Occasionalismi o parole meritevoli di visualizzazione nei dizionari?

Sono arrivate in redazione domande riguardanti le parole visibilizzazione, invisibilizzazione e periferizzazione.

Risposta

Numerose domande rivolte dai lettori al servizio di consulenza dell’Accademia sono relative a neologismi terminanti in -izzazione, uno dei suffissi più produttivi nell’italiano contemporaneo per la formazione di sostantivi astratti, spesso, ma non sempre, derivati dai corrispondenti verbi in -izzare (cfr. quello che si legge su ambientalizzazione in questo stesso sito). In questa risposta abbiamo messo insieme i quesiti su visibilizzazione, invisibilizzazione e periferizzazione: la documentazione per questi tre neologismi ha dato risultati interessanti, sui quali merita di soffermarsi.

Prima di tutto emerge chiaro un dato comune: l’assenza di registrazione da parte dei vocabolari dell’uso contemporaneo, e ancora di più, naturalmente, trattandosi di voci recenti, anche se non recentissime, di quelli storici. Visibilizzazione, invisibilizzazione e periferizzazione non sono registrate dai seguenti dizionari: Garzanti, Sabatini-Coletti 2022, Devoto-Oli 2022, Zingarelli 2025, il Nuovo Treccani, Vocabolario Treccani online; il GRADIT non registra né visibilizzazioneinvisibilizzazione, ma registra periferizzazione (vedi oltre). Nessuna delle tre voci, poi, figura nelle liste di neologismi del portale Treccani, sezione Lingua italiana, e nemmeno in quelle del sito dell’Accademia della Crusca. Commenteremo in chiusura questa carenza di registrazione lessicografica.

Veniamo ora alle singole voci, cominciando da visibilizzazione, che potremmo definire ‘atto, effetto di rendere visibile qualcosa’. La lettrice che ci interroga sulla parola, chiedendone la legittimità d’uso, la riferisce impiegata in un corso di aggiornamento per insegnanti di sostegno per indicare se ciò che veniva proiettato sulla lavagna fosse visibile con chiarezza: si tratta, in questo caso, dell’uso relativo all’immagine in senso fisico.

La documentazione che abbiamo raccolto dalla rete ci mostra una certa varietà di significati, in relazione agli àmbiti d’uso, e ci offre anche dati di qualche interesse dal punto di vista cronologico.

Il senso generico ‘atto, effetto di rendere visibile qualcosa’ bene si lega ai media visivi e all’immagine, come in questo esempio: “visibilizzazione del logo in tutta la piazza del concerto”.

Ma una specializzazione semantica rilevante in àmbito settoriale, medico e radiologico in particolare, è documentata in tempi non recentissimi: la ricerca con Google libri attesta la voce in àmbito medico negli anni Trenta del XX secolo: “mediante la visibilizzazione radiografica della circolazione cerebrale è possibile fare, con molta precisione, la diagnosi di localizzazione nei tumori del cervello” (“La radiologia medica”, XX, 1933, p. 253). Questo uso in àmbito medico è molto frequente e prevalente fino a metà secolo, per poi accompagnarsi a un uso della parola in senso esteso, in contesti diversi, relativamente a realtà sociali per le quali si auspica una maggiore attenzione, mediante, appunto, una maggiore visibilizzazione. Così, emergono soprattutto contesti relativi ai migranti, alla presenza dei musulmani nei paesi occidentali, allo spazio e al ruolo subalterno e poco visibile delle donne nella società. Qualche esempio (periodo 2011-2023):

Ma perché il tema del burkini contiene molti elementi: i rapporti di genere: l’uso politico della religione; la visibilizzazione dell’islam. (Stefano Allievi, Il Burkini come metafora: Conflitti simbolici sull’islam in Europa, Roma, Castelvecchi, 2017, [s.i.p.]);

[...] dinamiche che ruotano attorno allo spettacolo della frontiera, alla sua costante visibilizzazione e invisibilizzazione, e alle pratiche materiali di contestazione e riaffermazione del confine, di bordering (Luca Queirolo Palmas, ‎Federico Rahola, Underground Europe: Lungo le rotte migranti, Milano, Meltemi, 2020, [s.i.p.]);

[...] visibilizzazione dell’esperienza delle donne sottoposte a un’oppressione in cui le categorie di “genere”, “razza”, “classe” e “natura” si intrecciano in strutture composite (Axel Honneth, Hans Joas, Agire sociale natura umana, Torino, Rosenberg & Sellier, 2023, [s.i.p.]).

I numeri delle occorrenze ripartiti per tappe cronologiche mostrano la frequenza più alta (3.120) tra il 1930 e il 1950, in relazione al significato medico citato sopra, una frequenza significativa stabile dal 1950 a oggi, non in aumento, ma in calo rispetto al periodo 1930-50 (si contano, per quanto possa fare fede questo tipo di statistica, da 1.500 a 2.000 esempi ogni vent’anni).

Nella documentazione reperita in rete non si sono notati casi di uso di visibilizzazione quasi equivalente a visibilità, secondo una tendenza a estendere il suffisso -izzazione al di là della sua funzione propria, che indica un processo, un’azione. Né si sono notati esempi di uso di visibilizzazione al posto di visualizzazione, che ha un significato diverso, ma in parte sovrapponibile: “Operazione di rendere visibile qlco. o di tradurre in immagine, in grafici, in disegni; anche, l’effetto che ne deriva, spec. in inform.” (Sabatini-Coletti 2022).

Significato opposto a visibilizzazione ha, naturalmente, invisibilizzazione ‘atto, effetto di rendere invisibile qualcosa’, un’altra parola su cui è giunto il quesito di una lettrice, che ne documenta l’uso in relazione a persone con atipicità genitali, ormonali o cromosomiche, e chiede quale termine possa indicare la condizione o il processo opposto.

Data l’assenza di registrazione di invisibilizzazione da parte dei vocabolari, di cui si è detto sopra per le tre voci oggetto di questa risposta cumulativa, ci si è affidati, per individuarne il significato attraverso i contesti e gli àmbiti di impiego, alla documentazione tratta dalla rete, che offre un interessante quadro del variegato uso della voce e della sua evoluzione nel tempo.

Dalla ricerca con Google, la prima attestazione pare essere del 1971, in senso generale e filosofico:

T. dunque ci indicò in Rilke il maggiore esempio di spiritualizzazione e di invisibilizzazione dell’intera sostanza del mondo, per mezzo della parola salvatrice delle cose. (Oreste Macrì, Leone Traverso e l’esperienza ermetica, “Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura”, XLV, 1971, tomo I, pp. 15-59: p. 34)

Per il ventennio 1970-1990 troviamo 4 esempi, con significato generale (per es. “In fondo quell’immagine è la rappresentazione del margine d’invisibilità d’invisibilizzazione che attraversa da cima a fondo qualsiasi immagine”: Richard Robert, La verità dell’occhio, in La verità: atti del Convegno di Parigi, 1980: La vérité, a cura di Armando Verdiglione, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 161-170: p.168); la frequenza aumenta lievemente fino al 2000, sempre in senso generale, per innalzarsi in modo straordinario dopo il 2000: per il periodo dal 2001 al 2010 sono documentati 1.920 esempi, che mostrano una notevole numerosità di impieghi in àmbito sociologico, e in relazione alle tematiche della migrazione e del femminismo. Portiamo qualche esempio per documentare i primi segni di una specializzazione semantica che ci sembra rilevante nella società contemporanea:

[...] invisibilizzazione (gender - blind) della componente femminile migratoria, gli studi più recenti hanno iniziato ad indagare il fenomeno in maniera specifica (Carla Lunghi, Culture creole: imprenditrici straniere a Milano, Milano, FrancoAngeli, 2003, p. 17);

[...] l’invisibilizzazione dell’immigrato e la violazione del diritto d’asilo (Stefano Simoncini, Frontiera Sud: Marocco-Spagna: viaggio nei non-luoghi dell’immigrazione illegale, Roma, Fandango libri, 2004, p. 121);

[...] invisibilizzazione ed esclusione sociale del femminile: la teoria classica, secondo il pensiero femminista, non è in grado di dare conto delle attività «femminili» (Donatella Barazzetti, C’è posto per me?: lavoro e cura nella società del “non lavoro”, Milano, Guerini e associati, 2007, p. 25);

[...] l’invisibilizzazione del potere e della formalizzazione del diritto mostra come a quest’ampia gamma di dispositivi persecutori altri e più raffinati se ne siano aggiunti proprio grazie all’apporto creativo di giuristi e di giudici (Pier Paolo Portinaro, La spada sulla bilancia. Funzioni e paradossi della giustizia politica, “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, XXXVIII, 2009, tomo I, pp. 75-106: p. 104)

La frequenza degli usi legati alla migrazione e soprattutto alle problematiche di genere cresce nel dodicennio successivo, e gli esempi lo dimostrano: “Uno degli scopi fondamentali del discorso post-gender è l’invisibilizzazione dell’eterosessualità, come modalità e come pratica privilegiata di soggettivazione e di relazione” (Federico Zappino, Un materialismo queer è possibile: e altri scritti politici, Milano-Udine, Mimesis, 2024), «“invisibilizzazione” delle persone che non rientrano nel binarismo di genere per mancanza di modelli teorici di riferimento (persone non binarie)» (Fabio Rapisarda [a cura di], Trans-formazione: l’essere e il divenire delle persone transgender: Teorie, contesti e interventi, Milano, Angeli, 2024).

Oltre ai risultati raccolti attraverso Google, una minima indagine sui quotidiani ha portato questi dati: il “Corriere della sera”, interrogato attraverso il suo archivio storico, riporta un’unica occorrenza, sulla “Lettura” del 14/11/2021, in un articolo su donne e arte (Damiano Fedeli, Le donne dell’astratto (nonostante gli uomini): «Non per tutte, ma è indubbio che ci sia stato per tante, un processo di “invisibilizzazione”: certamente moltissime non hanno vissuto della propria arte»). Invece “la Repubblica”, come documenta la Stazione lessicografica dell’Accademia, ha 7 esempi tra il 2020 e il 2024, prevalentemente relativi alla tematica di genere.

I dati raccolti per questa voce, da una parte scarsi sia rispetto alla registrazione lessicografica sia rispetto alla varietà delle fonti, ma dall’altra significativi per l’abbondante documentazione offerta dalla rete e per la probabile specializzazione semantica della parola ai nostri giorni, la rendono sicuramente meritevole di indagini più mirate e approfondite su corpora diversificati nella loro composizione. Sarà anche possibile, forse, accertare il rapporto di corrispondenza con la polirematica inglese gender blindness. Sembra però piuttosto arduo rispondere alla domanda della lettrice su quale sia, nell’àmbito della complessità delle differenze di sesso, il termine che indica la condizione o il processo opposto a quello di invisibilizzazione, di cui peraltro in rapporto alla tematica di genere sembra esserci più di un significato.

Il terzo dei tre sostantivi in -izzazione di cui qui ci occupiamo è periferizzazione, che insieme al corrispondente verbo periferizzare ha suscitato l’interesse di alcuni lettori, che lo segnalano e ne chiedono la legittimità d’impiego in senso sociale per indicare la sempre maggiore valorizzazione abitativa e commerciale delle periferie rispetto al centro delle città, e in àmbito economico finanziario, riferito all’erogazione di risorse verso elementi “periferici” rispetto all’organizzazione centrale.

Le due voci periferizzare e periferizzazione sono assenti nei dizionari citati sopra, eccetto che nel GRADIT, che riporta solo il lemma periferizzazione, datato 1987 e considerato derivato di periferia con -izzazione, nel senso di “fenomeno di progressiva marginalizzazione dovuto a uno sviluppo inadeguato rispetto a ciò che acquisisce il ruolo di centro politico, economico o culturale”.

La documentazione raccolta per le due voci (con Google ricerca libri e con la Stazione lessicografica, come per le due già illustrate) le attesta entrate già negli anni Settanta del secolo scorso, ma nel complesso poco usate.

Il verbo periferizzare ha una prima attestazione isolata nel “Corriere della Sera” in data 7/8/1971: «E a quel prezzo, osserva la relazione, si otterrebbe il solo risultato non già di decentrare, ma di “periferizzare una preziosa funzione pubblica”» (U. Pa., Si rinnova la battaglia per la sede della Regione); l’archivio del quotidiano lo documenta poi un’unica volta nel 2017. La Stazione lessicografica dell’Accademia lo attesta soltanto due volte nel corpus Coliweb, entrambe nel 2013, in un caso con significato urbanistico, in un altro in senso politico.

Periferizzazione appare di poco più documentato. La prima attestazione, nel “Corriere della Sera” dell’8/9/1970 (anteriore quindi a quella del verbo), è in senso sociale e urbanistico: «Tale diffusione, impedendo i fenomeni di periferizzazione, ha garantito […] l’“effetto città”» (Luigi Cristini [architetto], Città-Regione); l’archivio dello stesso quotidiano ne riporta poi una trentina di occorrenze nel cinquantennio successivo (1970-2024), senza che si evidenzi un progressivo aumento nel tempo. L’archivio della “Repubblica” ha una cinquantina di casi tra il 1992 e il 2024. Il corpus Coliweb ha una trentina di occorrenze, la prima delle quali, isolata, nel 1999, le altre tutte nel secondo decennio del XXI secolo, prevalentemente in senso sociale e urbanistico, ma anche in altri contesti, con significato esteso (p.es. “Partiamo dalla questione della periferizzazione della poesia, vale a dire il suo tendenziale spostamento dal centro dello spazio letterario verso il margine”: Laura Pugno (a cura di), Verso la X. Un dialogo con Italo Testa, Le parole e le cose2, 7/11/2019).

Per periferizzazione siamo quindi di fronte a un termine con un senso proprio sociale e urbanistico, talvolta usato in altri contesti con significato esteso, nato già parecchi decenni fa e cresciuto nell’uso, ma non in modo rilevante. Va però forse notato che il termine sembra avere generalmente, dall’unica registrazione lessicografica e dalla documentazione raccolta, senso negativo, mentre dai dubbi dei lettori emergerebbe una connotazione non necessariamente negativa: ma un’indagine più ampia darebbe sicuramente elementi più sicuri in questa direzione.

Qualche nota conclusiva sui tre sostantivi in -izzazione qui considerati. Non stupisce la loro nascita, nell’alveo dei moltissimi neologismi con questo suffisso nell’italiano contemporaneo, tra i quali alcuni si radicano e ricevono dignità lessicografica, altri faticano a riceverla, altri ancora restano allo stato di occasionalismi. Gli àmbiti privilegiati del loro impiego sono i media e i linguaggi settoriali. Nel nostro caso, carattere settoriale ha senz’altro periferizzazione, mentre sia visibilizzazione sia invisibilizzazione si possono considerare solo parzialmente settoriali, il primo in campo medico, il secondo in riferimento a tematiche di genere, biologiche e sociologiche. Non sono, in ogni caso, da considerare occasionalismi, ma voci documentate già da un cinquantennio, dotate di una certa diffusione, maggiore e in crescita più veloce per invisibilizzazione, che attendono di essere registrate dai dizionari.

Ilaria Bonomi

5 febbraio 2025


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