Mi sposo o sposo?

S. P. da Roma, N. L. da Firenze e R. D. da Palermo ci chiedono se sia corretto l’uso del verbo sposare in frasi come “Mio figlio sposa”. Approfondiamo qui quanto già riportato nella scheda Verbi difficili.

Risposta

Il verbo sposare nella costruzione transitiva è seguito dal complemento oggetto e assume i seguenti significati principali, che riportiamo dal GRADIT:

1 v.tr., prendere una donna per moglie o un uomo per marito attraverso la celebrazione del matrimonio: s. uno straniero, un'ereditiera
2 v.tr., unire in matrimonio: li ha sposati il vescovo
3 v.tr., dare in matrimonio: i genitori l'hanno sposata con un bravo ragazzo
4 v.tr., fig., unire, accoppiare, mescolare: s. l'acqua al vino, s. l'utile al dilettevole
5 v.tr., fig., abbracciare, sostenere un'idea, fare propria una causa politica o sociale: s. l'ideale della libertà
6 v.tr. + tecn., di un corpo, aderire, combaciare perfettamente con un altro, assumendone le forme e i contorni

Se invece il complemento oggetto non è presente, il verbo può assumere la forma pronominale sposarsi, del tipo Mario si sposa, oppure è possibile il costrutto con la preposizione nel significato di ‘contrarre matrimonio con qualcuno’, come in Paolo si è sposato con una tedesca (cfr. Sabatini-Coletti 2008). Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (Il salvaitaliano, pp. 208-209) invitano a fare attenzione nell’uso del verbo che, in quanto verbo transitivo,

richiede un’anima gemella che faccia da complemento oggetto. [...] Quando il complemento oggetto manca, bisogna usare la forma sposarsi: Marco si è sposato, Giulia si è sposata

Ma, come segnalato dai nostri utenti, è attestata anche la costruzione assoluta del verbo (es.: Valeria sposerà presto), che viene riportata da molti dizionari come GDLI, De Felice-Duro, GRADIT, GARZANTI 2007, Vocabolario Treccani, ZINGARELLI 2012 e 2013. Benché in quasi tutti i casi l’uso di sposare venga marcato come regionale, in particolare della varietà toscana, GDLI e De Felice-Duro considerano standard l’uso assoluto del verbo: secondo GDLI il pronome atono sembra non essere obbligatorio ("Intransitivo anche con la particella pronominale"). Allo stesso modo, Luca Serianni fa rientrare sposare/sposarsi nel gruppo di verbi in cui l’uso del clitico è facoltativo:

ma la sua presenza può comportare una diversa costruzione e una differente sfumatura di significato [...]. "la contrariava il fatto che Bube parlasse di sposare" (Cassola, La ragazza di Bube, 36), "non vedo come una signorina per bene possa cambiar vita se non sposandosi" (Moravia, Gli indifferenti, 85) (Grammatica italiana, XI, 26, p. 389).

Il De Felice-Duro attribuisce all’uso assoluto di sposare un significato specifico: il riferimento, infatti, è soprattutto all’atto e alla cerimonia del matrimonio. Così, anche Franco Fochi, in un articolo di "Lingua Nostra" del 1950 (vol. XI, p. 23), giustifica la coesistenza delle due costruzioni sul piano semantico: sposare sembrerebbe riferito per lo più al luogo o al tempo della cerimonia (ha sposato in Duomo; abbiamo sposato un mese fa), sposarsi tenderebbe a significare l’inizio di uno stato (mi sono sposato dieci anni fa).
Ma da quando è attestato il verbo sposare in uso assoluto nel significato di sposarsi? In italiano antico non se ne riscontrano occorrenze (cfr. corpus TLIO): troviamo, infatti, esempi con il verbo transitivo, del tipo "Come Arcita sposò Emilia" (Boccaccio, Teseida), "a grande onore la sposò a Napoli" (Giovanni Villani, Cronica), con il significato di ‘promettere solennemente di dare in moglie o in marito’ (cfr. GDLI), come in "ed ei alla fine la sposò ad uno grande e nobile barone" (Cavalca, Vita di Santa Domitilla). Con valore assoluto il verbo è presente solo nella forma con la particella pronominale si: "Pietro lietissimo, e l’Agnolella più, quivi si sposarono" (Boccaccio, Decameron). L’estraneità all’italiano antico di sposare senza pronome clitico è sottolineata anche da Euclide Milano ne L’idioma d’Italia:

Già il Boccaccio e Santa Caterina da Siena ed altri scrittori dei primi secoli scrivono sposarsi [...]: perciò il dire soltanto, come oggi fan tanti, sposare, in modo così assoluto quasi fosse un verbo intransitivo, ci sembra men logico e meno chiaro. Siccome però in tale forma è ormai dell’uso, e lo troviamo anche in scrittori moderni di primo piano – per esempio in quella novella di Pirandello, intitolata Il viaggio, ove si parla d’un uomo che «aveva fatto sposando, un grave torto al fratello maggiore» – non osiamo insistere, e ci rassegneremo a poco a poco, per amore o per forza, a vedere il verbo sposare usato così (L’Idioma d’Italia, 1948, pp. 85-86).

Quest’uso, che probabilmente si sviluppa a partire dalla costruzione transitiva del verbo, è attestato dalla fine del XVI secolo e compare per la prima volta in una commedia teatrale di Pasqualigo (1581): "Il che non so certo, avendo io inteso che sponsano lunedì" (cfr. GDLI), ma non sembra avere molta diffusione. Dalla consultazione della LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli), infatti, risulta che sposare senza pronome clitico viene utilizzato in particolare tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima parte del Novecento e, come nota Euclide Milano, è presente soprattutto in Pirandello: "intanto non sposano mai" (Giacosa, Tristi amori), "Che credevi sposando?" (Capuana, Il Marchese di Roccaverdina), "Così fecero e sposarono" (Pirandello, La giara), "Sposando, egli aveva nascosto alla madre che Silvia fosse una letterata" (Pirandello, Suo marito), "Quando un figliuolo o una figliuola sposano, si debbano lasciare a se stessi" (Pirandello, Così è se vi pare).
Il costrutto viene segnalato dalla lessicografia non prima dell’Ottocento: nelle quattro edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612, 1623, 1691, 1728-1739) infatti non ne troviamo traccia, mentre ne dà testimonianza il Novo Vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze di Giorgini-Broglio (1870-1897), che riporta il seguente esempio: Que’ due sposano fra pochi giorni. Allo stesso modo, il Vocabolario italiano della lingua parlata di Rigutini-Fanfani (1893): "intr. Hanno fatto la scritta; e sposano tra otto giorni" e il Vocabolario della lingua italiana di Volpi (1941), con lo stesso esempio. Nessun accenno in altre opere lessicografiche dell’Ottocento come quelle di Gherardini, Fanfani, Manuzzi, Tommaseo-Bellini e Petrocchi. Il Panzini nel Dizionario moderno (1927) ne attesta l’uso a Roma; leggiamo infatti s.v. sposare: «Per sposarsi. “Il tale sposa” (Roma)». Si tratta dunque di un uso parlato del toscano che poi deve essersi esteso ad altre aree della penisola.


La connotazione regionale attestata nella lessicografia trova conferma nell’ALI, Atlante Linguistico Italiano (volume VIII, carta 795): l’uso di sposa per si sposa e di sposano per si sposano è della Toscana meridionale, ma sono presenti alcune occorrenze anche in area occidentale. Infatti, il Vocabolario Pisano di Malagoli (1972) s.v. sposare: "usato senza particella pronominale: Quando sposi? Quando ti sposi? - Sposo giovedì. Mi sposo giovedì". Anche dall’ALT, Atlante Lessicale Toscano, emerge la diffusione di sposare in uso assoluto nella parte meridionale della Toscana: ad Alberese (provincia di Grosseto, punto ALT 206) un informatore anziano fornisce in nota alla dom. 348 ‘scapolo’ la sequenza È restato da sposare, glossando la frase come veneta (ad Alberese, infatti, nella prima parte del Novecento si stabilì una colonia veneta). Per la Maremma il dato è confermato dal Vocabolario Maremmano di Barberini (1994), s.v. sposare: "[...] unirsi in matrimonio: Sposo domani, mi sposo domani".
In conclusione, per rispondere al dubbio dei nostri utenti: alcuni strumenti normativi e descrittivi dell’italiano consentono l’uso facoltativo del pronome atono e dunque sposare con valore assoluto non è da considerarsi forma errata. D’altra parte, come sottolineano molti dizionari sincronici, è percepito come regionale: lo standard è rappresentato, infatti, dall’uso di sposare transitivo seguito dal complemento diretto e di sposarsi in assenza dell’oggetto e nella costruzione preposizionale. Solo il contesto, dunque, permette di scegliere quale dei due costrutti utilizzare.


Per approfondimenti:

  • V. Della Valle, G. Patota, Il salvaitaliano, Milano, Sperling & Kupfer, 2000.
  • F. Fochi, Sul genere di alcuni verbi, in “Lingua Nostra”, XI, 1950, p. 23.
  • E. Milano, L’idioma d’Italia. Note e appunti, Torino, Società Editrice Internazionale, 1948.
  • L. Serianni, Il verbo, in Grammatica Italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 1989, pp. 379-486.
     

A cura di Francesca Cialdini
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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14 giugno 2013


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