Rispondiamo ad alcuni lettori che ci chiedono perché si utilizzi tavolo (al maschile) per indicare il mobile e tavola (al femminile) per riferirsi alla mensa apparecchiata. Cerchiamo anche di rispondere a coloro che ci chiedono se si dica gioco da tavolo o gioco da tavola, tentando di definire tutti i casi e ambiti in cui vengono usati i due termini.
La questione che ci accingiamo a trattare è tutt’altro che semplice; l’alternanza tra una forma maschile e una femminile per nomi che si riferiscono a cose inanimate (prive quindi di un genere naturale) è in italiano abbastanza frequente: abbiamo banca e banco, buco e buca, pozzo e pozza, porto e porta, bonifico e bonifica e molte altre ancora. Nella maggior parte dei casi c’è un rapporto di derivazione tra le due parole, a volte si parte dal maschile, altre dal femminile.
Nel caso in esame, cominciamo subito col dire che in italiano il sostantivo tavolo è attestato soltanto a partire dal XIX secolo e indica generalmente il mobile; secondo la maggior parte dei dizionari italiani dovrebbe dunque derivare dal sostantivo tavola, appartenente al lessico dell’italiano delle origini e che si riferisce di solito alla mensa, al desco.
Tavola
Il nome tavola, presente già dal XIII secolo in italiano, deriva direttamente dal latino tăbŭla(m), riconducibile alla radice *tā, che ha il significato di ‘cosa stabile, sostegno’ (Michiel de Vaan, Etymological Dictionary of Latin and the other Italic Languages, Leiden/Boston, Brill, 2008, p. 604). In latino tăbŭla aveva diversi significati: l’accezione primaria era quella di ‘asse, tavola’ ma anche ‘dipinto, pittura’ (da cui anche il nostro significato di tavola ‘dipinto su legno’ e poi per estensione ‘qualsiasi dipinto su tela’); inoltre poteva significare ‘tavoletta votiva’ o ‘tavoletta per scrivere’; al plurale ‘libro dei contri, registro, lista’, da cui anche i significati di ‘testamento’, ‘lista dei proscritti’, ‘lista del censo’ e ‘avviso d’asta’ ossia tutto ciò che poteva essere scritto su una tavola o tavoletta, di legno o di altri materiali. Inoltre tăbŭla aveva anche il significato di ‘tavoliere da gioco’.
In latino, per indicare il desco apparecchiato si utilizzava un altro sostantivo, ossia mensa (da cui il nostro sostantivo mensa): ad mensam consistere significava appunto ‘servire a tavola’, in mensa sternĕre ‘apparecchiare la tavola’ e a mensa surgere ‘alzarsi da tavola’ (durante un convivio, un banchetto). Per estensione il termine poteva indicare anche ‘il cibo stesso, il pasto, la portata, la pietanza’. Nel latino classico, il sostantivo mensa aveva sviluppato anche il significato di ‘banco dei cambiavalute, dei banchieri’ o ‘banco da macellaio’ e addirittura ‘tavola da gioco’ oltre che ‘tavola dei sacrifici’ (da cui si è sviluppato in italiano mensa ‘tavola eucaristica’) e ‘palco’. Anche per indicare il mobile (il ‘tavolo’, per intenderci), il latino preferiva il termine mensa, usato per lo più nella forma diminutiva mensŭla per ‘tavolino’ e nella locuzione scriptoria mensa per ‘scrittoio’.
Dunque, per sintetizzare, il latino aveva due sostantivi: tăbŭla, che indicava generalmente un’asse, una tavola di legno, e mensa con cui si definiva il desco apparecchiato e anche il mobile costituito da un’asse (la tabula, appunto) sostenuta da quattro gambe.
Abbiamo alcuni indizi che ci fanno pensare, però, che già nel latino classico tabula e mensa avessero “avvicinato” la loro semantica condividendo, sempre più, i significati di ‘mobile’ e di ‘desco’. Un detto latino, riportato da Cicerone all’interno di un’epistola Ad familiares (7, 25, 1), cita Manum de tabula! tradotto da diversi commentatori con ‘Via la mano dalla tavoletta!’ (Renzo Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano, Rizzoli/BUR, 1997, p. 387). L’episodio si riferirebbe a un modo di dire usato, in questo caso, dagli scolari per incitarsi a cancellare velocemente dalla tavoletta tutto ciò che il maestro non avrebbe dovuto vedere (infatti il passo successivo dell’epistola è Magister adest citius quam putaramus ‘Il maestro è qui prima di quanto pensassimo’). L’aspetto proverbiale della locuzione viene giustificata dalla mancanza del verbo tollere, attestato in alcuni autori precedenti a Cicerone. L’interscambiabilità di tabula e mensa è evidente nelle Satire Menippee di Varrone (frammento 429 B), in cui si ha Manum de mensa! (anziché tabula) nonché nella difficoltosa interpretazione di un passo del Satyricon di Petronio in cui la tabula della locuzione si potrebbe riferire al tavolo da gioco o alla mensa apparecchiata (Satyricon 76, 9).
Nell’italiano delle origini, consultando il Corpus OVI, la parola tavola è ampiamente attestata, sia con il significato di ‘asse’, nella prima metà del sec. XII (taule ‘tavole’ nel Conto navale pisano ad esempio), sia con il significato che ne diamo noi oggi di ‘mensa’, già a partire dall’inizio del XIII secolo. In alcuni testi di ambito senese, infatti, troviamo tovaglie da tavola cioè ‘tovaglie per apparecchiare la tavola’ (Inventario delle cose rubate a Ugolino da Ruggerotto, in La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere pratico, a cura di Arrigo Castellani, Bologna, Pàtron, 1982, pp. 409-411, p. 410). Spesso la parola riporta l’accezione di ‘banco dei cambiavalute’ presso cui vengono versate delle quote. Nel De scriptura aurea del milanese Bonvesin de la Riva, risalente alla seconda metà del XIII secolo, troviamo, all’interno della descrizione del banchetto divino in Paradiso in cui si gustano bevande e cibi prelibati, la parola tavola con riferimento alla mensa eucaristica:
Lo nostro rex de gloria, fio de sancta Maria,
Quel è administrator dra tavola bandia.
Là sus a quella tavola lo iust se rebaldisce:
Stagand a tai delitie, lo cor ge stradolcisce;
Lo cibo delectevre, ke trop ge abellisce,
Lo ten in grand sozerno e tut lo reverdisce.
(Le opere volgari di Bonvesin de la Riva, a cura di Gianfranco Contini, Roma, Società Filologica Romana, 1941, vv. 539-544)
A ulteriore testimonianza del fatto che tavola aveva ormai assunto il significato di ‘mensa’ abbiamo un passo tratto dal Del reggimento de’ principi di Egidio Romano, risalente alla fine del XIII secolo, in cui l’autore descrive cosa sia o non sia conveniente per un principe fare a tavola:
Ora diremo come si debbono dare gli uffici nelle case | dei re e dei prenzi. [...] In tal casa potrebbe essere che un uomo potrebbe guardare la porta e servire alla tavola. [...] Nel qual dice, che quelli che servono e quelli che mangiano alla tavola dei re e dei prensi [...]. Quelli che servono a quellino che mangiano, generalmente ciascuno uomo, si debbono guardare di troppo favellare| mentre ch’ellino istanno alla tavola; [...] conciosiacosaché la natura abbia ordinata la | bocca e la lingua a mangiare e a favellare, l’uomo non di | fare l’uno e l’altro ad un’otta, fa contra | all’ordinanza della natura, e ’mpedisce di mangiare, ch’è ordinato a sostenere il corpo. La seconda ragione si è, che ’l | troppo favellare è contra al buon costume, perciò che se coloro | che seggono alla tavola favellano troppo, ellino parranno | ebbri e distemprati, che ’l vino iscalda l’uomo e ’l fa ardito nel parlare. (Del reggimento de’ principi di Egidio Romano. Volgarizzamento trascritto nel MCCLXXXVIII, a cura di Francesco Corazzini, Firenze, Le Monnier, 1858, p. 208)
Anche nel Novellino (nell’edizione la cui veste linguistica è toscana occidentale) abbiamo diverse attestazioni di tavola ‘mensa’. Ne citiamo di seguito un paio significative (nel secondo brano guastare sta per guastarde/guastade ossia ‘brocche di vetro per liquidi’, cfr. GDLI e TLIO):
Io veschivo Aldebrandino era vivo, mangiando allo vescovado suo d’Orvieto uno giorno ad una tavola là dov’era uno frate minore, lo quale frate mangiava una cipolla savorosamente [...].
Messer Iacopino Rangoni, nobile cavaliere di Lonbardia, stando uno giorno a tavola, avea due guastare di finissimo vino inanzi, biancho e vermiglio. Uno buffone istava a quella tavola, e non s’ardìa di chiedere di quello vino [...]. (Il Novellino, a cura di Alberto Conte, Roma, Salerno Ed., 2001, pp. 163-264, p. 244 e p. 254)
Dalla fine del XIII secolo compare anche la locuzione tavola ritonda (spesso con la maiuscola) all’interno del Tristano: si tratta, in questo caso, della traduzione dal francese antico table ronde, attestata nel Tristano riccardiano di area umbro-aretina, che indicava i cavalieri che attorniavano re Artù (da cui il significato moderno di tavola rotonda ‘riunione di esperti che trattano di un determinato argomento’). Dobbiamo specificare che nel francese antico, così come in quello contemporaneo, si ha un solo sostantivo, table appunto, femminile, per indicare sia il mobile sia la mensa.
Riassumendo: in latino tabula indicava solamente ‘asse’ e genericamente ‘tavoletta’, mentre mensa aveva i significati che oggi noi diamo a tavola, ossia quelli di ‘mensa’ e di ‘tavolo (mobile)’. Attraverso il detto manum de tabula, attestato in Varrone nella variante manum de mensa, e in un passo di difficile interpretazione in Petronio, si può supporre che in latino tabula avesse assunto alcuni significati di mensa e viceversa. Nell’italiano delle origini, accanto al latinismo mensa (con il significato odierno), si era diffuso tavola (in documenti di area settentrionale e centrale) con il significato di ‘desco, mensa’, anche in relazione al banchetto eucaristico. Tavola poteva anche indicare il mobile, in relazione al banco dei cambiavalute o ai vari banchi dei mercati e, inoltre, grazie alla traduzione della locuzione francese table ronde.
Tavolo
Più difficile ricostruire l’origine della parola tavolo, che oggi indica tanto il ‘mobile costituito da un piano orizzontale di legno, metallo o altro materiale sostenuto per lo più da quattro gambe, di forma e dimensioni diverse a seconda dell’uso a cui è adibito’, quanto quello, di uso specialmente giornalistico, di ‘luogo d’incontro, di discussione, di contrattazione’ e per estensione ‘l’incontro, la discussione, la contrattazione stessi’ (GRADIT).
Abbiamo alcuni indizi che probabilmente già nel tardo latino si stesse diffondendo un sostantivo derivante da tăbŭla al maschile: lo troviamo nell’Appendix Probi ossia in una lista prescrittiva a scopi educativi, trovata alla fine dell’Instituta Artium di Probo (da cui il nome) in cui si indicava, accanto all’errore con cui alcune parole o locuzioni si stavano diffondendo, la dicitura grammaticalmente corretta. Poco più avanti di tabula (che non si dice tabla, ma ciò non ci interessa) troviamo, accanto a vico capitis Africae (che non si dice vico caput Africae) e vico castrorum (non vico castrae), vico tabuli proconsolis che non si dice vico tabulu proconsulis. Ciò che ci interessa non è solo tabulu (da cui si può esser sviluppato il nostro maschile tavolo) ma anche e soprattutto la presenza di un genitivo (perché genitivi sono capitis e castrorum all’interno delle locuzioni simili) tabuli derivante quindi da un presupposto tabulum o tabulus. L’Appendix, rinvenuta su un documento che risale all’VIII secolo d.C., è una fonte che attesta una fase di declino del latino, quando già si stava avviando verso forme volgari (che daranno poi vita alle varietà romanze), che secondo alcuni risalirebbe già al IV secolo d.C., secondo altri, allo stesso periodo del testimone su cui è stata ritrovata (l’VIII secolo per l’appunto). A qualsiasi periodo appartenga, le forme tabuli e tabulu sembrano documentare come si stesse diffondendo una forma parallela a quella classica di tăbŭla (la versione dell’Appendix consultata è quella integrale pubblicata da Baehrens nel 1922, Sprachlicher Kommentar zur Vulgärlateinischen Appendix Probi, Halle, Max Niemeyer). A conferma di ciò, disponiamo di alcuni documenti duecenteschi di area settentrionale (come, ad esempio, gli Statuti della città di Vercelli) in cui ricorrono tabulus e tabulum utilizzati, come nell’Appendix, quali sostantivi appartenenti alla seconda declinazione (uno maschile e l’altro neutro) e che si riferiscono o al banco usato come supporto per effettuare le transazioni commerciali e pecuniarie, o al mobile adibito a mensa eucaristica (Du Cange et al., Glossarium mediae et infimae latinitatis, éd. augm., Niort, L. Favre, 1883‑1887, t. 8, col. 010a, consultato in rete).
In latino circolava, inoltre, il sostantivo neutro tăbŭlīnum, presente principalmente, ma non solo, nei testi di Varrone e Plinio, usato con il significato di ‘balcone, terrazza’ e anche ‘archivio’ o ‘galleria di quadri’ (quest’ultimo significato in Apuleio). Da tăbŭlīnum deriva il sostantivo tavolino, attestato già a partire dal Cinquecento in testi area toscana, ossia in uno dei Ragionamenti di Aretino (1534) e nelle Vite di Vasari (pubblicato nel 1550 e poi con modifiche e aggiunte nel 1568) con il significato di ‘tavolo di piccole dimensioni usato per fini diversi, in particolare scrivania per leggere o scrivere, come appoggio per i lavori femminili o per servire bevande o cibi, per lo più nei locali di pubblico ristoro’ (GDLI):
Aveano apparecchiato un tavolino in su le grazie, e postovi suso una tovaglia, che parea di damasco bianco. (Pietro Aretino, Ragionamento della Nanna e dell’Antonia, in Antonino Foschini, L’Aretino, Milano, Corbaccio, 1951, p. 181)
Finì, non è molto col disegno del Vasari un tavolino, che è cosa rara. (Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, a cura di una Società di amatori delle Arti belle, vol. XIII, Firenze, Le Monnier, 1857, p. 179)
Arriviamo così alle prime occorrenze di tavolo. Nel corpus dell’italiano delle origini abbiamo un’attestazione all’interno della versione veneziana del Tristano (Tristano corsiniano, fine del XIV secolo) con il significato di ‘mensa’. Poco più avanti, però, compare, con la stessa accezione il femminile tavola:
Così siede a tavolo miser Tristan, e mança con li suo’ compagnon; ma molto è de diverso pensiero tropo plu ch’el non era stado. E quando elli àveno mançado tuti insieme a lor volere, elli se levono da tavola. (Roberto Tagliani, Il Tristano Corsiniano, Edizione critica, Roma, Scienze e Lettere Editore, 2011, pp. 67-185, p. 143)
Un’altra attestazione ci dimostra che tavolo circolasse nei testi antichi: nella Leggenda di Santa Caterina da Siena del XV secolo, la cui veste linguistica è centro-settentrionale, è stato rilevato un plurale tavoli inteso come ‘gioco delle tavole’ “usatissimo nel Medioevo” (Rodolfo Renier, Una redazione Tosco-Veneto-Lombarda della leggenda versificata di Santa Caterina d’Alessandria, in “Studj di filologia romanza”, VII (1899), pp. 1-85, p. 82). Si tratta di casi isolati (entrambi di area settentrionale), ma che senz’altro possono farci pensare a una circolazione di tavolo ben più antica di quella riportata dai dizionari contemporanei i quali, probabilmente, si sono basati anche sul fatto che dalla I alla IV edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (e poi anche nel Tommaseo-Bellini) non viene mai registrata la voce tavolo.
Dunque, considerando che il maschile/neutro tabulus/tabulum è stato rilevato all’interno di testi medievali di area settentrionale, e che il sostantivo maschile tavolo è presente in due testi volgari delle origini la cui veste linguistica è rispettivamente veneziana e tosco-veneto-lombarda, possiamo ricondurre l’origine del sostantivo tavolo all’area settentrionale, confermando l’ipotesi del DELI che registra tavolo come derivato dal milanese tavol o dal veneziano tavolo (nonostante questa derivazione sia fatta risalire soltanto al XIX secolo). Inoltre può aver influito, nella diffusione in italiano, la presenza in testi toscani del Cinquecento, del sostantivo tavolino (derivato dal latino tăbŭlīnum o formato come diminutivo di tavola con cambio di genere) da cui tavolo potrebbe derivare come possibile retroformazione. Le due ipotesi non si escludono a vicenda e anzi, entrambe possono aver contribuito alla diffusione del termine tavolo.
Per rispondere agli altri quesiti giunti in Accademia, arriviamo alla situazione a noi contemporanea: dove e quanto usare tavola e tavolo? Si dice gioco da tavola o gioco da tavola?
Anzitutto un lettore ci chiede perché i verbi apparecchiare e sparecchiare selezionino tavola anziché tavolo se ciò che si apparecchia e si sparecchia è il mobile e non il desco. Quest’affermazione può essere facilmente aggirata: si imbandisce, cioè si predispone, si addobba, si prepara e quindi si apparecchia una tavola, intendendo, in sostanza, tutto quello che c’è sopra la tovaglia. Così come si disfa, si smantella ossia si sparecchia una tavola già imbandita. Nell’italiano contemporaneo, però, sempre più spesso troviamo sparecchiare ma soprattutto apparecchiare che hanno come complemento oggetto tavolo anziché tavola. Si tratta per lo più di esempi in cui ci si può riferire al mobile (come nella frase apparecchiare un tavolo rettangolare) o in attestazioni, soprattutto giornalistiche, in cui tavolo ha significati metaforici e si riferisce, nella maggior parte dei casi, al ‘confronto’ o comunque al mondo politico; apparecchiare un tavolo indica ‘instaurare un confronto’:
È un tavolo già apparecchiato quello che rischiano di trovarsi davanti i sindacati il 22 marzo, giorno indicato dal governo per iniziare a parlare di pensioni (oltre che di pubblico impiego e welfare). [...] Che il governo avrebbe tentato di mettere sul tavolo l’aggiornamento dei coefficienti era risaputo. Che i sindacati avrebbero alzato un muro, anche. Ad apparecchiare il tavolo con un po’ troppo anticipo, secondo i sindacati, è stato ieri mattina Giovanni Battafarano, capo della segreteria tecnica del ministro del Lavoro, Damiano, che dalla trasmissione RaiUtile ha detto chiaro e tondo che il governo andrà avanti [...]. (Barbara Ardù, Pensioni, scontro sui coefficienti del ministero: vanno aggiornati, repubblica.it, 15/3/2007)
Tutto il personale esterno che ieri sera ha frequentato il salone delle feste della Prefettura per apparecchiare il tavolo dei due primi ministri o per assistere alla conferenza stampa, è stato controllato e autorizzato con uno speciale permesso. (Bruno Persano, Sicurezza, è di nuovo G8, repubblica.it, 2/11/2011)
Di seguito si propone una tabella che riassume il confronto delle occorrenze delle locuzioni più diffuse con i due termini, poste tra virgolette nelle pagine in italiano di Google (ricerca del 15/3/2022):
Anzitutto, come vediamo, tutte le locuzioni che pertengono all’ambito eno-gastronomico (burro, olive, vino e anche sale che, per comodità non abbiamo inserito nella tabella) selezionano e preferiscono, coerentemente con quanto registrano i dizionari, il sostantivo al femminile tavola proprio perché si riferiscono a prodotti proposti durante un pasto, e quindi sulla mensa. Per quanto riguarda il corredo da tavola cioè l’insieme di quegli accessori che servono per comporre un desco prima della consumazione del pasto (come tovaglie, tovaglioli, posate e decorazioni) ci troviamo davanti a una situazione ambigua: i dizionari registrano come corrette le locuzioni che selezionano tavola (biancheria da tavola, servizio da tavola, coltello da tavola) ma effettivamente il numero di occorrenze su Google delle locuzioni con tavolo è abbastanza rilevante, tanto che quelle di coltello da tavolo superano, seppur di poco, quelle di coltello da tavola. Per di più nel Dizionario dei sinonimi e contrari della Treccani (versione online), alla voce tovagliolo, il cui inserimento risale al 2003, troviamo biancheria da tavolo e non da tavola. Quella di selezionare tavolo è una tendenza che si sta sempre di più diffondendo e che effettivamente fa riferimento al quesito del nostro lettore che ci chiedeva se fosse più giusto dire apparecchiare il tavolo piuttosto che apparecchiare la tavola. Per quanto riguarda centrotavola, il numero delle occorrenze conferma che è diffusa la forma con tavola nonostante il sostantivo sia maschile, in quanto la testa è maschile (il centrotavola). Per un oggetto come lampada, invece, usato sul mobile (come una scrivania) anziché sulla mensa, si preferisce, coerentemente con i significati dei termini in questione, tavolo anziché tavola.
Al ristorante la situazione sembrerebbe essere diversa: il servizio del cameriere è al tavolo e non alla tavola, nonostante si tratti di una mensa, di un desco imbandito; così come si prenota un tavolo e non una tavola al ristorante. In questi casi ci troviamo davanti a una visione pratica, di mercato e di commercio: il ristoratore vede i singoli tavoli (mobili) come posti da assegnare al cliente ossia la funzione pratica, anche relativa alla distribuzione all’interno del locale, prevale sul punto di vista del cliente che vede e usa, invece, la mensa imbandita.
Parliamo ora dell’ambito dei giochi. Come abbiamo detto, in latino sia tabula che mensa potevano indicare il ‘tavolo da gioco’. Con il prevalere dell’“accezione sacrale” attribuita a mensa (dei sacrifici e poi eucaristica), probabilmente, ma non ne abbiamo la certezza, il significato in questione è stato attribuito soltanto a tabula. Inoltre la maggior parte delle locuzioni che si riferiscono all’ambito dei giochi preferisce il sostantivo al maschile piuttosto che al femminile: questo viene giustificato dal fatto che, di solito, si giocava sul mobile e non sulla mensa imbandita. Effettivamente, controllando la tabella soprastante, gioco da tavolo risulta avere più occorrenze di gioco da tavola, sebbene quest’ultima variante non sia poco diffusa contando ben 301.000 attestazioni. Vediamo ora la seguente tabella che conta sempre le occorrenze nelle pagine in italiano di Google (ricerca del 15/3/2022, contesti tra virgolette):
Nell’ambito dei giochi, sia che si faccia riferimento a quelli d’azzardo (che prevedono lo stare attorno a un mobile, come le carte, i dadi, la roulette), sia che ci si riferisca a quelli più dinamici come il biliardo o addirittura il ping-pong, si seleziona e si preferisce il sostantivo al maschile, ma non si esclude del tutto il femminile tavola. Effettivamente l’uso del termine che indica il mobile (tavolo, appunto) risulta essere più corretto rispetto al corrispettivo tavola ma nel caso di tavola e tavolo da gioco sembrerebbe che le due locuzioni indichino due oggetti differenti: le immagini di Google selezionano, nel caso di tavola da gioco, una serie di giochi (come quello dell’oca, per intenderci) costituiti da un cartone che funge da base e che “imbandisce” il mobile. Il tavolo da gioco, invece, indica più comunemente il tavolo verde delle scommesse, del poker, della roulette.
I due modi di dire, nell’ultima parte della tabella, invece, preferiscono di gran lunga il sostantivo al femminile (il maschile tavolo ha scarsissime occorrenze). La cosa risulta singolare perché entrambi partono dall’ambito dei giochi (così come altri modi di dire affini: basti pensare a a carte scoperte e a far carte false). I modi di dire, i proverbi e le frasi fisse spesso forniscono informazioni preziose circa l’evoluzione morfologica o semantica di una parola perché “fissano” ossia “cristallizzano” come fossili alcune parole all’interno di una catena sintattica difficile da mutare nel tempo. La locuzione cambiare le carte in tavola è attestata per la prima volta nel 1923 (DELI) mentre già dal Cinquecento era diffusa la variante cambiare le carte in mano ‘esprimersi o agire in modo intenzionalmente ingannevole’ (attestazioni in Salviati e Galilei). Anche metter le carte in tavola ‘parlar chiaro’ risulta avere attestazioni relativamente recenti (1856 nel Tommaseo-Bellini: carte in tavola!; 1875 nel Rigutini-Fanfani) dandoci l’impressione che fino al XX secolo si preferisse il sostantivo al femminile per indicare il mobile su cui si giocava comunemente a carte.
Infine, senza pretendere di esaurire tutte le possibili locuzioni con cui usare tavola e tavolo, passiamo all’ambito politico. Anche qui, come per i giochi, si preferisce tavolo piuttosto che tavola. Tavolo delle trattive, tavolo di confronto, giudice di tavolo sono solo alcuni degli esempi in cui tavolo, coerentemente con il significato registrato dai maggiori dizionari di ‘confronto’ (per lo più politico), è nettamente preferito a tavola.
Per concludere, possiamo dire che l’enigma di tavola e tavolo non risulta del tutto risolto: servirebbero ulteriori attestazioni nei testi medievali di tabulus/tabulum e poi di tavolo per avere una maggiore certezza della circolazione nei volgari delle origini, oltre che del femminile tavola, anche del maschile, documentato in italiano più tardi. Bisognerebbe inoltre studiare in diacronia le forme fisse che presentano i due nomi per capire come e quando al sostantivo tavola si sia associato il solo significato di ‘mensa’, “lasciando” a tavolo quello di ‘mobile’.
Miriam Di Carlo
22 luglio 2022
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