Sono molti gli utenti che ci chiedono se si debba dire palmo o palma della mano.
Palmo o palma della mano?
“Mostrar la palma aperta e ’l pugno chiuso”, scriveva Petrarca nei suoi Trionfi. In tutta la nostra letteratura, da Dante ad Ariosto, da Foscolo a Manzoni, la superficie della mano opposta al dorso è sempre di genere femminile. Eppure è impossibile negare che oggi, non soltanto nell’uso informale quotidiano, si stia progressivamente imponendo la forma maschile palmo: basta leggere le indicazioni riportate sul foglietto illustrativo di un medicinale o di un prodotto cosmetico, la pagina di un giornale, il titolo di un libro (si pensi, ad esempio, al recente successo del romanzo “L’infinito nel palmo della mano” di Gioconda Belli), per non parlare del mondo informatico, sovraccarico di smartphone e tablet che promettono infinite possibilità proprio “nel palmo di una mano”.
Già in latino esisteva questa ambiguità di genere, poiché pălmus, maschile, aveva il duplice significato di ‘palma della mano’ e ‘misura di lunghezza’, concorrendo con la forma femminile pălma ‘palma della mano’ e ‘palma (albero)’, da cui derivava etimologicamente (cfr. IL - Vocabolario della lingua latina, Loescher, 1995, s.v. palma e palmus; cfr. anche DELI o L'Etimologico entrambi s.v. palmo).
Cercando palmo nei primi strumenti lessicografici, si nota che il termine ha esclusivamente valore di unità di misura, esatta o figurata. Nella quarta impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1729-1738), ad esempio, palmo è lo ‘spazio di quanto si distende la mano dall’estremità del dito grosso a quella del mignolo; spanna’; definizione seguita dall’attestazione dantesca: “Perocch’i’ ne vedea trenta gran palmi / dal luogo in giù, dov’uomo affibbia ’l manto” (Inferno, XXXI). Nell’edizione settecentesca consultata, così come nelle precedenti, l’accezione specifica di ‘superficie interna della mano’ è, dunque, completamente assente. Un’analisi delle bozze preparatorie oggi conservate nell’Archivio Storico dell’Accademia, inoltre, può dimostrare che tale accezione non sarebbe stata accolta neppure nella quinta e ultima impressione – la cui pubblicazione, com’è noto, rimase interrotta alla voce ozono. Palmo per ‘palma della mano’ entra nella nostra lessicografia quasi di nascosto, grazie al TOMMASEO-BELLINI (1871), il quale inserisce, prima delle locuzioni particolari (“avere un palmo di barba”, “restare con un palmo di naso”, “a palmo a palmo”), uno dei Proverbi toscani raccolti da Giuseppe Giusti (“liscio come il palmo della mano”), corredato della nota “il popolo fiorentino dice Palmo e non Palma”. Certamente l’attestazione della voce nell’opera del Giusti, quanto la stessa avvertenza del dizionario, testimoniano che l’impiego della forma maschile per la femminile era ben radicato nel fiorentino vivo dell’epoca. Dato confermato, del resto, dalla presenza della voce nel Giorgini-Broglio, dizionario “dell’uso” di poco successivo (1885), ispirato ai principi linguistici manzoniani.
Anche nella lessicografia moderna il primo significato offerto per palmo è quello di ‘unità di misura approssimata corrispondente alla larghezza di una mano tesa e aperta’ o, più specificatamente, ‘unità di misura lineare usata prima dell’adozione del sistema metrico decimale, equivalente a circa 25 cm’. Segue la nostra accezione di ‘palma della mano’, accompagnata però, nella maggior parte dei casi, da indicazioni restrittive in rapporto all’uso e alla varietà: il termine è, ad esempio, “regionale e popolare” per il GDLI, “toscano” per il GRADIT, il De Felice-Duro (1995), il Devoto-Oli 2012, il o il Grande Dizionario Garzanti 2007 (tutti s.v. palmo). È presentato invece senza “controindicazioni” particolari, ad esempio, nel dizionario Sabatini-Coletti (2006). Particolarmente interessante è il caso dello ZINGARELLI che, edizione dopo edizione, documenta l’evidente diffusione della variante maschile nella penisola e, dunque, la sua rapida ascesa al livello di lessico nazionale standard: fino al 2005, infatti, il dizionario registra palmo come variante “specialmente toscana” di ‘palma della mano’; nell’edizione pubblicata l’anno seguente scompare la restrizione geografica e viene aggiunta un’attestazione pirandelliana (“mi grattavo con una mano il palmo dell’altra”). Nell’edizione del 2009, poi, la fraseologia è accresciuta della locuzione “portare, tenere qualcuno in palmo di mano, (fig.) considerarlo, stimarlo moltissimo”.
Quanto fin qui emerso dall’analisi dei dizionari storici e sincronici, è del resto “specchio” si quanto si riscontra in letteratura, dove l’impiego della variante maschile è tutto moderno. Infatti, mentre le prime attestazioni di palmo come unità di misura, esatta o approssimativa, compaiono nei nostri testi sin dalle origini (già dal XIII sec. secondo il TLIO; es.“Et elo aduse una ca(r)ta de ba(m)basino, lo(n)ga forsi de un palmo, la quale straçà li çudisi p(er) desdegno et ira che illi ave”, Documenti veneziani, 1281-1284), come variante della forma femminile il termine viene utilizzato soltanto a partire dal XIX secolo: il GDLI, ad esempio, dà come prima attestazione i già citati Proverbi toscani di Giuseppe Giusti. Anche interrogando i corpora della LIZ o della BibIt, Biblioteca Italiana (entrambe s.v. palmo), risultano decisamente prevalenti i risultati in cui la voce ha il significato (anche figurato) di unità di misura (es. Marco Polo, Il Milione, CLXV, “In questo reame sono uomini ch’ànno coda grande più d’un palmo, e sono la maggior parte, e dimorano ne le montagne di lungi da la città; le code son grosse come di cane”): per indicare la superficie interna della mano è impiegata esclusivamente la forma femminile, almeno fino all’Ottocento, quando iniziano ad apparire i primi casi, ancora sporadici, di forme maschili (ess. Carlo Porta, Poesie, I, 104, 3, vv. 5-6, Sonetto III in lode al detto Pezzi, “Tu tieni Minerva come in palmo, / vate sei e poeta e canzoniere”; Giovanni Verga, Il marito di Elena, cap. I, “La colpa è tutta nostra, donn’Anna! riprese infine battendosi la fronte col palmo della mano”; Antonio Fogazzaro, Daniele Cortis, cap. 21: “Elena sedette sul tronco dove s’era seduta il giorno prima e non guardò che fosse umido. Era tanto stanca! Appoggiato il gomito destro al ginocchio e il viso sul palmo, guardava il lago”). Il ricorso a palmo per ‘palma’ si fa via via più frequente nel corso del Novecento (è largamente impiegato da Fogazzaro, Capuana, Tozzi, Pirandello, ecc.), per diventare poi “normale” ai giorni nostri, come può dimostrare anche una semplice ricerca delle occorrenze attraverso il motore di ricerca di Google: “palma della mano” ricorre 202.000 volte; “palmo della mano” 4.640.000; al plurale, “palme delle mani” 94.700 volte, “palmi delle mani” 1.060.000.
Per quel che riguarda il rapporto con il panorama delle varietà tradizionali, sulla base dei dati raccolti dall’AIS Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, 1928-1940 (volume I, carta 152), si può affermare che la forma maschile è preferita in Toscana e in diverse zone del Nord, quella femminile nel Centro Sud. In particolare, in Sicilia è prevalente la forma pianta (in riferimento sia alla mano che al piede), diffusa anche in Sardegna (dove però concorre anche la variante maschile parmu, specialmente nella zona di Nuoro). Il Nord, invece, oscilla molto: indicativamente si può dire che palmo è utilizzato soprattutto in Liguria, Emilia Romagna e Lombardia, palma in Veneto, Piemonte, sulle Alpi e nelle zone di confine.
Ma come si spiega questo successo della forma maschile (che, si noti, interessa anche il plurale)? In fondo, quella femminile è sostenuta dall’etimo, dal vasto impiego nei classici della letteratura, nonché dal parallelismo con la pianta del piede, anch’essa femminile. Il passaggio di genere potrebbe essere stato forse favorito da un’assimilazione alla -o finale di mano, voce cui palmo si trova frequentemente abbinato. Ma, più facilmente, per giustificare l’imporsi della forma maschile si dovrà ricorrere all’influenza esercitata dall’unità di misura (semanticamente e idealmente prossima, è ovvio, alla nostra accezione) e dal suo massiccio impiego figurato nel quotidiano, specialmente nelle locuzioni e nei modi proverbiali (es. “battere/girare/cercare palmo a palmo”, “un palmo di terra”, ecc.). In questo senso, anche il frequente accostamento palmo/naso in espressioni come “non vedere a un palmo dal naso”, “rimanere con un palmo di naso”, potrebbe aver giocato a favore del consolidamento del binomio palmo/mano.
Tornando alla domanda posta dai nostri utenti, dunque, se proprio vogliamo trovare un discrimine fra le due forme, potremmo consigliare l'uso della forma palma nei registri più formali, mentre si può impiegare quella maschile in tutti gli altri casi.
A cura di Barbara Fanini
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
6 aprile 2012
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