O.G., da Palermo, ci manifesta dubbi sull'espressione "Mi raccomando attenzione!" dichiarandosi convinta che sarebbe invece corretto dire "Vi raccomando attenzione!", ovvero "raccomando a voi di prestare attenzione"; M.C., dalla provincia di Caserta, ci chiede se sia possibile in italiano "Mi raccomando a chi di dovere il compito di intervenire..."; analoghe perplessità sull'uso di raccomandare sono espresse da molti altri utenti.
Mi raccomando o ti raccomando?
Cominciamo col dire che il verbo raccomandare ha, come spesso accade, varie accezioni. Quelle principali, secondo lo ZINGARELLI 2014, sono tre: ‘affidare alla protezione e alle cure altrui persone o cose molto care’ (Devo partire, ti raccomando mio figlio); ‘indicare qualcuno o qualcosa all’attenzione altrui perché venga favorito, agevolato’ (Andrea ha ottenuto quel lavoro perché è stato raccomandato; Vi raccomando una pizzeria buonissima); ‘consigliare con insistenza cercando di esortare qualcuno o di inculcare qualcosa’ (Le raccomandò la massima discrezione).
Il dubbio in questione riguarda specificamente il terzo significato, ovvero quello di richiesta, consiglio, esortazione. All’interno di questa accezione possiamo distinguere tra due usi diversi: uno che denota un registro più formale (Vi raccomando di essere puntuali) e uno decisamente più colloquiale (Mi raccomando, chiudi a chiave la porta!).
Nel primo caso la norma prevede di accompagnare il verbo con la persona a cui l’esortazione è rivolta : Le (= a lei) raccomando di prestare attenzione; Raccomando a tutti la corretta compilazione del questionario. Per il secondo uso, tutti i più importanti dizionari prevedono l’utilizzo della forma pronominale del verbo, ovvero raccomandarsi, al fine di rafforzare l’espressione e renderla più efficace, di esprimere una richiesta pressante, un’implorazione, se non addirittura un vero e proprio ordine (Mi raccomando, ricordati quello che ti ho detto!). In questo caso, con l’intento di esprimere una maggiore intensità e partecipazione del soggetto, viene recuperata la prima accezione del verbo tra quelle indicate più sopra: quella di affidare, porre fiducia. Mi raccomando, non arrivare tardi! equivale a dire: “raccomando me stesso a te (mi metto nelle tue mani, ti do fiducia), non arrivare tardi!”.
La persona a cui l’espressione è rivolta viene qui evidentemente sottesa, anche se in passato non era affatto raro incorrere in esortazioni quali mi ti/vi raccomando: ne troviamo un esempio nel XIV secolo con le Trecentonovelle di Sacchetti (“Io mi vi raccomando per l’amore di Dio, che voi mi ascoltiate, e non mi fate male”) o nel cinquecentesco Orlandino di Pietro Aretino (“disse farneticando el Re Carlone / nipote mio io mi ti raccomando / armati presto”).
Ad oggi mi raccomando risulta essere consolidato nell’uso. Considerata la sua colloquialità, non sono molte le occorrenze negli archivi dei quotidiani (“Corriere della Sera” e “Repubblica”), mentre appaiono più significativi i risultati dei corpora di parlato trasmesso, nei quali il confronto tra mi e ti raccomando riporta una schiacciante predominanza del primo: 13 a 0 nel LIR (Lessico Italiano Radiofonico), 48 contro 0 nel LIT (Lessico Italiano Televisivo). Dati analoghi si possono trarre dall’interrogazione del LIP (Lessico di frequenza dell’Italiano Parlato), che riporta 25 occorrenze per mi raccomando e soltanto una per ti raccomando. A conferma di questa tendenza, infine, anche il web, che restituisce (tramite il motore di ricerca Google, dati del 13/01/2015) 235.000 pagine per ti/vi e oltre un milione per la forma pronominale.
Possiamo quindi concludere che l’uso di mi raccomando è senz’altro corretto, a patto che sia utilizzato in contesti adeguati, dato che, come abbiamo visto, la particolare intensità che lo connota lo rende meno idoneo a un registro formale.
A cura di Irene Pompeo
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
23 gennaio 2015
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