Alcune lettrici e alcuni lettori, distribuite e distribuiti variamente nello spazio linguistico italiano – Luca S. (Roma), Giacomo G. (San Biagio, Frosinone), Simona C. (Camposampiero, Padova), Alessandro P. (Treviolo, Bergamo), Flora T. (Bisceglie, Barletta-Andria-Trani), Daniela Paola M. (Calcio, Bergamo), Chiara P. (Torino), Antonella M. (Solesino, Padova), Claudia R. (Cesenatico, Forlì-Cesena), Roberta D’A. (Musile di Piave, Venezia) –, chiedono se mordere e morsicare siano davvero sinonimi e se si debba dire/scrivere morso o morsicato, ed eventualmente in quali contesti.
Domande tutte interessanti per la cui risposta è opportuno, innanzi tutto, rinviare (§ 1. e 1.1.a, 1.1.b) a due forme verbali del latino – mordēre e morsicāre – delle quali si ricostruirà (§ 2.) a grandi linee l’origine (con riscontri importanti in lingue diverse del quadro indeuropeo); quindi, dei due singoli verbi italiani – mordere e morsicare –, si indicheranno (§§ 3. e 3.1, 3.2.), oltre che attestazioni d’ordine storico-linguistico, i principali usi nell’italiano moderno e contemporaneo. Sulla base di tali dati si darà (§ 4.) una risposta, (auspicabilmente e sufficientemente) motivata, ai dubbi esposti da cortesi lettrici e lettori.
1. I verbi italiani mordere e morsicare continuano due forme verbali latine – rispettivamente mordēre e morsicāre – attestate, in contesti e in tempi diversi, nel grande fiume della latinità linguistica.
La ricostruita forma *mordĕre (con ĕ breve, supposta oltre che dall’italiano mordere anche da altre lingue e varietà romanze: logudorese mórdere, engadinese mórder, fr. mordre, catalano/spagnolo/portoghese mórder), è rifatta per analogia con tondĕre ‘tosare, rasare’ e spernĕre ‘rifiutare, disprezzare’.
1.1.a. Quale verbo transitivo della seconda coniugazione, lat. mordeō (momordī [ma anche, più raramente, morsī], morsum, mordēre) ricorre, a partire dall’età classica, in varie accezioni:
1.1.b. Quale verbo transitivo della prima coniugazione, morsicō (morsicō, morsicāre – probabile retroformazione su *morsa ‘morso’ < morsus part.pass. < mordeō) – più rare ne sono le varianti mordicō / morditō –, risulta attestato dalla tarda latinità quale intensivo di mordeō (Apuleio, Met. 2,10: morsicantibus oculis ‘con occhiate assassine’): il suo valore iniziale, in quanto intensivo, era ‘morsicchiare’ e poi ha via via assunto il valore generico di ‘mordere’.
La variante mordicō è attestata nella latinità tarda da Celio Aureliano (sec. V) come termine medico (Celio Aur., De morbis acutis et chronicis, 2: est acerrimae atque mordicantis qualitatis ‘è di qualità assai aspra e mordente’), ed è rifatta per analogia con vellicō, -āre ‘pizzicare, stimolare, tormentare’, intensivo di vellĕre ‘strappare’.
In ambito italo-romanzo, il lat. morsicāre continua nel veronese-trentino mozegár, logudorese mossigáre, friulano smorseá; e, al di fuori dell’area italo-romanza, nel catalano e provenzale mossegár e nel romeno mușcă nel valore generico di ‘morsicare’.
2. Quanto all’origine dei lat. mordēre e morsicāre, va detto che nel macro-spazio indeuropeo non esiste una radice comune indicante la nozione di ‘mordere’: comunque, da una radice i.e. *(s)merd- / *(s)mord- – attraverso una forma *(s)mord-éjō (ricostruibile per il tramite del confronto con scr. mard-aya-ti (sanscrito vedico mrad-aya-ti ‘stritolare/macinare’) e avestico marěd- ‘annientare, sterminare’ –, si ha l’esito di lat. mordēre.
La medesima radice *(s)merd- / *(s)mord- ricorre per altro anche nel gr. σμερδνός / smerdnós ‘impressionante, spaventoso’, σμερδαλέος / smerdaléos ‘logorante, estenuante’, ἀμέρδειν / amérdein ‘ingannare/affascinare/incantare’ > ‘derubare, rapinare’; in anglosassone smeort-an, nederlandese smarten ‘dolori’, antico alto tedesco. schmerz-an, tedesco schmerz-en (tr. e intr.) ‘dolere, fare male [a qlcu.]’; in inglese smart ‘mordente, pungente’ > ‘mordace’ > ‘spiritoso’; e anche, da una forma i.e. *smer[u]dā > lat. merda ‘sudiciume, immondizia; escremento’.
Il valore primario della radice i.e. *(s)merd- / *(s)mord- era ‘puzzare, avere cattivo odore’: tale valore appare ben conservato in ambiente balto-slavo: cfr. antico slavo smaradъ ‘puzzo, cattivo odore’ > ‘sudiciume, sporcizia’, lituano smardas, lett. smòrds ‘cattivo odore, puzzo’, lituano smierdëti, lettone smìrsti ‘puzzare’, antico bulgaro smrŭděti ‘puzzare’, russo smerdet’ ‘puzzare’. Quindi, muovendo dalla nozione di ‘colpire il senso dell’odorato (e poi, per traslato, i sensi in generale)’, si spiegano i successivi semantismi di ‘colpire’ > ‘soffrire/fare soffrire’ e di ‘impressionare’ > ‘affascinare’.
3. Vediamo ora qualche attestazione relativa ai diversi semantismi dell’it. mordere.
3.1. In italiano i valori semantici di mordere (verbo bivalente transitivo) sono molteplici:
Il verbo mordere ricorre anche in numerose locuzioni: dare da mordere ‘fornire materiale per pettegolezzi’; mordere come la pecora e non come il cane: ‘satireggiare in modo gentile, non offensivo’; mordere la terra, la polvere, il fango, il suolo ‘soccombere in un combattimento (anche in modo disonorevole)’; mordersi la lingua, le dita, le labbra, le mani, le unghie ‘per esprimere disagio, scontento, irritazione, inquietudine’.
3.2. Il verbo morsicare (verbo bivalente transitivo; in italiano antico ne ricorrono anche le varianti morcecare / morsecare; in romanesco antico è attestato anche moccecare; in romano, oggi, è diffuso anche mozzicare, probabile incrocio tra mozzare e morsicare) deriva – quale voce di area settentrionale e sarda – da un lat. volg. tardo morsicāre ‘morsicchiare’ a sua volta derivato da morsus, part. pass. di mordēre. Quale verbo transitivo, molteplici i suoi valori semantici:
Numerose le locuzioni con morsicare: morsicare sul duro ‘incontrare resistenza, ostilità’: “Il povero aggiunto ha morsicato sul duro […] La ragazza gli ha dato sulla grinta un bel ‘no’ secco e spietato!” (Antonio Ghislanzoni, Un suicidio a fior d’acqua, Milano, Sonzogno, 1888, p. 82); morsicarsi il dito, come vezzo di persona, che accompagna una riflessione: “Tirandosi i mostacchi e morsicandosi il dito, non tralasciò di pensare al modo per farne memorabil vendetta” (Galeazzo Gualdo Priorato, Istoria universale, Genova, Giacomo Chovetto, 1642, p. 134); morsicarsi le dita, la lingua, le mani, per indicare rabbia, dispetto, delusione: “Maestro Antoni però si morsicò la lingua, come faceva ogni volta che si sorprendeva a giudicare temerariamente il prossimo” (Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto [1916], in Romanzi e novelle, vol. II, p. 522); morsicarsi le labbra, come manifestazione di disappunto, dispetto, tensione: “Il vecchio impenitente si morsicò le labbra e si rivolse al figliuolo con un visaccio sì brutto ch’egli corse a rifugiarsi col capo sotto il grembiale materno” (Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano, a cura di Sergio Romagnoli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952 [18671], p. 14).
4. I due verbi mordere e morsicare sono davvero sinonimi? E si deve dire/scrivere ho morso o ho morsicato? Ovviamente, come avviene normalmente nelle dinamiche linguistiche, è l’uso che “detta legge”… A proposito dei due quesiti, stante anche l’esame di attestazioni delle forme mordere e morsicare registrate nel corpus di Google libri (ItTenTen20 su sketchengine.eu), emerge che esse ricorrono spesso con accezioni simili, dipendenti dalla nozione latamente primaria di ‘addentare, stringere tra i denti’ (da parte di umani o di animali/insetti) e dai successivi usi figurati di tale nozione.
Di seguito, tra i tanti exempla disponibili, ne riporto alcuni, a mio vedere interessanti e distribuiti lungo un arco diacronico che va dal sec. XIX ad oggi:
per mordere:
mordere davvero i vitelli disubbidienti, se no non hanno nessun timore di lui. Quando spinge la vacca, le deve mordere le gambe posteriori, non mai la coda o i fianchi […]. (Alfred Edmund Brehm, La vita degli animali. Descrizione generale del regno animale, Torino-Napoli, Unione tipografico-editrice torinese, 1872, vol. I, p. 441);
“È una brezzettina che morde il viso”; “Che vuoi? mi tocca a mordere il freno […]”. (Giuseppe Rigutini, Pietro Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, Firenze, Tip. Cenniniana, 1875, p. 998);
mordere (figur.): ferire con parole mordaci: avventare saette, balestrare, dare una zaffata, impepare, lacerare, pungere, pinzare, rosecchiare, risaettare, trafiggere.(Palmiro Premoli, Il vocabolario nomenclatore, Bologna, Zanichelli, 1989, vol. II, p. 643);
[...] mordere di contro al veneto morsicare. Ma non si tratta, neppure in questo caso, di una reale contrapposizione come dimostra la consultazione della carta 1109 (“Morde?”) dell’AIS.(Giovan Battista Pellegrini, Paola Barbierato, Comparazioni lessicali retoromanze, Venezia, Istituto Veneto di scienze lettere ed arti, 1999, p. 28);
oppure catturano le aspidi e le vipere nel cuore dell’inverno, quando sono meno “atte a mordere”. Ma usano anche un altro inganno che consiste nell’aizzare “i serpi a mordere un pezzo di carne [...] fin che perdono il veleno [...]”. (Piero Gambaccini, I mercanti della salute, Firenze, Le lettere, 2000, p. 59);
per morsicare:
morsicare? Le bestie che non hanno denti non puonno morsicare. In vece con che prendono le cose? Le prendono colla bocca. E allora che fanno, morsicano? Non morsicano, ma abboccano […]. (Ferrante Aporti, Metodo per adoperare fruttuosamente l’abbecedario, Cremona, C. Manini, 1838, p. 88);
Guardati da’ lupi che ti vonno morsicare. Andava morsicando il viso dei morti. Tutto il morsicò con quei dentacci. Egli si era succiato il luogo morsicato dalla vipera. (Antonio Lissoni, Frasologia italiana, Milano, Gaspare Truffi, 1839, p. 111);
Questo canino l’à morsicato. Chi à morsicato tutta questa mela? § Degl’insètti. Le zanzare, le pulci l’ànno morsicato tutto. (Policarpo Petrocchi, Novo dizionario universale della lingua italiana. L-Z, Milano, Fratelli Treves, 1891, p. 289);
[...] mordignà on pomm, morsicare una mela; [...] mordignôn, s.m. = morditore che facilmente morde, morsica. (Francesco Angiolini, Vocabolario milanese-italiano coi segni per la pronuncia, Torino, Paravia, 1897, p. 502);
Attesochè i fratelli Luparia ammisero esplicitamente che un loro cane e nella loro casa morsicò la bambina Caprioglio, che alcuni giorni dopo quel cane si allontanò dalla casa, nè più videro. (“Giurisprudenza italiana”, 50, 1890, p. 239);
[…] morsicare... e morsicare... e morsicare. Gli facevano ancora male la bocca e le mascelle per il trattamento che aveva riservato a Tippete […], ma era un problema che non l’avrebbe dissuaso e neppure rallentato.(Stephen King, Rose Madder [versione italiana di Tullio Dobner], Milano, Sperling & Kupfer, 2014 [s.i.p.]);
“[...] morsicare la gola a quello stronzo?” chiede Barcellona con ammirazione. Accenno di sì, vomitando terribilmente. “Pas mal, mon ami”, si congratula il legionario battendomi sulla spalla. “L’uomo spesso se la cava solo con i denti”. (Sven Hassel, Ultimo assalto [versione italiana s. n.], [s. l.], MHABooks, 2017, [s.i.p.]);
[...] morsicare, perché quei dentini così piccoli possono fare molto male alle sue manine piccole e morbide. Ma non gli viene nessuna idea, finché un giorno è Volpina stessa che gli fa accendere come una lucina nella testa. Morsica la corda [...]. (Antonello Pau, E gira la giostra gira, Romagnano al Monte [SA], Booksprint, 2022, [s.i.p.])
4.1. Tenendo conto delle attestazioni di mordere e morsicare e dei loro diversi usi, pur connessi questi con una sfera semantica all’origine ampiamente coincidente (quella, già ricordata, di ‘stringere tra i denti, addentare’), sembra che, nell’uso attuale dell’italiano medio, esista una qual certa ‘specializzazione’ delle due forme, tale per cui:
Va segnalato poi l’uso assoluto (con omissione dell’argomento/oggetto) di mordere in espressioni del tipo quel cane morde nel senso di ‘quel cane è mordace’, senz’altro più comune della (per altro possibile) parallela espressione quel cane morsica. In ogni modo, l’espressione can che abbaia non morde – senz’altro con morde, quindi e non con morsica – è una frase fatta, proverbiale e tale rimane.
Quanto a morsicare, nel corpus demauriano PTLLIN Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento, è riportato un solo esempio di uso assoluto del verbo in questione. Si tratta della citazione tratta da uno scritto di Dino Buzzati:
Lo addentò a lungo, poi tornò al centro della rete, poi sembrò pentirsi e ricominciò a morsicare. (I reziarii, in Sessanta racconti, Milano-Verona, A. Mondadori, 1958, p. 283)
Tale uso assoluto del verbo è del tutto parallelo a quello di mozzicare, attestato dalla medesima fonte demauriana. L’esempio è tratto dalla prosa di Melania Mazzucco:
E così fece – con stupefacente dolcezza, indugiando, esplorando, succhiando, mozzicando – e lei si dimenticò dell’agenzia e dell’odore di fritto dei fiori marci che invadeva il salone. (Vita, Milano, Rizzoli, 2003, p. 273)
I due verbi mordere e morsicare – “fratelli” o comunque “cugini”… (e a Roma, a quanto pare, entra in gioco anche un “fratellastro”: mozzicare…) – hanno alle spalle quindi, nei loro diversi usi, una lunga storia che li ha portati ad essere parzialmente, oggi, in vivace competizione.
Quanto ai loro usi, sarebbe comunque interessante controllare, sulla base di un campione di parlanti varietà regionali di italiano – diversificati per distribuzione areale, per età, per istruzione e per posizione sociale –, il loro manifestarsi in concreti esiti, prevedibilmente tra di loro posti in “antagonismo” più o meno marcato.
Nota bibliografica:
Emanuele Banfi
31 maggio 2024
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