La domanda dei lettori riguarda un dilemma che molti di noi si saranno posti: anche per il pesce si può parlare di carne? E in quali contesti si distingue dalla carne (più spesso bovina, suina, ovina, equina o avicola) comunemente intesa, come avviene nell’espressione né carne né pesce?
Nel Regolamento (CE) N.853/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale quella del pesce non è annoverata tra le carni. Infatti, nell’allegato 1 di tale documento, per carne si intende generalmente la parte commestibile degli animali, ma non di tutti. Di seguito a questa definizione, un elenco specifica a quali di questi animali ci si deve riferire quando si parla di carne, quindi gli ungulati domestici (bovini, suini, ovini, caprini e i cosiddetti solipedi domestici, ovvero cavalli e asini), il pollame (compresi i volatili), i lagomorfi (conigli, lepri, roditori), la selvaggina selvatica e quella d’allevamento. Del pesce, dunque, in ciò che si definirebbe carne, non c’è traccia. Nonostante questa premessa, il dubbio dei lettori è lecito, perciò in questa risposta si cercherà di far luce sulla questione, ovviamente sul piano linguistico. Si tratterà, poi, dell’espressione né carne né pesce, molto usata in diversi contesti, per indicare situazioni di incertezza o di incompiutezza.
Cosa dicono i vocabolari
Proprio la prima definizione che il Vocabolario Treccani, nella versione online, fornisce alla voce carne indica quest’ultima come la “parte muscolare del corpo dell’uomo e degli animali”. Fin qui, dunque, potremmo essere tutti d’accordo, se non fosse che alla quarta accezione si specifica che la carne è un “alimento costituito dal tessuto muscolare di varî animali (con esclusione, di regola, della carne del pesce, spesso anzi in contrapp. ad essa), ricco di proteine, di ferro, ecc.”. Con questa definizione concorda il GDLI, secondo cui, alla sedicesima accezione, la carne rappresenta “la parte muscolare di varie specie di animali, esclusi i pesci, che costituisce, per la sua ricchezza di sostanze proteiche, il principale alimento azotato dell’uomo”, per segnalare poi, però, nell’accezione successiva, un uso raro per il quale la carne può essere concepita anche come “parte tenera e commestibile del pesce”. L’uso linguistico, in questo caso, entra in contraddizione con quanto specificato dal Regolamento europeo: l’ultima accezione considerata, infatti, trova conferma anche in altri repertori lessicografici, dove carne è usata anche in riferimento al pesce. Già nel Novo Dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (Milano, Treves, 1902) si parla, ad esempio, del “pesce che à la carne dura”, anche se rimane sempre ben presente la contrapposizione tra i due termini, nell’esempio proposto più avanti (“tu mangi i pesci, io la carne”). Nel De Felice-Duro 1974 il termine carne “può essere riferito anche a pesci e animali a sangue freddo, sempre in quanto commestibili”. In repertori contemporanei come lo Zingarelli 2024, la carne, alla terza accezione, è definita “parte commestibile degli animali, spec. di mammiferi e uccelli, ma anche di pesci, crostacei e molluschi […]”.
La lessicografia, quindi, seppure con alcune riserve o contraddizioni, ci dà in generale il via libera per l’utilizzo del termine carne anche in riferimento al pesce, ma tale questione, come si vedrà più avanti, non è recente, tanto che quest’uso si rintraccia soprattutto in testi specialistici di àmbito culinario o medico-scientifico.
Nei testi medici antichi e moderni
Una possibile prima attestazione di quest’uso specifico risale all’inizio del secolo XIV e si trova nel volgarizzamento fiorentino del primo trattato medievale di medicina scritto in volgare, il Régime du corps del medico Aldobrandino da Siena, a opera di Zucchero Bencivenni, in un esempio segnalato anche nella terza impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) e presente anche a p. 174 dell’edizione pubblicata da Rossella Baldini nel 1998 (Zucchero Bencivenni, «La santà del corpo». Volgarizzamento del «Régime du corps» di Aldobrandino da Siena (a. 1310) nella copia coeva di Lapo di Neri Corsini (Laur. Pl. LXXIII 47), “Studi di Lessicografia italiana”, XV, pp. 21-300):
questi cotali pesci sono | convenevoli a natura d’uomo, p(er)ciò che lla loro charne non è troppo | grassa nè troppo magra, anzi è savo|rosa (e) nodriscie più che charne d’al|tri pesci. (c. 87r)
Nel Corpus OVI troviamo altri esempi antichi relativi all’utilizzo di carne in riferimento al pesce, come quello rintracciato in un testo senese della prima metà del Trecento, Il bestiario del Tesoro toscano nell’edizione di Paolo Squillacioti secondo il ms. Laurenziano Plut. XLII 22 (“Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano”, XII, 2007, pp. 265-353, a p. 281):
Et Aristotile dice che in questo pesce àne molta utilitade, nela sua carne et nelo suo sangue et nelo suo grasso…
Lo stesso in un altro testo scientifico medievale, padovano, datato 1390, El libro Agregà de Serapiom, volgarizzamento di Frater Jacobus Philippus de Padua, nel vol. I dell’edizione curata da Gustav Ineichen (Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1962, p. 457):
La carne de un pesce de mare salò, el qualle se chiama kasam…
Altre testimonianze del genere risalgono a testi scientifici dell’Ottocento, quali, ad esempio, gli Atti e memorie della società medico-fisica fiorentina degli anni 1852-1853 (Firenze, Tipografia di Mariano Cecchi, 1854, p. 208):
La galla precipita poco la soluzione dell’estratto acquoso di carne di pesce, molto quella di pollo, e di bue.
Oppure il Supplemento annuale alla Enciclopedia di chimica scientifica e industriale […], pubblicato a Torino presso l’Unione tipografico-editrice. Nel volume relativo agli anni 1892-93 (uscito nel 1893), in particolare, un intero capitolo è dedicato all’illustrazione delle proprietà della carne del pesce come dimostra l’esempio qui riportato (p. 245):
Del resto la carne di pesce più è fresca più e buona: in qualunque modo conservata, essa scapita in sapidità, e, sotto quest’aspetto, è ben più sensibile di quella di tutti gli altri animali.
Come si è potuto osservare, quindi, è frequente che nei testi medico-scientifici si parli di carne di pesce, anche in senso nutrizionale.
Nei testi di cucina
L’uso di carne di pesce è attestato nei ricettari a partire dal XVIII secolo, come dimostrano gli esempi presenti nel corpus del progetto AtLiTeG (l’Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità, la cui banca dati sarà presto consultabile). Qui di seguito si segnalano alcuni esempi per carne di pesce (con la preposizione semplice):
Si può ancora riempire un cavolo da magro con carne di pesce ed altre guarniture, come se questo fosse una carpa, un luccio o altro pesce che si volesse riempire. (Il cuoco reale e cittadino il quale insegna ad ordinare ogni sorta di vivanda e la miglior maniera di ragù i più alla moda ed i più squisiti, Venezia, Lorenzo Baseggio, 1791, p. 85)
Della stessa maniera si può servire ogni Potaggio all’olio, cambiandole solo il brodo, che dovrà essere fatto con carne di pesce, cipolle, rape, pastinache, sellari e petrosemolo; o pure bianchite e cotte l’erbe in acqua, e poi poste in olio con un senso di aglio, petrosemolo trito, acciughe e semi di finocchi. (Vincenzo Corrado, Il cuoco galante, sesta ed., Napoli, dai torchi di Saverio Giordano, 1820, p. 19)
…aggiungete un po’ di prezzemolo, funghi agretti e triti, pepe, noce moscata e sale e servitevene colla carne di pesce, o di volaglia o di montone. (Giovanni Vialardi, Il piccolo Vialardi. Cucina semplice ed economica per le famiglie, Torino, Roux Frassati e C° editori, 1899, p. 49)
Interessante, inoltre, è la ricetta del prosciutto di pesce, nella quale la “carne di tinche, d’anguille e di salmon fresco” è usata per una preparazione che solitamente si realizza con la carne di suino (lo stesso termine prosciutto è generalmente inteso in riferimento proprio al suino):
Prendete della carne di tinche, d’anguille e di salmon fresco, e de’ latti di carpa, che triterete e pesterete in un mortaro, con sale, pepe, noce moscata e burro. Mescolate bene tutte queste carni insieme e formatene una maniera di prosciutto sopra delle pelli di carpa. Invilupperete il tutto dentro una tela nuova, che cucirete ben stretta, e lo farete cuocere con metà acqua e vino, condito di garofali, alloro e pepe: lasciatelo raffreddare dentro il suo brodo e servitelo con lauro, erbe fine tagliate minutamente e fette di limone. Lo potete ancora tagliare in fette come il vero prosciutto. (Il cuoco reale…, cit., p. 153)
Si faccia attenzione alle parti sottolineate in questo estratto, nelle quale si legge che il preparato ottenuto si può disporre a “una maniera di prosciutto” o “tagliare in fette come il vero prosciutto”: lo stesso autore del ricettario (François Massialot, chef francese vissuto tra Sei e Settecento), quindi, identifica questa preparazione non come il prosciutto generalmente inteso (quindi il “vero prosciutto”, che, come già detto e come del resto è noto, è quello di maiale), ma come una preparazione particolare, non ordinaria.
Altri, per così dire, “affettati” di pesce sono proposti nel primo libro dell’Apicio moderno di Francesco Leonardi (Roma, nella Stamperia de’ Giunchi presso Carlo Mordacchini, 1807, pp. 54-55), quando si parla proprio dei salami di pesce:
Antremè Rifreddo = Prendete la carne di ogni sorta di pesce grosso, i migliori sono il Cefalo di mare, l’Anguilla, il Luccio, lo Scorfano, il Cappone, la Linguattola, o Palaia, la Spigola, l’Ombrina, il Corvo, la Cerna ec. Tagliate in grossi dadi de’ filoni riquadrati di Anguilla, o di Cefalo, onde imitare il grasso de’ salami di maiale; poneteli in infusione dentro una terrina per ventiquattr’ore, con sale, spezie fine, erbe odorifere in polvere, un pochino di vino di Cipro, o di Borgogna bianco, consumato per metà, e freddo, filetti di ottime alici salate. Quindi tritate ben fino la carne di altri pesci, la quantità necessaria, conditela come sopra, e coloritela nella seguente maniera […]. Asciugati, e freddi che saranno li farete sfumare ad una stufa nello stesso modo che le mortadelle, e salami di maiale. Questi salami si servono ordinariamente intieri sopra una salvietta guarniti di petrosemolo verde. Io peraltro preferisco di fare le Mortadelle in luogo de’ Salami, mentre si possano servire in molte, e diverse maniere.
Di nuovo, e in maniera più esplicita, si esprime la consapevolezza che tale tipo di preparazione è solitamente associata al suino, ma che si può realizzare con la “carne di ogni sorta di pesce grosso” (come si specifica di seguito, si veda la parte sottolineata); inoltre, proprio con lo scopo di “imitare il grasso dei salami di maiale”, si suggerisce di tagliare in un certo modo l’anguilla o il cefalo.
Altre attestazioni interessanti si rintracciano anche per carne del pesce, con la preposizione articolata:
…benché sia cosa facilissima il distinguerlo avendo la Caniega una carne molle, e biancastra, ed inoltre una pelle grossa, e tendente al turchino; doveché la carne del pesce spada è soda, consistente, alquanto color di mattone chiaro, con una pelle fina tendente al ceneregnolo. (Apicio moderno di Francesco Leonardi edizione seconda revista, corretta, ed accresciuta dall'autore, Roma, presso Carlo Mordacchini, 1807-1808, t. I, p. 210v)
…unitevi tanto butirro quanto la carne del pesce con una mollica di pane inzuppata nel latte e formate una pastina… (Nuovo cuoco milanese economico… esperimentato e compilato dal cuoco milanese Giovanni Felice Lurasc, terza edizione, Milano, tip. di M. Carrara, 1853, p. 412)
Inoltre, come già visto dagli esempi fin qui esaminati, con carne ci si può riferire non solo al pesce in generale, ma anche a specifici pesci. Ad esempio, in AtLiTeG si trovano attestazioni di carne di capitone, carne di merluzzo, carne di ostrica, carne di luccio, tutte provenienti da ricettari ottocenteschi.
In altri testi
Non sono molte le attestazioni di carne nel senso di ‘pesce’ in altre tipologie di testi oltre a quelli già esaminati. Rispetto a quanto già visto, si rintraccia un altro esempio nel toscano antico collocabile tra il Trecento e il Quattrocento nella Bibbia volgare secondo la rara edizione del I di ottobre MCCCCLXXI, nel IV volume dell’edizione curata da Carlo Negroni (La Bibbia volgare secondo la rara edizione del I di ottobre MCCCCLXXI, Bologna, Romagnoli, 1883, p. 514):
E poi che egli ebbe ciò fatto, egli arrostì la carne di quello pesce, e portaronla con loro per la via…
Un altro esempio, stavolta letterario e ottocentesco, si rintraccia nelle Avventure di Pinocchio (1883) di Carlo Collodi, che si cita nell’edizione pubblicata nel 1981 (Milano, Mondadori):
– Da oggi in poi – disse il compratore inorridito – faccio giuro di non assaggiar più carne di pesce. Mi dispiacerebbe troppo di aprire una triglia o un nasello fritto e di trovargli in corpo una coda di ciuco! (BibIt)
In questo caso, il personaggio ha necessità di specificare che si tratta di carne di pesce in riferimento a quanto accaduto nel capitolo XXXIV, nel quale “Pinocchio gettato in mare, è mangiato dai pesci, e ritorna ad essere un burattino come prima: ma mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile Pesce-cane” (ibid.).
In tempi più recenti si nota un utilizzo più diffuso di carne in riferimento al pesce in testi divulgativi dedicati all’alimentazione o anche al giardinaggio (in relazione, dunque, alle erbe aromatiche da cucina). Ecco alcuni esempi rintracciati tramite il corpus ColiWeb:
L’inosina monofosfato è prodotta per decomposizione dell’AMP (adenosin monofosfato) a sua volta derivato da ATP, sostanza chiave dei processi energetici cellulari, ed è abbondante in alcuni tipi di tonno, nelle sardine e nelle acciughe. Inizia a formarsi alla morte dell’animale e raggiunge la massima concentrazione dopo circa dieci ore, momento in cui la carne del pesce ha maggior sapore. (Maurizio Tommasini, Umami, il quinto gusto, www.mauriziotommasini.it, 5/8/2018)
Come capire se è ancora buono? La carne del pesce bianco deve essere trasparente e lucida, e restare elastica una volta che si effettua una piccola pressione. (Camilla Micheletti, Contro lo spreco: 9 cibi che possiamo mangiare settimane dopo la data di scadenza, www.dissapore.com, 31/5/2014)
[…] l’aneto si utilizza fresco o essiccato per aromatizzare direttamente la carne del pesce in cottura, o per preparare salse con cui condire il pesce una volta cotto. (Aneto - Anethum graveolens, www.giardinaggio.it)
Si parla di carne del pesce anche in alcuni siti di pesca e di vendita del pesce:
Un diverso elemento, che apparentemente potrebbe sembrare di poco conto, riguarda il fatto che la carne di pesce è più facilmente masticabile rispetto alle altre carni […]. (L’importanza del pesce nell’alimentazione, www.chioggiapesca.it)
Inoltre la sua carne ha un contenuto relativamente basso in tessuto connettivo e di un tipo che, quando riscaldato, diventa più solubile rispetto a quanto avviene con il tessuto connettivo degli animali terrestri. Ciò rende la carne di pesce tenera e facile da digerire. (Pesci magri, pesci grassi… Quali sono?, www.findus.it)
Puoi assimilare una buona quantità di ferro anche con i prodotti surgelati di pesce Pescanova, con carne di pesce di alta qualità. (Ferro nel pesce: quali pesci contengono più ferro, www.pescanova.it)
Nell’ultimo esempio si nota uno specifico intento pubblicitario, proprio perché siamo in un contesto commerciale (l’estratto, infatti, proviene dal sito di un’azienda di prodotti a base di pesce), dunque la puntualizzazione del fatto che si tratta di “carne di pesce di alta qualità” corrisponde a una determinata esigenza comunicativa.
Nella stampa
Si parla di carne di pesce anche in testi giornalistici, come dimostrano alcuni esempi rintracciati negli archivi di alcuni dei principali quotidiani italiani, in particolare nelle sezioni dedicate alla cucina e alla gastronomia o alla salute. Si vedano alcune attestazioni tratte dal sito della “Repubblica”:
La carne del pesce palla maculato anche se cotta mantiene una tossina, la tetrodotossina… (Cristina Nadotti, Il pesce scorpione arriva nel Mediterraneo, l’Ispra avvisa: “È pericoloso”, Repubblica.it, 17/10/2016)
La caratteristica principale sono le sue carni bianche, sode e compatte, pregiate e delicatissime. (Laura De Luna, Il rombo al forno con le patate, Repubblica.it, 10/4/2020)
E dall’archivio storico della “Stampa”:
Il pesce nei venerdì di quaresima? Ma è proibito, come qualsiasi altra carne. Perché, sempre di carne si tratta. (Non mangiate il pesce in Quaresima, “La Stampa”, 10/3/1992)
Siamo alle solite, quindi: nel momento in cui sussistono specifiche esigenze descrittive, anche quella del pesce è definita ‘carne’, tanto che, addirittura, l’articolo citato la sconsiglia nei venerdì di Quaresima. Ma se in alcuni casi ci trovassimo di fronte a qualcosa che non è né carne né pesce?
“Né carne né pesce / la mia angoscia non decresce”
Finora abbiamo riflettuto sulla contrapposizione che vige generalmente tra carne e pesce, un rapporto i cui termini possono anche cambiare dal momento in cui il testo ha esigenze specifiche di narrazione o di descrizione. Dunque, la parte commestibile del pesce è comunque carne quando per chi scrive è utile specificare questo fatto (e siamo, generalmente, in contesti specialistici); al contrario, carne e pesce sono due “cose” ben distinte se è necessario differenziare diverse tipologie di alimenti. Non abbiamo ancora analizzato, però, questa contrapposizione nell’ambito dell’espressione colloquiale né carne né pesce, che fa da ritornello e da titolo anche a un brano di Elio e le Storie tese, il cui ritornello recita “né carne né pesce / la mia angoscia non decresce”, a indicare un senso di angoscia che non diminuisce (non decresce, che fa rima con pesce) forse proprio per il fatto che la situazione in cui si trova chi parla non è ben definita, quindi non è né carne né pesce.
Nei vocabolari
Il GRADIT segnala che né carne né pesce è una locuzione aggettivale comune, usata appunto in senso di aggettivo, per indicare qualcuno o qualcosa “che non ha caratteristiche ben definite, o che si trova in una fase di transizione, di cambiamento”. Si fornisce, poi, il seguente esempio:
Un adolescente non è né carne né pesce
a segnalare proprio una particolare condizione psicofisica di passaggio, non ancora ben delineata, durante la quale non si è più nell’infanzia, ma nemmeno nell’età adulta. Anche nello Zingarelli 2024 si parla di “non avere caratteristiche ben definite”, mentre, alla voce carne del citato dizionario di Petrocchi (1902) si specifica che non esser né carne né pesce è un’espressione proverbiale riferita a “chi non è né d’un partito né d’un altro”. Nel GDLI, sempre alla voce carne, tale espressione ricorre in due locuzioni: di nuovo non essere né carne né pesce, cioè “non avere un carattere, una personalità, una fisionomia precisamente definite”, oppure, in senso figurato, “non saper scegliere definitivamente tra due partiti”; inoltre non sapere se uno è carne o pesce vale a dire “non comprendere, per la gran confusione d’idee, ciò che qualcuno sta facendo, non distinguere esattamente chi egli sia o che cosa sia diventato”. Come segnala Carmelo Scavuzzo (Il contributo di Lorenzo Lippi all’italiano contemporaneo, “Studi di lessicografia italiana”, XXIII [2006], pp. 221-274: p. 259), è probabile che il GDLI abbia ripreso tale accezione dalla voce pesce del Dittionario toscano compilato dal sig. Adriano Politi gentilhuomo senese (Venetia, appresso il Barezzi, 1655), dove si dice che è usata per indicare situazioni nelle quali “non si sa quel che sia, o quel che vaglia”.
In letteratura e nei testi d’autore
La prima attestazione letteraria rintracciata riguarda l’espressione già vista nel GDLI, ovvero non sapere se uno è carne o pesce: si tratta di un esempio del 1676, tratto dal Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi, poema eroicomico in ottava rima, citato anche nella quarta impressione del Vocabolario della Crusca (e considerato nel già citato studio di Scavuzzo):
Del quale [fratello] infino all’anima gl’incresce; / perché gli pare uscito di cervello, / non si sa s’ei si sia più carne o pesce.
A quest’esempio fa eco, sempre nel GDLI, un’altra attestazione tratta dalle Note al Malmantile pubblicate tra il 1688 e il 1750 da Paolo Minucci, Anton Maria Salvini e Anton Maria Biscioni, nella quale viene fornita la glossa del significato della locuzione:
Non si sa s’ei si sia carne o pesce: non si sa quel ch’ei si sia: non è in cervello: non ha l’intero conoscimento.
Il primo esempio ottocentesco rintracciato risale a un breve saggio di Giacomo Leopardi pubblicato nel 1817 sullo “Spettatore italiano”, Sopra due voci italiane, in cui si riflette sull’uso del participio reso e del verbo sortire:
Chi più tosto che i Toscani volesse di quegli scrittori di stile né carne né pesce che chiamano italiano, sappia che nel Maffei, nel Muratori, nel Metastasio, che sono de’ più corretti (benché non sempre corretti), troverà, volendo, il nostro reso spessissime volte… (BibIt)
Né carne né pesce anche nei Malavoglia di Giovanni Verga (1881), all’inizio del romanzo, quando si descrivono i personaggi:
…Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. (BibIt)
Un altro esempio del GDLI è tratto da un componimento di Marino Moretti, in una delle Poesie scritte col lapis (1949):
Poi mi guardate come chi si lagna / di colui che non è carne né pesce / e non sa di partiti e non riesce / a impietosirvi più con la sua lagna. (GDLI)
Dunque, sia in testi strettamente letterari, sia nella saggistica d’autore, l’espressione né carne né pesce assume sempre la stessa connotazione e viene usata proprio per riferirsi a situazioni di incertezza, a qualcuno o a qualcosa di non ancora ben definito.
Nella stampa
Né carne né pesce è una locuzione usata anche nel linguaggio giornalistico, come dimostrano gli esempi tratti da alcuni dei principali quotidiani a stampa. Si veda, infatti, quanto emerge da ricerche effettuate nell’archivio della “Repubblica”:
Il Pci ha perso perché non è stato né carne né pesce, né forza di governo né opposizione. (Antonio Cianciullo, Capanna sfodera il sorriso. ‘Non sono più’ nel deserto, “la Repubblica”, 16/6/1987)
...vecchie usanze sono arrivate allo stremo, sclerotizzate, sfinite. E hanno lasciato spazio soltanto al caos e all’informe. Lui si trova in mezzo, irresoluto: non si sente né carne né pesce. (Franco Marcoaldi, Quanto è infantile l’uomo del Novecento, “la Repubblica”, 12/2/1998)
Sono amareggiato perché queste sono le partite che è necessario portare a casa. Altrimenti restiamo nella mediocrità, non siamo né carne né pesce. (Rabbia del capitano dell’ADR per i punti persi in casa, “la Repubblica”, 20/11/2000)
Lo stesso anche dall’archivio della “Stampa”, con testimonianze già a partire dal periodo post-unitario:
Ma meraviglia che la Francia sì colta e animosa e inclinata a portarsi da un estremo all’altro si acconci per sì lungo tempo a un Governo anormale, ibrido, irregolare, ad un Governo che non è carne né pesce. (Il Governo francese attuale, “La Stampa”, 15/7/1871)
Son quest’ultimi che hanno diritto di vita, eppure gli altri non scompaiono: ed è sempre per via di questa moda che non può essere né carne né pesce e intanto non arrostisce né frigge. (Giuseppe Bevilacqua, Il Gran Premio d’Italia a San Siro, “La Stampa”, 31/5/1926)
Il loro sketch di ieri era, come si usa dire, né carne né pesce; l’ingenuità sorniona di Renato e la ricercata saccenteria di Cochi non sgorgavano spontanee dalle situazioni e dalle occasioni offerte ai due comici. (A. Vald., Lo show non è né carne né pesce, “La Stampa”, 14/10/1974)
Chiamparino è costretto a un tran tran di basso profilo: vorrebbe fare meglio, ma i contrasti interni lo costringono a soluzioni né carne né pesce… (Luigi La Spina, Torino, il maldipancia dell’opposizione, Stampa.it, 4/7/2005)
Si parla, quindi, di politica, di sport, di filosofia, di spettacolo e in tutti questi ambiti si conferma ancora una volta l’uso dell’espressione né carne né pesce con significati legati a incertezza, indecisione, indefinitezza.
In conclusione
La nostra disamina è cominciata dall’analisi delle possibilità dell’utilizzo di carne anche per indicare il pesce. Si sono considerati diversi àmbiti, dalla lessicografia alla saggistica medico-scientifica antica e moderna, dai ricettari ai testi letterari, dai testi commerciali a quelli giornalistici. Ciò che emerge serve a riflettere sulla distinzione tra carne e pesce: quando si parla di carne, generalmente ci si riferisce ad animali quali bovini, ovini, suini, equini o pollame, ma non al pesce, tranne che per specifici intenti descrittivi o analitici; ad esempio, si è rilevato che nei testi medici e nei testi culinari si parla della carne di (o del) pesce (o di specifici pesci) per mettere in evidenza particolari caratteristiche o proprietà nutrizionali di quest’ultima o per proporre alcune elaborate preparazioni gastronomiche. Lo stesso accade in testi di altra tipologia (letterari, commerciali, giornalistici): quando si parla di carne di (o del) pesce lo si fa per mettere in evidenza specifici aspetti di quest’ultima o per riferirsi a situazioni per le quali è necessario fare questa distinzione. Dunque, per rispondere alle domande poste dai lettori, siamo arrivati alla conclusione che si può parlare di carne di (o del) pesce quando ci si trova in situazioni comunicative per le quali si presenta la necessità di compiere questa distinzione rispetto alla carne generalmente intesa.
Riguardo, invece, alla locuzione né carne né pesce, le cose stanno diversamente: in questo caso, infatti, si cavalca l’onda della contrapposizione tra i due termini, considerando carne e pesce come due cose nettamente distinte; anzi, proprio quest’antitesi ne spiega l’utilizzo in contesti nei quali si ha una situazione di incertezza, di indecisione, di indefinitezza o ci si riferisce a qualcosa o a qualcuno la cui condizione non è ben chiara. Dunque, ciò che non è né carne né pesce non si identifica in niente di specifico.
Ai lettori, dunque, si raccomanda in primo luogo di fare attenzione a ciò che mangiano e di badare bene se è carne, pesce, carne di pesce o… né carne né pesce!
Caterina Canneti
13 maggio 2024
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