Ci occupiamo nuovamente dei nomi del padre pubblicando una scheda di Lorenzo Tomasin dedicata al termine papà.
Papà, un settentrionale creduto francese
In quasi tutti i vocabolari italiani, la seconda parola (dopo mamma) pronunciata dalla maggior parte dei parlanti italofoni, cioè papà, è classificata come un francesismo, cioè un ricalco del francese papa. Si tratta invece di un termine di origine italiana centro-settentrionale, che dai dialetti del Nord è passato alla lingua nazionale, come è capitato anche a qualche altra parola del lessico quotidiano e familiare. Tale origine è stata a lungo irriconoscibile perché la diffusione del termine in Toscana – dove babbo è il termine corrispondente locale, diffuso anche in alcune aree dell’Emilia-Romagna e delle Marche – coincide, nell’Ottocento, con un’ondata di mode lessicali francesizzanti che inducono a considerarlo, al pari di molte altre voci di diffusione moderna, una parola d’importazione straniera.
La tradizione lessicografica lo segnala in effetti come un termine attestato in francese fin dal medioevo, che nei testi della tradizione letteraria italiana comparirebbe solo, occasionalmente, nel Cinquecento, in due passi del toscano Pietro Aretino (in uno dei quali una prostituta si rivolge disgustosamente a un vecchio chiamandolo "pappà, babbino": esempio facile da etichettare come spurio), per poi trovare reale diffusione solo a partire dal Settecento, quando papà si sarebbe integrato nei dialetti del Nord assieme ad altri francesismi, tipo cabaré, canapè, gilè e comò.
L’arruolamento di papà tra i francesismi avviene per opera dei puristi ottocenteschi, autori di grammatiche e vocabolari in cui si promuovono forme tipicamente toscane – nella fattispecie, babbo – contro quelle non toscane.
Di fatto, i dialetti centromeridionali conservano talora fino ad oggi l’antichissima parola infantile usata già dai Romani per indicare il padre, cioè tata (resistita anche nel romeno), mentre al Nord papà si accompagna a varianti locali (dal semplice pa a popà, forme diffuse dal Piemonte al Veneto, dove l’accento finale non ha nulla di esotico), che lo manifestano come termine radicato nell’uso popolare, a differenza dei francesismi moderni, di solito irradiati dalle classi alte.
L’ipotesi che l’italiano papà sia un francesismo suscitò già tra Otto e Novecento, la perplessità di un poeta come Pascoli (che lo considerava parola del linguaggio universale, parendogli impossibile un forestierismo della prima infanzia), ma anche di un linguista come lo svizzero Carlo Salvioni, che ne rilevava appunto la vasta diffusione in dialetti sostanzialmente alieni da influssi del francese.
In effetti, una cospicua quantità di documenti smentisce l’ipotesi accolta dalla tradizione lessicografica oltre ogni ragionevole dubbio. Fermo restando che le parole infantili sono comunque assai rare nei testi letterari, gli esempi cinquecenteschi italiani della parola papà sono in realtà molteplici. Tra i più interessanti, quelli di scrittori toscani che vivono al Nord, e che notano questa tipica voce settentrionale, ben radicata nell’uso popolare, considerandola autoctona tanto quanto babbo lo è in Toscana. Ben prima che l’ondata dei francesismi tipo burò e landò arrivi in Italia, Francesco Sansovino (nato a Roma e d’origine toscana) annota nel 1568 nella sua Ortographia chebabbo è "voce dei fanciullini in Thoscana quando chiamano il padre", mentre "I Lombardi dicono pappà. I Romani tata". Già prima, ancora un toscano cresciuto al Nord, Pietro Nelli, in una delle sue satire (stampate a Venezia nel 1547) si riferisce a una persona a cui nessuno vuol bene come "uno che non ha chi pappà, né babbo ’l chiame" (la grafia con due p sta ovviamente, al Nord, per una pronuncia equivalente a papà).
Come si è documentato altrove con maggior dettaglio (L. Tomasin, Papà in italiano, francese, spagnolo, in “Revue de linguistique romane” 81, 2017), papà è dunque già nel Cinquecento una voce così usuale nel Nord da rendere inverosimile l’ipotesi del francesismo.
Non solo: anche la storia del francese papa necessita di un cruciale aggiornamento, che riguarda indirettamente anche la voce italiana. L’unica attestazione di papa in francese antico non solo proviene da uno scrittore toscano (Aldobrandino da Siena, autore di un trattato di sanità composto in francese alla metà del Duecento), ma probabilmente non significa nemmeno ‘padre’, visto che nel passo in cui compare, Aldobrandino sta parlando della lallazione infantile, e si riferisce probabilmente alla voce (attestata sia in Francia, sia in Italia, già in antico) con cui i bambini designano il cibo: la pappa, insomma, termine che anche nel francese medievale s’usava col significato di "sorte de bouillie pour les petits enfants". Col che anche la presunta maggiore antichità delle attestazioni francesi di papa rispetto a quelle italiane viene notevolmente ridimensionata.
Lungi dall’essere un francesismo, insomma, papà è un termine tipico del linguaggio infantile, che in molte lingue si specializza nel significato di ‘padre’, e che anche nel Nord d’Italia viene usato in questo senso già da un’epoca così lontana da rendere impossibile l’ipotesi francesismo.
Lorenzo Tomasin
*La presente nota integra e aggiorna quella di Matilde Paoli I nomi del padre, cui si rinvia per i numerosi e puntuali rinvii bibliografici e per il materiale relativo alla diffusione toscana ed extratoscana di babbo (e di papà nell’italiano regionale d’oggi).
5 maggio 2017
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