche in questa lingua il genere maschile è prevalso nella norma ufficiale a partire dal tardo Rinascimento, non solo in mapamundi, bensì anche nel semplice mapa: si dice infatti el mapa, mentre l’italiano oppone la mappa a il mappamondo.
Non è facile identificare con sicurezza la ragione, o le ragioni, per l’inaspettato genere di mappamondo in italiano. Due sono le cause possibili che vengono in mente. Da un lato, la -i del genitivo mundi del latinismo mappamundi può essere stata fraintesa da scriventi poco “intrisi di latinità” come marca di plurale e averli indotti alla formazione di un singolare in -o. È possibile però anche che il passaggio alla -o finale sia avvenuto senza intervento del plurale, come semplice adattamento di una parola con una veste leggermente anomala a una forma più canonica nella lingua ricevente. In ambedue i casi, il passaggio al genere maschile sarebbe da interpretare come un adeguamento del genere alla forma della desinenza, tipicamente maschile. L’altra ipotesi punta sulla semantica, concretamente sul fatto che un mappamondo rappresenta il mondo. In questo modo, il secondo elemento mondo poteva anche fungere da iperonimo, imponendo il suo genere alla parola intera. L’assegnazione del genere in base all’iperonimo, infatti, è abbastanza comune in italiano come in altre lingue (cfr. la Uno, la Punto, perché è sono macchine, auto). Un’anomalia simile a quella constatata per mappamondo si osserva anche in finimondo, che inizialmente significava ‘fine del mondo’ ed è di genere maschile (il finimondo) anche se fine nel senso di ‘termine’ in italiano ha assunto il genere femminile (la fine; è invece maschile il latino finis, il primo elemento dell’etimo finis mundi). Un influsso di finimondo su mappamondo è da escludere, perché è attestato per la prima volta cent’anni dopo.
Ambedue le ipotesi, che non si escludono necessariamente, presuppongono che il composto non sia stato pienamente trasparente per gli scriventi in epoca antica, ciò che sembra corroborare anche l’osservazione che la parola semplice mappa nell’accezione ‘carta’ è attestata più raramente nel TLIO che non il composto mappamondo, e solo più tardi. L’unico esempio, infatti, proviene dal Dittamondo di Fazio degli Uberti, datato 1345-67. La trasparenza semantica è anche imperfetta nella seconda accezione ‘globo’, nella misura in cui la classificazione “un globo è una mappa” sembra poco naturale. Con l’affermazione nell’uso di mappa ‘carta’ il composto, per lo meno nella sua prima accezione, può essere diventato più trasparente nell’italiano moderno di quanto non era nell’italiano antico. Il plurale mappamondi, attestato a partire dal Quattrocento, era la scelta naturale per chi usava mappamondo con genere maschile (cfr. banconota, indica una particolare nota non un particolare banco; dunque plurale: banconote). Alcuni parlanti di oggi, però, nella misura in cui tendono a vedere in mappa la testa del composto mappamondo, sembrano tentati di formare un plurale mappemondo, plurale “logico”, ma contrario a una norma saldamente affermata sin dall’italiano antico.
Nota bibliografica:
Franz Rainer
27 novembre 2020
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