Sono arrivate in redazione molte domande riguardanti l’espressione non vedere l’ora: un lettore chiede quale ne sia la storia; una lettrice domanda se sia possibile usare in alternativa non credere l’ora; altri chiedono quale ne sia la forma più appropriata di “condivisione”: Anch’io o Neanche/nemmeno io? Altri ancora ci interrogano sulla reggenza dell’espressione: non vedo l’ora di… o non vedo l’ora che…?
L’espressione non vedere l’ora, usata comunemente per esprimere attesa gioiosa e impaziente che si realizzi qualcosa, non ha un’origine chiara, ma è attestata in italiano almeno dalla prima metà del Cinquecento: il GDLI (s.v. ora), per esemplificare l’espressione non vedere ora o l’ora, offre una prima attestazione di grande prestigio, perché tratta da una lettera di Pietro Bembo (del 3 aprile 1546 indirizzata a Giovanni Battista Ramusio): “Aspetterò il libro del Fracastor che mi fate legare, né vedo l’ora di vederlo”, dove quel né (corrispondente al neque latino) va sciolto in ‘e non’, quindi “aspetterò [...] e non vedo l’ora”. È possibile però retrodatare tale attestazione fino al 1483 (prima edizione dei primi due libri dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo), in cui l’espressione è presente in più occorrenze: “Or pensa, cavallier, se egli è contento, / Che mai non vede l’ora de arrivare / In Babilonia, e parli un giorno cento” (I, XII, 42); e nel canto seguente: “Sempre procaccia, e mai l’ora non vede, / Che Albarosa la bella tenga in braccio” (I, XIII, 37).
All’interno della stessa voce del GDLI viene trattata anche un’altra espressione, vedere l’ora di qualcosa, con il significato di ‘vedere il momento in cui si realizza qualcosa’; in questo caso manca la negazione iniziale e, dall’esempio riportato, è chiara la diversa accezione: il brano “Perch’ei non credea veder mai l’ora / d’avere il suo fratello a salvamento” (Lorenzo Lippi, Malmantile racquistato, 1643-1644), così spiegato nelle stesse Note al Malmantile, “Ma perch’ei non credea veder mai l’ora. Amadigi avea così gran desiderio di vedere il suo fratello libero che dubitava non fosse per arrivar mai quell’ora: ed ogni momento gli pareva un anno”, non descrive tanto il momento di trepidazione, ma il timore di non vedere realizzata una speranza ritenuta incredibile. La stessa espressione è poi inserita da Orlando Pescetti tra i suoi Proverbi italiani (Verona, Girolamo Discepolo, 1598, p. 137) – in un tempo quindi che non vedeva ancora distinte le forme fraseologiche, le espressioni idiomatiche, i modi di dire e i proverbi – nella frase completa “Non vede l’ora d’arivarvi”. Pur nelle diverse accezioni, possiamo notare che il significato assunto dalla parola ora in tutte queste espressioni è quello di ‘momento’ della realizzazione di qualcosa di lungamente atteso o sperato. Nella chiusa della Nota al Malmantile citata, “ed ogni momento gli pareva un anno”, si trova un indizio che ci porta a un’altra espressione, ancora più antica (la si ritrova già in Boccaccio ed è citata anche da Pescetti subito di seguito a non vedere l’ora): parere ogn’or mill’anni: se l’idea complessiva è quella dell’ansia prodotta dall’attesa, qui però il focus è più sull’effetto di dilatazione del tempo che genera proprio l’impazienza di raggiungere qualcosa che si desidera con trepidazione (ogni ora di attesa è come se fosse mille anni). Pur essendo quindi nello stesso campo semantico, il confronto tra le due espressioni non ci dice niente sulla struttura sintattica di quello che noi oggi definiamo complessivamente come il fraseologismo non vedere l’ora.
Si tratta appunto di un’espressione fraseologica, ormai fissata in una forma cristallizzata (che non può essere interrotta da altri elementi, non si può dire, ad esempio, *non vedo la felice ora) e che solo nella sua esatta sequenza mantiene invariato il suo significato metaforico. Ad esempio, basta inserire un avverbio (“non vedo bene l’ora”) o un verbo supporto (“non riesco a vedere l’ora”) perché le parole riprendano il loro significato letterale e le frasi risultanti, in questi casi, esprimano il non riuscire realmente a vedere in un orologio o in uno schermo l’indicazione dell’ora: quindi senza più alcun riferimento all’ansia dell’attesa. In quanto formula fissa, non prevede nemmeno la possibilità di sostituzioni sinonimiche al suo interno, né per quel che riguarda il verbo vedere (non hanno significato frasi del tipo *non credo l’ora o *non pare l’ora), né per quel che riguarda il sostantivo ora (quindi non sono sequenze coerenti *non vedo il momento o *non vedo il minuto).
Un tratto che caratterizza questa espressione e suscita alcuni dubbi nei nostri interlocutori è la presenza della negazione in assenza di una forma corrispondente positiva: abbiamo visto che nell’italiano antico, seppur in accezione diversa, la forma vedere l’ora di qualcosa era possibile, ma nella lingua contemporanea è rimasto solo quello che, tecnicamente, si definisce come costituente a polarità negativa. Questo significa che forme come non vedo l’ora (come anche non stare nella pelle per ‘essere impaziente’, non parere il vero ‘essere molto favorevole’, non poter vedere qualcuno per ‘non sopportare’) sono accettabili, nei loro significati complessivi e metaforici, solo nella forma negativa; se vengono trasformate nelle corrispondenti forme affermative cambiano del tutto significato: vedo l’ora non è la forma positiva corrispondente a non vedo l’ora, così come non funziona, per dire che qualcuno ci va a genio, posso vedere qualcuno.
La polarità negativa e la forma cristallizzata fanno sì che non vedere l’ora (di... ) debba essere considerata come un unico blocco semantico anche quando, come ci chiedono molti nostri interlocutori, ci si trovi ad esprimere una risposta di approvazione e condivisione (o di disapprovazione) rispetto allo stato di attesa impaziente manifestata da qualcuno. Vediamo alcuni esempi.
Se io dico a un’amica “non vedo l’ora di tornare a Parigi” e anche lei condivide questa speranza dovrà rispondermi “anche io” (sottinteso: “non vedo l’ora di tornare a Parigi”): la mia affermazione, infatti, potrebbe essere sostituita da un’espressione pressoché sinonimica, del tipo “sono impaziente di tornare a Parigi” che non solleva dubbi di questo tipo, perché priva di negazione, e a cui, per manifestare la propria condivisione, tutti senza esitazione risponderemmo “anch’io”. Ma se invece la mia amica non avesse il mio stesso desiderio? In questo caso dovrebbe rispondere con una negazione netta, tale da negare appunto la condivisione della stessa attesa; ad esempio: “io no, preferirei andare a Londra”, oppure “io no, le grandi città mi stancano”, ecc.
In rete non è facile ottenere un quadro rispetto alla tendenza nell’uso delle due diverse risposte, positiva o negativa, ma ho provato a impostare diverse stringhe possibili (sulle pagine in italiano di Google, 7/6/2024) e i risultati sono i seguenti:
“non vedo l’ora neanche io”: 110 r. (“non vedo l’ora neanch’io”: 62 r.);
“non vedo l’ora nemmeno io”: 334 r.;
“neanche io non vedo l’ora” 10.700 r. (ma in molti casi c’è un punto, un esclamativo, puntini di sospensione o una virgola dopo io);
“non vedo l’ora anche io”: 14.400 r. (“non vedo l’ora anch’io”: 3.580 r.);
“nemmeno io non vedo l’ora”: 19.000 r. (anche qui c’è un punto, un esclamativo, puntini di sospensione o una virgola dopo io);
“anche io non vedo l’ora”: 198.000 r. (“anch’io non vedo l’ora”: 217.000 r.).
A parte la netta prevalenza, peraltro prevedibile, di “anche io non vedo l’ora”, l’unica considerazione che questi risultati suggeriscono è che, in effetti, c’è una discreta varietà di forme, effetto di incertezza nel maneggiare un’espressione a polarità negativa. L’unico suggerimento per superare tali dubbi è quello di ricordare che si tratta di una formula “bloccata”, che, seppur introdotta dalla negazione non, mantiene un significato complessivo affermativo e che, per essere condivisa, richiede una risposta affermativa, quindi anch’io / anche io.
Dal punto di vista della reggenza, non vedere l’ora introduce una frase completiva (oggettiva) che, come tale, può presentarsi in due forme: implicita con l’infinito (quando il soggetto del verbo reggente è lo stesso della completiva) preceduto dalla preposizione di (“[io] non vedo l’ora di [io] arrivare a Firenze”); esplicita, col verbo coniugato al congiuntivo (quando i soggetti non sono coreferenti, “[io] non vedo l’ora che tu arrivi a Firenze”), come richiesto dalla semantica dell’espressione reggente, che, oltre a prevedere il verbo vedere con la negazione (“Alcuni verbi, come sapere, ricordare, affermare, vedere, reggono di preferenza il congiuntivo quando sono negati”, cfr. Michele Prandi Le regole e le scelte, Torino, Utet Università, 2020, p. 149), esprime uno stato d’animo, come temere, sperare, ecc.: entrambe queste condizioni impongono l’uso del congiuntivo.
Raffaella Setti
8 gennaio 2025
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