Per favore non facciamo a capelli!

Alcuni utenti ci chiedono se fare a capelli sia un’espressione italiana o appartenga al lessico tradizionale di una data area. 

Risposta

 

Per favore non facciamo a capelli!

 

L’espressione fissa fare a capelli ovvero aggrapparsi ai capelli durante un litigio vale per ‘litigare’ anche quando non si ha l’implicazione di una violenza fisica. A differenza di altre espressioni simili come fare a pugni, a cazzotti, a botte, può riferirsi anche a un significato non letterale: chi fa a capelli non necessariamente sta litigando tirandosi i capelli. L’espressione non è registrata nel GRADIT, ma una forma simile, fare a’ capelli (ovvero da fare ai capelli), trova le sue attestazioni lessicografiche già a partire dalla I e II edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612 e 1623) in cui compare sotto la voce capiglia ‘accapigliatura’. Nella III e IV edizione viene inserita anche tra le locuzioni con il verbo fare mentre, sotto la voce capello, comincia a essere registrata dalla V edizione del Vocabolario, dal Tommaseo-Bellini (1861) e dal Rigutini-Fanfani (1875). Nei vari repertori lessicografici consultati, il significato di fare a capelli è associato ad altri tipi lessicali del tipo: prendersi a’ capelli (pigliarsi a’ capelli), tirarsi a’ capelli, tenersi a’ capelli in cui si ha un verbo riflessivo reciproco che sottolinea la reciprocità del litigio, ovvero il tirarsi i capelli l’un l’altro. Si hanno comunque anche altre forme come venire a’ capelli e esser a’ capelli. Nel corso del tempo, la preposizione ai, da articolata (prendersi/tenersi/fare ai capelli ‘aggrapparsi ai capelli’) con il verbo fare è diventata semplice (fare ai capelli > fare a’ capelli > fare a capelli), sia diversi motivi: anzitutto per dinamiche di carattere grafico per cui l’apocope ha finito per non essere segnalata dall’apostrofo. Inoltre ai a volte veniva scomposta in a + i e l’articolo finiva per essere omesso. Infine l’influsso di altre espressioni simili, con fare e/o con preposizioni semplici, ha contribuito alla perdita definitiva della preposizione articolata, a favore della semplice, come si può ben sentire dalla pronuncia: se nell’espressione fare ai capelli e fare a’ capelli non si aveva raddoppiamento fonosintattico della /k/ di capelli, oggi si verifica proprio l’opposto per cui pronunciamo fare a capelli con la /k/ doppia (fare a ccapelli). Infatti l’impiego di un verbo generico come fare ha finito per rendere l’espressione sempre meno trasparente, quando all’inizio doveva essere implicito il significato di ‘aggrapparsi, appigliarsi ai capelli’ che ben giustificava la presenza della preposizione ai. In questo esempio contemporaneo, tratto da un forum su Internet, all’interno del testo c’è una frase che spiega il titoletto dell’aneddoto: evidentemente chi scrive ha ritenuto necessario uno scioglimento dell’espressione fissa attraverso una parafrasi che spiegasse l’accaduto:

 

Avete mai visto due donne fare a capelli?

sabato sera sono andata a ballare in discoteca con una mi [sic] amica ed abbiamo assistito ad una scena per certi versi divertente. Mentre eravamo sedute sui divanetti di fianco al bancone del bar due ragazze hannno [sic] improvvisamente iniziato a litigare e a dirsene di tutti i colori;in un'escalation di cortesie verbali tipicamente femminili si sono rovesciate addosso i rispettivi cocktails e si sono prese per i capelli, cominciando a rovinarsi i rispettivi vestiti, strapparsi le calze e finendo avvinghiate sul pavimento giusto ai nostri piedi, prima di essere separate, a fatica (dal forum di Yahoo Answers).

 

La trasparenza dell’espressione, cioè la sua comprensione immediata doveva essere maggiore in passato, anche in relazione al fatto che il capello lungo non era una prerogativa femminile; l’espressione poteva essere usata per indicare sia un litigio tra uomini sia tra donne, se pure con una netta prevalenza per quest’ultime. La prima attestazione riportata dal GDLI e nel LEI risale alla prima metà del XV secolo:

 

1427: San Bernardino da Siena (Prediche Volgari dette nella Piazza del Campo: 316). Ira di natura è questa. Adiratevi voi mai, donne? Io ci vego di magre, che mi pare che ci sia alcuna che talvolta fa a’ capegli.

 

Di seguito quelle risalenti al XVII secolo:

 

1649ca.: Lorenzo Lippi (Malmantile: 8, 47). Per lui checché, facevano a’ capelli.

1690: Paolo Segneri (L’Incredulo senza scusa: 129). Guardate, disse, se è buono a metter pace in sì gran città, chi non avendo in casa più che due donne, la massaia e la moglie, non sa far sì, che non facciano sempre a i capelli insieme.

 

Dagli esempi antichi e da quello contemporaneo sembrerebbe che fare a capelli indichi prevalentemente il litigio tra donne: in realtà, come si è detto, è possibile riferirla anche a uomini. Infatti:

 

È noto che i capelli lunghi e ricadenti fossero considerati presso i Germani attributo degli uomini liberi. Non a caso caratteristica della famiglia reale e segno delle prerogative ereditarie era la capigliatura, che si conservava intatta dalla nascita. La capigliatura lunga e annodata sulla sommità della testa era di uso corrente per la maggior parte degli uomini liberi germanici. Per tutto il Medioevo e nelle più diverse zone tirare i capelli o il ciuffo o la barba a qualcuno equivaleva ad attentare al suo onore: era procurargli un’offesa (Lurati 2001:123)

 

Ecco infatti due esempi antichi che hanno come protagonisti gli uomini:

 

1585: Giovanni Maria Cecchi (La Moglie: 19-22). Almen lo vedess’io far a i capelli!

1808: Filippo Pananti (Il poeta di teatro: I, ii8). Né così pigliaron pei capelli/ e Giansenio e Molina, e Scoto, e Ramo, / come i musici ed io presi ci siamo.

 

Il significato di questa frase idiomatica affonda le sue radici nel latino, in cui esisteva l’espressione mutuo sibi capillos (comam ocrines)vellere. (Margini 1829: ad vocem fare a capelli), in cui l’idea di reciprocità presente in italiano nei verbi riflessivi reciproci (pigliarsi, prendersi, tirarsi) veniva resa dall’avverbio mutuo ‘reciprocamente’. Che il litigio fosse spesso associato al tirarsi i capelli è testimoniato dalla presenza in italiano del verbo accapigliarsi mentre in altre lingue romanze, di verbi quali lo spagnolo pelear (‘litigare’ da pelo ‘capello’), il portoghese pelejar ‘litigare’ ma anche ‘lottare’, il rumeno paruì ‘litigare’ ma anche ‘mettere in disordine’ e il provenzale peleiar ‘discutere’ (REW). Per quanto riguarda la diffusione dell’espressione idiomatica fare a capelli o simili, si considerino i seguenti esempi che riguardano il francese e alcune varietà italo-romanze:

 

Francese Se prendre aux cheveux ‘discuter avec passion’ dal 1660, La Fontaine (FEW 2.248a);
Piemontese Cipèsse per i cavei ‘accapigliarsi’ (Zalli 1830, ad vocem ciapè ‘pigliare, prendere’);
Lombardo

alp. or. ćapá per i kavẹ́y (Longa, in LEI X: 1669 xlviiiss); 
mil. Ciapass/tirass per i cavij (Cherubini, Ibidem);

Ligure

occ. (sanremese) piya̍ pey kavẹ́I (Carli in LEI X: 1669xliii), gen. pig̍ā̍se pey kavẹ́li (Besio, ibidem);

Emiliano occ. (reggino) Saltèrs ai cavii(Ferrari in LEI X: 1665 xxvii);
Corso Fassi le capillate (Falcucci in LEI X : 1653 xxv-xxvi);
Umbro fa a capiji (Trabalza in LEI X: 1665 xxvii-xxviii);
Fiorentino fare a’ capelli (Varchi 1730);
Romanesco fà a capelli (Zanazzo in Ravaro 2001);
Marchigiano Pijàsse pe’ li capìji (Ginobili, in LEI X: 1670 xv);
Abruzzese or. adr. [a ʾć ʾć a p á r s ǝ ] a k a p ẹ́ l l ǝ (LEI X: 1665 xxviii-xxix);
Napoletano fà a capille (ante 1745, Capasso, Rocco; Altamura, in LEI X: 1665 xxix-xxx); pigliarse p’ i capille (Andreoli, in LEI X: 1670 xvii);
Apulo-barese acciaffarese a capiddi (De Santis in LEI x: 1665 xxx-xxxi);
Siciliano Fari a capiddatie pigghiàri[si] a capiddati (Traina e Biundi, in LEI X: 1653 xxi.xxiii).

 

Come si può notare, fare a capelli è un’espressione tipica del Centro-Italia: le attestazioni più significative sono quelle in umbro e romanesco poiché per il fiorentino e per il napoletano sono ammesse anche altre possibilità. Da notare che in Corsica e in Sicilia si preferisce fare a capigliate (si ricordi anche fare a testate), mentre in pugliese così come in abruzzese ci si acchiappa o ci si acciaffa ‘aggrappa’ ai capelli. Al Nord Italia invece prevale la forma prendersi o chiapparsi (ciapà in milanese), mentre in emiliano si ha saltarsi ai capelli che riprende, con più espressività semantica per certi versi, il corrispettivo lessicale venire ai capelli, che mantiene con evidenza l’idea di moto a luogo.

In definitiva, fare a capelli indica il contrasto, sia verbale sia violento, e risale, nel significato, a un modo di litigare che coinvolgeva sia le donne (a cui oggi si riferisce), sia gli uomini. Si tratta comunque di una frase fissa tipica del Centro-Italia, mentre al Nord si preferisce usare prendersi (e chiapparsi) ai capelli e al Sud acchiapparsi e acciaffarsi ai capelli.

 

Per approfondimenti:

 

  • FEW – Wartburg von, Walther,  Französisches Etymologisches Wörterbuch, Bonn / Leipzig /Tübingen /Basel, Mohr, 1922ss.
  • Lurati, Ottavio, Dizionario dei modi di dire, Milano, Garzanti, 2001.
  • Margini, Giovanni, Reggia oratoria in cui sono tutti i verbi italiani, ed altri molti vocaboli dell’ultima Crusca, con tutti i loro diversi significati, Venezia, Tip. Baglioni, 1829.
  • Ravaro, Ferdinando, Dizionario romanesco. Da “abbacchià” a “zurugnone” i vocaboli noti e meno noti del linguaggio popolare di Roma, Roma, Newton & Compton, 2001.
  • Varchi, Benedetto, L’Ercolano: dialogo nella quale si ragiona delle lingue ed in particolare della toscana e della fiorentina, Firenze, Stamperia SAR per gli Tartini e Franchi, 1730.
  • Zalli, Casimiro, Dizionario piemontese, italiano, latino e francese, Carmagnola, P. Barbiè, 1830.

 

A cura di Miriam Di Carlo
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

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