Niente di che!

Varie domande sono giunte su origine, significato e grafia corretta dell’espressione niente di che.

Risposta

Cominciamo dalla grafia: non bisogna accentare che, perché qui è un pronome relativo e non una congiunzione (che può in certi casi essere accentata). La locuzione è infatti costituita dal pronome indefinito niente, dalla preposizione di e dal pronome relativo che interpretabile anche come indeclinato per di cui. Questo che apre una relativa omessa, sottintesa: “niente di che/di cui occuparsi, preoccuparsi, scusarsi ecc.”: frasi, ben attestate ed esplicitate in passato e invece da qualche tempo omesse, che spiegano il significato comune della locuzione: “di poca importanza, di scarso valore, di non particolare pregio” o, nelle repliche a domande, a scuse, a ringraziamenti, dove assume più o meno lo stesso significato di non c’è di che (di più antica attestazione e probabilmente modellato sul francese “il n’y a pas de quoi”): “non è grave, non è nulla, non è (stato) un disturbo”. Lo si vede bene dalla traduzione di niente di che appunto in francese: “ce n’est pas grave, c’est pas grand chose”. Del resto, niente non ha solo valore negativo, ma anche semplicemente restrittivo, come, caso limite di litote, in questo esempio da G. Dessì, Paese d’ombre 1972: «"Cos'hai, papà?". "Sto bene" lui rispose con un sorriso maligno. "Non è niente; sto morendo"».

Google registra la locuzione niente di che verso la fine del ’900 ma soprattutto nel XXI secolo. Il Corpus CORIS dell’italiano odierno ne riporta, se ho visto bene, 25 attestazioni dalla stampa e dalla narrativa, quasi tutte del dopo Duemila. Nel corpus DiaCORIS ce n’è un caso in uno scritto del 1992 di Fruttero e Lucentini: “Fin qui si può dire: niente di che”. Nel serbatoio dei romanzi del Premio Strega, interrogabile nel Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento curato da Tullio De Mauro, ricorre una sola volta in Non ti muovere di Margaret Mazzantini del 2001: “Una giornata qualunque, figlia mia, davvero niente di che”. Da Google Libri vengono questa attestazione che risale al 1998 nella traduzione di S. Geroldi per Feltrinelli di M. Serrano, Il tempo di Blanca: «“E non hai più scritto”. / “Niente di che. Cioè niente di serio”» e questa da A. Biagi, Mai amato abbastanza, MGE, 2010: «“Tu cosa fai?” Le risposi: “Niente di che, mi sto annoiando”». Nel 2015 è il titolo di una canzone del rapper Coez e il 24/12/2017 si legge su Facebook: «Qualche “brava” inizia ad arrivare. Ma io mi schermisco: “Ma no dai, non è niente di che, è una piccola cosa, non è così importante, son capaci tutti”».

Il significato è dunque inequivocabile e l’uso nel dialogo, come risposta a una domanda o a un’osservazione, pure. È una locuzione del parlato, dove abbondano le frasi ellittiche, e dove le forme della negazione (tipico il no) sono spesso addirittura olofrastiche, contengono cioè una frase che non è esplicitata perché a specchio di quella cui si sta rispondendo. Per l’indefinito e avverbio niente, quello qui in esame non è il solo caso di apertura su una frase sottintesa: si pensi all’espressione come niente, forma espressivamente scarnificata dellafrase, che, per altro, non è rara neppure intera: “come (se) niente (fosse)”.

Come capita a niente, anche la nostra locuzione è spesso preceduta e rafforzata dall’avverbio di negazione prima del verbo essere: “il film non era niente di che”.

È certamente di impiego abbastanza recente, anche se è facile supporre che una perlustrazione più accurata verso testi orali o di forte simulazione dell’orale potrebbe ulteriormente retrodatarla: Google Libri ci offre testimonianze della variante dialettale (romanesca o veneta) gnente de che in testi teatrali risalenti almeno agli anni Ottanta. Talvolta al posto di niente si trova anche nulla, ma questa variante sembra minoritaria, e comunque ancora più recente

L’espressione non è lemmatizzata nell’enorme GDLI né appare nei vari esempi alla voce niente. È invece registrata dal GRADIT nel significato di “che è di scarso valore o di qualità bassa” e con funzione aggettivale o avverbiale. Lo Zingarelli la registra dall’edizione 2003 (edita nel 2002) come sinonimo di di niente e la definisce “formula di cortese risposta a chi ringrazia, si scusa”. Come si vede, le definizioni sono entrambe incomplete: quella del GRADIT omette l’uso (pur ricompreso nella categorizzazione come avverbio) e il significato che ha nelle risposte e quella dello Zingarelli ignora gli altri significati e funzioni ed espone solo quello di risposta.

Insomma, anche per i dizionari, sembra che l’espressione sia proprio… niente di che!

 

Vittorio Coletti

 

18 gennaio 2019


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